La crisi economica attraversata dal nostro paese è di certo un grosso ostacolo iniziale per molte persone, in particolare non rappresenta un elemento di incoraggiamento per i nostri giovani. Tanti rinunciano ai loro sogni o cambiano i loro obiettivi iniziali perchè si scontrano delle difficoltà spesso insormontabili, che partono dall’area economica e si propagano inevitabilmente in quella lavorativa, sociale, etica.
Per una “categoria” come quella degli artisti, il discorso diventa decisamente più complicato. In una società generalmente orientata al denaro come unica fonte di felicità, l’artista -che in teoria dovrebbe essere una figura quasi profetica secondo ciò che ci insegnano i libri- si ritrova spesso e inevitabilmente a cadere in un circolo di paradossi. Il mercato dell’arte infatti, dietro pennellate colorate, sinuose sculture e innovazioni tecnologiche, nasconde gli stessi principi economici proprio di quel mondo spietato che funge da deterrente per i giovani. E’ possibile nella società attuale prendere coscienza delle proprie capacità e giungere alla realizzazione personale? Adeguarsi per guadagnare o lottare per dire a quel mondo “Io valgo”? Le scuole di pensiero sono numerose, e spesso discordanti: anche se a sentire la storia di Stefano Melis, pare proprio che uno dei segreti per sentirsi speciali in questo contesto sia proprio uno dei più inflazionati: mai rinunciare alle proprie idee ed insistere su ciò che si vuole costruire, sostenendo che un piccolo traguardo ne attira un altro, anche se la situazione si presenta difficoltosa.
Stefano è un giovane di Decimomannu che lavora come agente assicurativo e contemporaneamente opera in campo artistico come illustratore e scultore. “Una sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde”, dice sorridendo. Introduce l’incontro mostrandomi un suo lavoro all’ingresso dell’ex Liceo Artistico (una pittura murale che raffigura uno dei suoi particolarissimi omini), e guidandomi poi in un suggestivo angolo verde, un giardinetto improvvisato sulla via Stretta del quartiere di Castello a Cagliari.
Illustratore? Scultore? Pittore? Street-artist? Stefano afferma di non aver mai avuto nessuna influenza in particolare, e -come lui stesso ammette- di non aver voluto studiare la storia dell’arte con troppa precisione, per non subire influenze di alcun tipo.
Probabilmente tra i suoi lavori è possibile trovare caratteristiche molto altalenanti, ma a lui non interessa particolarmente. Crede che le etichette diano dei limiti, che lui non vuole avere.
Si definisce un illustratore, perché si diverte spesso a rappresentare degli “omini” -è lui stesso a chiamarli così- su fogli di carta e cartone, ma allo stesso tempo anche come “scultore” perché ha trovato il modo di dare vita e forma nello spazio reale a quegli omini modellando gli scarti di cartone con l’ausilio del filo metallico. É proprio questa particolare modo di operare che gli ha procurato la nomea di “Scultore di Cartone”. Talvolta sono dipinti sui muri, altre volte su pannelli di cartone poi posizionati per le strade e esposti ai passanti (una street-art non convenzionale?), altre volte disegnati a penna e colorati a pastelli su fogli di carta bianca. Non vuole avere il vincolo delle superfici tradizionali. Ricorrono nei suoi lavori colori accesi, bidimensionalità, assenza di sfondo.
Sono omini che raccontano scene di vita quotidiana, stati d’animo passeggeri, che ritraggono personaggi incontrati per strada. Qualche volta sono accompagnati da una storia, ma Stefano preferisce che quella storia la immagini chi li osserva. Lascia i suoi personaggi senza uno sfondo, perché chi lo vede debba inventarselo, costruendo la scena secondo la propria immaginazione.
Ha avuto le sue prime nozioni teoriche sul mondo dell’arte proprio al liceo artistico, dove il professore di modellato Mimmo di Caterino -lo stesso che per la prima volta lo ha chiamato Scultore di Cartone- gli ha trasmesso, oltre alle nozioni scolastiche da programma, soprattutto la capacità di plasmare un’idea e realizzarla nella sua materialità.
Stefano ha sempre provato molto fascino verso il ritratto, quindi verso le persone in particolar modo: è un ragazzo che ama parlare, chiedere con interesse, confrontarsi con curiosità, perchè pensa che ognuno di noi abbia qualcosa di speciale da raccontare e da insegnare.
Trova la giusta chiave di interpretazione della realtà focalizzando sul superamento delle barriere che spesso la mente costruisce attorno a noi, limitando la nostra espressività: nei suoi lavori questo si può notare all’abolizione della linea di contorno e la costruzione dell’immagine tramite la stesura di campiture uniformi di colori vividi e brillanti.
Pensa che sia fondamentale per un artista emergente il “sentirsi pronto”. Con questa locuzione -mi spiega- intende un momento in cui l’artista emergente raggiunge un grado molto alto di soddisfazione personale: ha cioè realizzato esattamente l’idea da cui era partito, ricostruendola fedelmente nella realtà, operazione non sempre facile, ritornando al discorso introduttivo.
Gli chiedo allora quali sono gli ostacoli che possono inibire un artista dal punto di vista creativo: mi confida che la prima e la più grande è la lotta con se stessi. La timidezza, l’inesperienza, la paura di sbagliare, di lasciarsi andare. Nel suo percorso questo è stato spesso un grosso limite, che sente oggi di avere brillantemente superato. Arriva poi a parlarmi delle difficoltà legate al mondo esterno, insomma quelle oggettive: lo snobismo iniziale, ad esempio. Ricevere dei rifiuti -anche più di una volta- può essere deludente: tuttavia con molta lucidità riconosce che sia del tutto normale, considerata l’inesperienza iniziale che contraddistingue ogni nuovo cammino. L’importante è sempre crescere qualitativamente. Altro ostacolo sono state senz’altro le critiche a priori: non è certo un tipo che si fa scoraggiare, ma sostiene di aver provato e di provare tuttora sempre un senso di dispiacere quando i suoi lavori non piacciono. É molto interessante invece ascoltare le opinioni delle persone, dice Stefano: le sfrutta per migliorare, ne trae spunto per i lavori successivi, per colmare le piccole lacune, anche dal punto di vista tecnico. Sono degli strumenti che permettono di capire gli errori: possono risultare dure da accettare talvolta, ma è sempre importante rigirarle a proprio vantaggio per capire sia i punti forti e i punti deboli del progetto, ma anche il gusto del pubblico e di quel mondo che spesso sembra tanto ostile.
Affermarsi in questo ambito non è affatto semplice, perchè oggi molti pensano al denaro, ma se un artista crede fermamente nel messaggio che vuol trasmettere con la propria opera, e questo messaggio arriva dritto a destinazione, è un enorme passo avanti. Fortifica l’artista stesso a livello individuale, e rafforza la sua posizione nel mondo.
La forte volontà di costruire e disegnare solo ciò che la mente gli suggerisce; la curiosità delle persone verso i suoi “omini”; le proposte di esposizione inaspettate, o molto più semplicemente i complimenti sinceri: sono sfaccettature che sicuramente nella carriera di Stefano attenuano il duro impatto con la realtà e contribuiscono a colorare una situazione apparentemente grigia con toni vivaci e ricchi di ottimismo.