Piccola e coraggiosa, affronta audace le insistenze delle onde che da secoli attentano alla sua pace. Eppure sorride ancora, e lascia che il sole la baci senza arrossire. Venne definita dagli antichi commentatori, ricca, fertile e poco abitata, e in dono ricevette un nome che resiste intatto come le sue pietre: Hyknusa.
Parliamo della Sardegna e della sua abbondanza che riempie gli occhi di chi sa osservare. Ricchezza della terra, ricchezza di luoghi, ricchezza di sapori e di leggende. Ma oggi racconteremo di una ricchezza diversa, che si scopre un pò per caso, un pò per sbaglio, che ci raggiunge come un soffio di aria fresca primaverile e che ci sorprende, perché crescendo ci siamo abituati a ricercarla solamente altrove, oltre il mare, oltre l’orizzonte. L’orizzonte non è poi così distante, e non dovremmo scoccare troppo in là l’occhio per ammirare l’arte di quei sardi che colorando le tele con le tinte della propria terra, lavorando la pietra e il legno ripercorrendo le ataviche manualità, fermando in una foto il sentimento di un attimo, si dimostrarono eccezionali.
Primo di questa eccellente classe d’artisti Giuseppe Biasi. A lui il merito d’aver parlato di Sardegna e non con la parola ma con il disegno, quando l’isola era povertà e banditismo giustificato da un’antropologia razziale che oggi dovrebbe far sorridere. Innovatore e autodidatta, semplice nelle sue linee, imprevedibile nei suoi colori, amato da molti, stimato dalla Deledda, morirà sotto i colpi dell’odio di un popolo arrabbiato. Hanno un sapore insolito le sue tele, ma non per questo ci si stancherebbe d’assaggiarle.
Maestro dell’arte plastica, Francesco Ciusa ha profumo di mito, sentito tradizionalmente come il primo scultore sardo, riesce ad associare la cultura dei taglia pietra, la tradizione e lo spirito della sua terra, i valori indimenticabili, e l’educazione tecnica dei grandi scultori accademici. Perde l’ingenuità e diventa artista leggendario che fa delle sue opere amalgama di realtà agro pastorale e realtà urbana. Viste le sue opere, sarà impossibile dimenticarle. La Madre dell’Ucciso accovacciata in veglia funebre (sa ria) tocca il cuore, e inganna l’occhio, riproponendo quei particolari e quella fissità che era del rito, attraverso la quale il dolore sarebbe stato superato.
Indimenticabile Antonio Ballero, maestro dei colori, si dimostrò insuperabile nell’utilizzo della scala di grigi che emozionano più d’un tramonto, perché pietrificano il sentimento di uno sguardo, fermano momenti, rendono immortali i protagonisti di quegli attimi. Osservatore pignolo si, ma temerario si dimostra autodidatta nell’arte praticata, così come lo furono Deledda, Ciusa e Biasi, ma spettatore tutt’altro che occasionale in merito all’arte fruita. E in questa confluenza forse il suo merito, di un’innocenza che parla, e ancora oggi ci emoziona.
Un accenno breve a quella ricchezza dell’arte che trovò in Sardegna, sul principiare del novecento un terreno ancora ricco, fertile e poco popolato, come era secoli addietro. Ed ancora oggi l’isola, resta la terra promessa dei cercatori d’oro, perché a scavare.. ci si arricchisce sempre.