di Giorgia Virzì
Storie dentro le storie. Il potere delle parole de L’OMBRA DEL VENTO, tra immagini reali e velati simbolismi.
Dopo il travolgente successo delle avventure sentimentali di Arnau, raccontate con stile incalzante da Ildefonso Falcones nelle pagine de La Cattedrale del Mare, ancora una volta Barcellona diventa set del nuovo best seller della narrativa contemporanea spagnola, L’Ombra del Vento. Un vero e proprio fenomeno editoriale, soprattutto alla luce della sua performance distributiva: pubblicato in sordina nel 2001, il libro ha raggiunto un’incredibile popolarità grazie al solo tam-tam spontaneo dei lettori.
Dal poliziesco al sentimentale, dalla tragedia alla commedia, l’opera potrebbe essere definita un thriller romance, con improvvisi e abili risvolti noir degni di Alfred Hitchcock.
Le esistenze di Daniel Sempere e Juliàn Carax si incrociano e sovrappongono tra le vie di una decadente Barcellona del 1945, protagonista anch’essa di una straordinaria avventura corale, restituita nella drammaticità dei suoi momenti cruciali, ferita dalla guerra civile e dal franchismo, ma caparbiamente reattiva e orgogliosa nella vivacissima quotidianità dei luoghi, mestieri e costumi di metà secolo.
Oltre ad una trama fittissima e avvincente, lucidamente aggrovigliata di amori, misteri, fantasmi e violenza, che premia, insieme ai primi attori, il geniale e quantomeno clownesco carattere di Fermìn Romero de Torres, L’Ombra del Vento è un omaggio al potere delle parole, quelle scritte e quelle parlate, quelle dei libri, degli autori, dei lettori e degli editori che intercalano a più riprese i diversi capitoli, disegnando una comunicazione che sembra non poter prescindere dalla presenza del mare.
Le metafore linguistiche e i simbolismi sono la punta di diamante della penna di Carlos Ruiz Zafòn, impregnata dell’anima marittima di Bacellona, il cui clima e le cui connessioni costanti con il Mediterraneo e l’acqua, influiscono sulla storia attraverso figure, descrizioni e associazioni psicologiche riconducibili ai codici espressivi e al linguaggio proprio della gente di mare.
Così si apre la narrazione, sotto una pioggia battente, tono fosco che percorre i momenti più tragici e dolorosi della narrazione, alternandosi alla cappa di afa che spesso imprigiona la città e i cuori, all’incanto della brezza leggera della Barcellona d’ottobre, al venticello fresco della sera, al sole positivo che scandisce i passaggi più lieti del racconto. E forse non è un caso che le aspirazioni letterarie del protagonista sono presto scalzate dalla passione per le barchette a molla, che l’abito di Clara Barcelò, primo oggetto della passione di Daniel, sia di cotone azzurro, turchese come il mare, come blu è il tram cigolante con cui il giovane si sposta per la città. Girovagando per Barcellona in preda alle pene d’amore, il giovane si ritrova ai piedi del monumento di Cristoforo Colombo, si siede sui gradini davanti al porto, accanto al molo delle golondrinas, si calma con l’eco della musica e delle risate provenienti dai vicini frangiflutti.
Dal mare arrivano le coltri di nubi cariche di elettricità, dopo che Daniel incontra per la prima volta il suo alter ego Carax; in un mare d’inganni, di abbandono e di colpa, naufraga la vita di sua madre Sophie per il matrimonio tutt’altro che ‘fortunato’ con Antoni Fortuny, mentre il colto Don Anacleto sentenzia che la barbarie è come la marea: “Si ritira e uno pensa di essere in salvo, ma poi torna, torna sempre…e ci sommerge”. La facciata dell’università dove il ragazzo incontra Bea, è simile a una nave ocra arenata nella notte e anche la libreria di famiglia sembra una barca alla deriva in un oceano di quiete e ombra. Il mare è anche la fonte della ricchezza, seppur corrotta e arrogante, di Riccardo Aldaya, che con il controllo del municipio e della dogana marittima, amplifica avidamente il proprio potere per poi morire suicida lanciandosi negli abissi dell’Atlantico, dal ponte della nave che dovrebbe regalargli una nuova vita in Argentina, dopo che la sua fortuna in Spagna è franata come un castello di sabbia in balia delle onde.
L’editore Cabestany è definito un pirata e, ironia della sorte, il momento più umiliante dell’esistenza dell’amorale Javier Fumero è nel ricordo del completo da marinaretto che a 17 anni lo fa apparire grottesco e umiliato alla grande festa nella villa stregata dell’avenida del Tibidabo, descritta in seguito come la prua di una nave fantasma. Finalmente, dopo una lettura in sospensione di oltre 400 pagine, il lettore giunge all’’inaspettato epilogo, assistendo al risveglio miracoloso di Daniel Sempere, mentre dalla finestra si vede l’azzurro intenso del mare. Un ritorno alla vita simboleggiato, passo dopo passo, dall’ultima diapositiva del frangiflutti della Barceloneta, mentre la città, avvolta nel silenzio, si offre allo sguardo del protagonista, emergendo dalle acque calme del porto come un miraggio, uno spettacolo tinto di luce ambrata, ritmato dal ritocco delle campane di Santa Marìa del Mar.