Morte e vita di Gustav Klimt
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Articolo di Sandra Giuliana Granata

Secoli prima che Kere, figlia della Notte, mietesse le vite degli eroi cantati da Omero e Atropo ne recidesse il filo dell’esistenza, il re semidio Gilgamesh aveva già affrontato e perso la sua valorosa sfida nella ricerca dell’immortalità; e, mentre, come più antico poema epico dell’umanità, l’“Epopea di Gilgamesh” inaugurava un genere letterario, nella grotta di Shanidar, in Iran, la tomba dell’uomo di Neanderthal dava vita alla storiografia e i primi sepolcri iniziavano la storia dell’arte.

La fede nell’Aldilà aveva spinto ogni popolo a lasciare tracce della sua civiltà, del suo modo di vivere, delle sue credenze. Senza la paura della morte, la regina Artemisia di Caria non avrebbe fatto edificare una delle sette meraviglie del mondo antico – l’imponente Mausoleo di Alicarnasso, per ricordare il marito e fratello Mausolo – né Mozart avrebbe composto il Requiem. Nell’Antico Testamento, la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo, mentre il Vangelo offre al genere umano un riscatto definitivo: la resurrezione di Gesù ha restituito all’umanità l’immortalità che le era stata negata, ma non le risparmia di affrontare una, seppur momentanea, dissoluzione fisica. La morte ha continuato, così, ad essere un evento ineluttabile, da esorcizzare o da negare. Nel Medio Evo, le guerre, le pestilenze e le continue carestie avevano reso la morte talmente familiare e naturale da non essere temuta: il morente non si ribellava alla sua fine ma l’affrontava con rassegnazione circondato da amici e parenti, mentre la porta di casa sua veniva aperta anche agli estranei. Si accettava la morte fisica, ma si temeva enormemente la morte spirituale. Allo scopo di preparare le persone a lasciare questo mondo, vennero divulgati nei Secoli Bui i trattati dell’Ars Moriendi, nuovo genere letterario basato su insegnamenti domenicani e francescani. Gli oltre trecento libri e cento incunaboli dell’Ars Moriendi erano veri e propri manuali che insegnavano alle persone i trucchi per sfuggire alle grinfie di Satana, sempre pronto a impadronirsi delle anime dei moribondi; questi furono fra le letture più diffuse del XV secolo. Il Basso Medio Evo fu caratterizzato dalla diffusione della Danse de Macabré, la Danza Macabra, un genere d’arte che nacque e si sviluppò in Francia a partire dal XIV secolo, condizionando le arti figurative e anche la letteratura.

Nelle danze macabre, i sottili confini fra vita e morte vengono abbattuti: i morti, in forma di scheletri, costringono i vivi a una terribile danza cui le loro vittime non possono sottrarsi. I potenti, fieri della posizione che hanno raggiunto nel mondo, i religiosi attaccati alle loro ricchezze e le donne orgogliose della loro bellezza danzano con scheletri che rappresentano il destino che accomuna ogni essere vivente, simboli della caducità della vita e dell’inconsistenza dei beni terreni. Nei secoli successivi, il terrore religioso del diavolo svaniva gradualmente e la Chiesa perdeva il suo ruolo di guida nella vita degli uomini. L’Illuminismo finì per relegare tutto ciò che circondava la morte e anche la fede nell’Aldilà, nel repertorio di inganni con cui si riteneva che la religione pretendesse di soggiogare gli uomini. Venne riscoperto tutto ciò che fa della morte un avvenimento bizzarro piuttosto che triste e, nel corso dell’Ottocento, si tentava di spiegare il senso della fine della vita e di immaginare che cosa sarebbe avvenuto dopo. Nel breve racconto “La Morte di Ivan Il’ic”, opera fondamentale nella maturazione della conversione religiosa dello scrittore russo Lev Tolstoj, un uomo di successo va incontro ad una morte dolorosa e prematura a causa di un banalissimo incidente. Ivan Il’ic vive una solitudine interiore che lo separa gradualmente dai vivi, mentre la morte gli mostra il suo volto, terrorizzandolo. L’incontro con la temuta nemica che gli era stata quasi sola compagna negli ultimi giorni, sarà molto diverso da come l’aveva immaginato. Una religiosità matura ispirerà a Tolstoj il brano di Guerra e Pace in cui il principe Andrej Bolkonskij è ferito da una granata nella battaglia di Borodino. A terra, mentre sul campo continua ad infuriare la battaglia, Andrej osserva il cielo sereno in contrasto con il clamore intorno a sé. Ora soltanto quel cielo azzurro e la sua pace solenne hanno un senso per il principe; le sue riflessioni si fanno profondissime e il suo attaccamento alla vita perde ogni valore, non desiderando altro che la pace di quel cielo. Lo scrittore americano Edgar Allan Poe aveva invece tentato di squarciare il velo che separa la vita dalla morte. Nel racconto “Rivelazione Mesmerica”, un esperimento di mesmerismo viene tentato sul signor Vankirk, un uomo minato dalla tisi che accetta di farsi ipnotizzare nell’attimo precedente la morte per svelare al suo interlocutore cosa ci sia nell’Aldilà.

Durante la sospensione fra i due mondi, l’anima di Vankirk racconta di come la morte non sia altro che una dolorosa metamorfosi paragonabile all’attimo in cui il bruco, distrutto il bozzolo – il corpo terreno – diventa farfalla, il corpo immortale. Nel molto più sereno “Colloquio fra Monos e Una”, due innamorati si ritrovano dopo la dissoluzione dei loro corpi. Non conservano i loro nomi terreni, ora sono soltanto Monos e Una. Monos, morto durante la peste nera qualche tempo prima di Una, le narra, in un dialogo di tipo platonico, l’esperienza straordinaria del suo passaggio dalla morte alla nuova vita, con l’acuirsi fantastico delle sue percezioni sensoriali. Poe aveva anche dato voce ad una delle paure più grandi degli uomini: essere sepolti vivi. “I confini delimitanti la vita dalla morte sono innegabilmente tenebrosi e vaghi. Chi può dire dove quella finisca e dove questa incominci?” dirà nel “Seppellimento Prematuro”.

Nel Novecento, con le persecuzioni razziali e la Shoah, molti libri diventano opere di denuncia sulla crudeltà della guerra: romanzi simbolo del Secolo Breve, “Se Questo è un Uomo” e “La Tregua” di Primo Levi, raccontano la terribile esperienza vissuta dallo stesso autore nel campo di concentramento di Auschwitz e il successivo ritorno in Italia. La nostra epoca ha tentato invece di allontanare quanto più possibile la morte individuale dall’esperienza quotidiana e dall’arte. Nella letteratura, la morte diventa pretesto per avviare indagini nei gialli o nei thriller. Subito accantonata dalla narrazione, le si attribuisce soltanto l’importanza di un dettaglio marginale.

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