Un viaggio nel microcosmo arcaico della Sardegna negli anni ’40, tra le macerie della guerra. Una donna, potente, oscura e misteriosa del mondo lontano e rurale della Sardegna. Per alcuni, realmente esistita, per altri, solo leggenda. Colei che dà la morte, dolce. Una morte dignitosa, un atto di carità nei confronti del malato agonizzante, il cui destino sembra essersi già compiuto. “L’Accabadora”, l’ultimo film del regista cagliaritano Enrico Pau arriva oggi sul grande schermo di ventisette città italiane compresa una distribuzione capillare in Sardegna, che toccherà oltre Cagliari, anche Sassari, Ghilarza, Tempio, Tonara, Torralba, Santa Teresa, Palau, Santa Giusta, La Maddalena. Un viaggio all’indietro nel tempo (anni ’40) che sprofonda nei misteri di una tetra figura femminile e di un’isola impenetrabile e nel passato di una città lacerata dalle bombe del secondo conflitto mondiale. Annetta, giunge a Cagliari da un piccolo villaggio lontano. È in cerca di Tecla, sua nipote, che troverà in una casa di tolleranza dove sembra preferire quella vita umiliante piuttosto che accettare il suo aiuto. La frattura tra le due donne risiede nel passato di Annetta, fatto di solitudine e silenzi, dolore e morte, e nel segreto che custodisce come un fardello pesante nel cuore.
Sfidando lo stereotipo del racconto popolare che vede l'”ultima madre” come una vecchia, ostile e ombrosa, Pau affida il ruolo della protagonista a Donatella Finocchiaro, una donna bella e giovane, a rappresentare anche un passaggio fondamentale della vita del personaggio principale. Nel cast anche Barry Ward (Jimmy’s Hall di Ken Loach), Carolina Crescentini, Sara Serraiocco e Anita Kravos. Coproduzione Film Kairos (Italia) e Mammoth Films (Irlanda) in collaborazione con Rai Cinema, distribuito da Koch Media, sceneggiatura di Enrico Pau e Antonia Iaccarino.
Un universo affascinante e sconosciuto, quello della femmina accabadora, figura mitica ma allo stesso tempo reale, legata a un <<microcosmo arcaico>>, fisso, remoto, sospeso, senza tempo, la cui vita è segnata <<dai riti di un mondo oscuro>>, di cui poco si sa attraverso le vaghe testimonianze trasmesse dalla tradizione popolare. E poi un passato tragico, quello dei bombardamenti che distrussero Cagliari, il mondo della paura e del terrore. Due dimensioni (magia e realtà) apparentemente inconciliabili ma che tra sogni, ricordi, visioni e feroce realismo, si intrecciano con grande intensità in questo nuovo respiro cinematografico dai marcati colori e suoni mediterranei che lega idealmente le tre isole di Sardegna (storia), Irlanda (co-produzione) e Corsica (alcuni brani della colonna sonora sono corsi). Allacciate da un esile soffio, tra il buio e la luce, il contatto tra le due dimensioni provocherà quell’esplosione interiore che permetterà alla protagonista di attraversare la palude della sua immobile e rassegnata esistenza, di acquisire finalmente una nuova consapevolezza di sé e di riprendere in mano (forse) il suo destino. Al centro, Sorella Morte, quella inferta ai vivi attraverso la crudeltà delle bombe, e quella procurata ai quasi morti attraverso una sorta di rito sciamanico per aiutare a rendere il momento del trapasso dei sofferenti più dignitoso. Annetta, sottoposta dalla madre ai segreti del rito omicida malgrado la sua volontà, non teme di incontrare la morte tra le bombe, ma la teme in mezzo ai vivi. L’Accabadora è come una danza allora, tra chi protegge la vita (e l’amore) e chi procura il sonno eterno. E alla fine, o l’una o l’altra dovrà soccombere, come in un rituale ancestrale di guarigione, o di rinascita.
