Quando si dice “pensare per immagini”, fermare il tempo e lo spazio in uno scatto, creare qualcosa che aveva solo bisogno di venire alla luce. Questa è l’arte contemporanea di Giusy Calia: un lavoro di sapiente mescolamento tra tecnica e vita sul set fotografico. L’arte anche come accadimento, come il risultato di una perfetta sintonia tra autore e performer, tra autore e contesto. Giusy sa trovare bellezza, quando e dove meno te lo aspetti. La bellezza e il sogno, le due costanti del suo lavoro.
Pensare oggi al numero di immagini che il web produce ogni secondo fa venire le vertigini. Milioni di immagini che ogni anno, chiunque può produrre e condividere. Senza filtri, ne giuria che tenga. Uno vale uno, riprendendo il famoso slogan politico. Si può adattare in ogni ambito se ci pensate.
Milioni di foto, dicevamo. Migliaia di fotografi e aspiranti tali provano a scattare la foto perfetta, il punto di vista assoluto, l’arte universale. Diventare immortali insomma.
In questo pazzo mondo digitale Giusy Calia è un’artista che fa la differenza. Conosciamo la sua evoluzione professionale da molti anni, un’amica di mediterranea che nel 2011 ha donato alcune bellissime immagini del suo lavoro dedicato ai manicomi per il nostro numero La malattia mentale, in occasione dell’anniversario della Legge Basaglia e la conseguente chiusura dei manicomi.
Un’artista che incarna in molti modi la cultura mediterranea: il classicismo dei miti e lo studio del corpo femminile, la ricerca di perfezione umana con la natura selvaggia, la tendenza al mescolamento di stili e culture.
Le sue foto sono dei veri e propri set cinematografici, un lavoro di studio concettuale e poetico che riesce sempre a rendere partecipe l’osservatore. Le sue opere si potrebbero definire aperte, il punto di vista dell’artista scompare, si fa da parte per far parlare i suoi paesaggi, umani e terrestri. Sono foto che rivelano la competenza della materia, solo così si riesce a comunicare in modo naturale l’allegoria, il sogno, senza cadere nell’improvvisazione passionale.
I suoi lavori non sono solo il tratto del pittore, la battuta del giornalista, la chiusura drammatica dell’attore. Le sue foto sono case popolari, nel senso più alto del termine. La follia onirica di immagini, apparentemente surreali (cit Treccani: Che supera, che oltrepassa la dimensione della realtà sensibile; che esprime o evoca il mondo dell’inconscio, della vita interiore, del sogno) per diventare parte integrante della natura dove si svolge l’azione. La natura, in qualche modo, sembra essere sempre stata così come la vede l’artista, ha solo trovato il modo di fermare il momento. Natura che rivela contrasti, ma che è sempre accogliente, una madre che abbraccia chi la riconosce.
La natura è molto presente nei lavori di Giusy Calia, una natura solitaria, senza tracce antropiche. In molte immagini ci possiamo trovare in mezzo ad uno stagno con una vasca da bagno piena di schiuma, con una donna di una certa età che beatamente si lascia cullare dalla corrente. Un ruscello che ospita la leggenda immortale della ninfa, l’acqua come elemento accogliente. L’acqua è l’elemento trasparente, permette di specchiare e rappresentare il mondo terrestre, ma anche di vedere cosa appare sotto la superficie. Quasi un monito ottimista, oltre alla superficie esistono mondi da esplorare. L’eterna dicotomia tra reale-razionale e sogno, smentita e riconfermata nei secoli.
L’artista ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande, con la sincerità e passione che la contraddistinguono.
Giusy, abbiamo riscontrato nei tuoi lavori un rapporto continuo con l’arte cinematografica. Le tue foto potrebbero essere “fermi immagine”, parte di un film che comincia da Twin Peacks di David Linch, fino a Underground di Kusturiza. Qual è il tuo rapporto con il cinema e le altre arti in genere?
Adoro il cinema. Sin da piccola è stata una delle mie più grandi passioni. Avrei voluto fare la regista, poi per ragioni molto importanti, non sono potuta partire. Il mio pensiero si muove come in un set cinematografico…Nella mia testa produco milioni di corti… Adoro l’arte in generale, Amo i grandi artisti che ci hanno preceduto, lasciato una immensa eredità. L’arte è un bacino meraviglioso, da cui attingere costantemente, sogni, illusioni, promesse, traumi, rivoluzioni.
Altro aspetto che ritorna spesso è il gusto della contraddizione. Una vasca da bagno in uno stagno, un corpo perfetto dentro una casa diroccata, tracce umane in un deserto. Il contrasto è evidente anche nell’uso della luce e del colore. Ci parli della tua tecnica fotografica?
Questo fa parte del mio immaginario “malato”, dove per malato intendo dire compromesso da una serie di immagini che mi accompagnano. La tecnica fotografica è un linguaggio che costantemente cambia, si piega alle esigenze del momento, si trasforma. Non credo si possano usare sempre le stesse identiche parole per dire le cose. Si ha necessità di un ampio vocabolario. Io ho studiato fotografia a Milano. Per un anno, giorno e notte , mi sono occupata di questo, per poi rendermi conto, conoscendo molto bene la tecnica, che ogni tanto va disattesa. Mi piace forzare alcune cose, mi piace lo sporco in fotografia, l’antico graffio della polaroid che la rende unica, la luce che entra prepotentemente. Adoro l’errore, che in qualche modo, rende la foto unica.
Abbiamo descritto la presenza costante della natura e dell’elemento acqua in particolare. L’acqua è il nostro elemento primordiale, appartiene a tutti gli esseri viventi. Proveniamo dall’acqua, è il liquido che ci accoglie e ci fa nascere, e probabilmente rinascere. C’è anche un motivo personale per l’uso di questo elemento?
L’acqua è l’elemento che non deve mai mancare nelle mie immagini, trovo naturale e fondamentale ritrarre le persone in un lago, nella vasca da bagno, al mare, purché ci sia questo elemento. Sin da piccola ho sempre fatto un sogno ricorrente: vedo in un lago/fiume, una donna Giapponese, in tutto il suo massimo splendore e riserbo, che galleggia a pelo d’acqua, con il suo Kimono fluttuante. Una sorta di Ofelia orientale, più raccolta, forse più silenziosa. Questa immagine accompagna le mie visioni e spesso ritorna a parlarmi. Sono assolutamente certa , che attraverso questa visione, ho indagato parti delle mie paure nascoste, dei miei desideri più sottili, dei miei sogni.
Le tue immagini sembrano fuori dal tempo, inattuali direbbe Nietzsche. Che rapporti hai con il presente che ti circonda?
Vivo costantemente a cavallo dei secoli. Come se il tempo non esistesse. Come in un continuum temporale. Vivo nella realtà, mi muovo in essa, ma in una sorta di amplificazione di risonanza. Mi piace indagare le mie stanze interiori, visitarle, conoscerle, aprirle all’occhio indiscreto del visitatore. La mia visione della realtà è molto articolata. Comprende un corso e ricorso degli eventi. Io credo fermamente nella reincarnazione, pratico ipnosi regressiva, e questo mi ha portato sempre di più a comprendere che il tempo, come lo intendiamo noi , è una pura formalità. Nella griglia temporale, ogni cosa nei secoli, accade contemporaneamente, un discorso che non potrei esaurire in poche domande.
C’è qualcosa nelle tue foto che attrae lo spettatore senza renderlo estraneo. A mio parere questo è favorito dalla capacità di far parlare i personaggi, l’umanità e la terra che li ospita. L’autore scompare nell’opera, diventa pubblica a tutti gli effetti. Il tratto, il punto di vista, l’arte dell’autrice è certamente riconoscibile sempre. Una certa propensione alla divertente follia, alla continua sperimentazione. Sembra che per ogni foto vi divertiate parecchio.
Assolutamente si, dietro ogni immagine c’è una storia, un set da costruire, un caos da arginare. Nel tempo ho creato un rapporto di fiducia con le mie modelle, per cui si sono, con grande generosità prestate a tutto. Credo sia una forma massima di fiducia. Campagne, pozzanghere, picchi sul mare, cave abbandonate, manicomi, sono i luoghi ridenti a cui vanno incontro. In realtà andiamo incontro, è come se le vedessi per la prima volta. Ultimamente ho vissuto una esperienza bellissima, al lago. Uno dei mie ultimissimi set. Siamo andate io e la modella ( chiamiamola così per praticità, mi piacerebbe definirla performer, ha più senso… ) e lì ho potuto sperimentare con lei, una cosa mai provata. Una leggerezza inaudita nella scena. Ho sentito per la prima volta di fare parte integrante di un set, senza la responsabilità della visione. Alla fine mi sono dimenticata che stavo fotografando, stavo vivendo semplicemente la scena. È stata una sensazione pazzesca. Non credo possa capitare con tutti. Suppongo sia stata la potente sinergia che si è creata tra me e lei. È stata una bellissima scoperta.
Il post pandemia sembra aver immesso in circolo una nuova voglia di tentare e sperimentare, di provare a scrivere nuove cose che sembravano ferme da anni. Sei d’accordo con questa vulgata?
Voglia di sperimentare la vita. Voglia di Vita. Di provare a parlare in un modo differente, trovare nuove forme di espressione. Nuove prospettive da cui guardare il mondo. Le angolazioni della psiche sono fondamentali per sperimentare la vita.
Quale è stata l’evoluzione della tua ricerca, dagli inizi ad oggi? C’è qualcosa che cambieresti, o vorresti aver fatto meglio? Quali sono infine i tuoi progetti per il futuro prossimo?
Non cambierei nulla. Tutto è servito per accedere alla mia personale visione delle cose, aderire ad essa. Leggermi attraverso le immagini, tradurmi, conoscermi, sperimentarmi. Sono tanti i progetti per il mio futuro. Prima di tutto avere un luogo dove poter mettere in scena la mia fotografia. Un laboratorio alchemico sperimentale. Rimettere in piedi l’oggetto del mio desiderio: la camera oscura. Procedere per sperimentazioni. Seguire sempre la mia passione, non tradirla per compiacere gli altri. Vivermi attraverso la produzione di immagini. Indagare me stessa, sempre.
Giusy Calia
Qualcosa sull’artista: laureata in Lettere e in Filosofia, è Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l’Università degli studi di Siena. Ha conseguito un Master in Fotografia e Comunicazione Visiva a Milano e seguito un corso presso la New York Academy. Dal 2004 espone in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, tra cui il Man di Nuoro, la Biennale di Mosca, il Reggio Emilia Film Festival, la Biennale di Venezia presso il padiglione regionale. Collabora regolarmente con poeti e riviste.