Negli angoli dimenticati, tra le macerie della memoria, scorrono le vite invisibili nella ricostruzione straordinaria di una Cagliari dei primi anni ’40 distrutta dalle bombe, dall’effetto “speciale” visivo dirompente. Le vie del quartiere storico di Castello sfregiate dalle esplosioni, le antiche chiese e i sotterranei della città come rifugi antiaerei, i palazzi crollati, le cupole e i tetti sprofondati, la fede e la speranza riposta nel santo patrono Sant’Efisio, e la processione del primo maggio, comunque, vada come vada. Le file per un tozzo di pane, la miseria e la paura, il rombo incessante delle sirene antiaree. La storia oltrepassa lo schermo, e si materializza. E quella sensazione di inquietudine causata dalla assurda follia delle nuove guerre del nostro tempo si intensifica. L’esplorazione degli angoli e delle storie più nascoste della realtà è ciò che al regista cagliaritano interessa da sempre, come raccontano anche le immagini dei suoi precedenti lungometraggi “Pesi leggeri” e “Jimmy della Collina”, o i suoi diversi cortometraggi ambientati in luoghi della città anonimi e con personaggi quasi “pasoliniani”, dove non esistono filtri o perfezioni esteriori apparenti, ma al contrario dove il rumore dell’imperfezione restituisce del tutto, nella sua potenza visuale, il senso della realtà, al cinema.
Come la casa di Annetta l’Accabadora, un vecchio casolare sperduto in Sardegna tra pianure di spighe dorate, ma che potrebbe trovarsi tranquillamente in Sud America, o in qualunque parte del sud del mondo. <<Non riuscivo a trovare un posto che fosse simile a quello dove lo avevamo immaginato. Volevamo un luogo sospeso, una Sardegna visivamente anche un po’ messicana. Abbiamo trovato per caso questo posto a Collinas. Richiamati da una sorta di potente richiamo, da qualcosa di misterioso, abbiamo oltrepassato quel muro e lì dentro abbiamo scoperto questo vecchio casale. Io credo molto in questa casualità, e mentre il film si fa, interviene sempre il destino che muta, cambia le cose>>. Ha spiegato il regista durante la conferenza stampa di presentazione a Cagliari, ospitata al Cinema Odissea. Presieduta da Nevina Satta, direttrice della Sardegna Film Commission, ha visto la partecipazione di Francesco Pamphili, produttore (Film Kairos); Jane Doolan, produttrice (Mammoth Films); Antonia Iaccarino (sceneggiatrice); Barry Ward e la traduttrice Milena Finazzi. Un’opera cinematografica che lo stesso autore insieme ai produttori considerano un miracolo e il frutto di un magnifico lavoro d’equipe di grandi professionisti.
Essenziale, scarna, vuota, ma spessa come le pietre che la sorreggono, la dimora della protagonista accoglie (e vive) così l’oscurità nei gesti senza parole della sua condizione tragica: una condizione che non ha scelto. I suoi occhi affondano nell’isolamento e in una profonda e triste rassegnazione, perchè quella sua condizione <<l’ha sepolta, ancora bambina, in una fossa>>. Il sole, acceso sui campi di grano intorno e nella città sotto assedio, filtrato in tutte le riprese degli interni, prende così la forma della penombra. <<Ho chiesto ai miei reparti artistici di colorare tutto ispirandosi all’idea pittorica di certi grandi artisti sardi agli inizi del Novecento che hanno cercato in cromatismi insoliti una luce diversa di un’isola più sognata che reale. Una Sardegna fiamminga, un desiderio che il direttore della fotografia, l’irlandese Piers McGrail, ha assecondato, con luci che si appoggiano morbidamente sui corpi e sulle cose>>. Un percorso complesso e sofferto che affronta senza patine il passaggio da un mondo sicuro e immutabile ma senza vita, a una condizione di incertezza e instabilità ma attraversata da valori come il desiderio e il sentimento. Una storia di morte, guerra e amore che muta la forza del destino e cerca la sua armonia nella tensione continua fra gli opposti: le tenebre e la vita, il silenzio del dolore e il rumore assordante dell’orrore, l’amore e la guerra, il passaggio fra la campagna (tradizione) e la città (modernità). <<Questa Accabadora poteva diventare il simbolo di una condizione femminile a cui è preclusa una propria vita sociale, sentimentale. Perché una piccola società e una data cultura l’hanno relegata a un ruolo specifico. E quindi confrontarci con questa donna a cui poter man mano ridare delle occasioni di vita è stato interessante>>, ha precisato Antonia Iaccarino, che insieme a Enrico Pau ha scritto la sceneggiatura.
Una pellicola che arriva sulla scia delle polemiche sul tema molto dibattuto dell’eutanasia e che vede proprio in questi giorni al voto finale la proposta di legge sul testamento biologico. <<Annetta sogna diverse volte, sogni dentro i quali si affaccia la natura selvaggia e dolcissima come lei la conosce, come l’ha attraversata nelle diverse stagioni della sua vita>>. Indietro nel tempo, ci conduce in un bellissimo paesaggio tra i colori del nostro passato, in un sogno eterno tra la vita, l’aldilà e la morte.