Sfumano nella delicatezza di chine e acquerelli i colori dei dipinti di Davide Siddi, giovane artista cagliaritano di riconosciuto talento.
La sua è principalmente una pittura d’ispirazione paesaggistica, dove spesso elementi urbani e rurali s’intrecciano indissolubilmente.
Tra i suoi paesaggi occupano un posto senz’altro privilegiato quelli della Sardegna e di Cagliari, la sua città, ritratta nell’imponenza dei propri quartieri storici, così come ancora ci appaiono, e sulla quale talvolta il pittore lancia uno sguardo che si perde nel tempo: scenari di oggi e di ieri che catturano i colori di albe e tramonti, l’intensità delle stagioni e del mare in cui ormeggiano navi e imbarcazioni di pescatori e l’anima sinceramente mediterranea di questi luoghi.
E ancora i paesaggi toscani, umbri e marchigiani di colline e antichi borghi, quelli romani tra cupole e croci e persino quelli torinesi sovrastati dalle Alpi che, insieme ai nuovi soggetti parigini, conducono verso le atmosfere sempre meno mediterranee dell’Europa del nord.
Classe 1987, Siddi non solo ha al suo attivo oltre trenta mostre tra Cagliari e la penisola, ma dalla fine dello scorso anno ha debuttato anche nel panorama artistico internazionale con una lunga esposizione alla Galerie DDG nell’île de Saint Louis di Parigi; recentemente una sua opera, “Tramonto sui tetti di Parigi”, è stata ammessa alla Galleria Argòs di Atene, dove sarà in mostra dal 18 al 25 giugno prossimi nell’ambito di un prestigioso concorso di arte contemporanea.
Sebbene le tecniche ormai consolidate siano quelle dell’acquerello e della china acquerellata, nella sua produzione non mancano le opere ad olio né altre di carattere sperimentale.
Anzitutto, Davide, come nasce la tua passione per la pittura paesaggistica?
– Credo che dipenda soprattutto dal contesto geografico in cui sono nato e cresciuto: vivere in un luogo dove la luce del sole splende quasi tutto l’anno, modulando dall’ alba al tramonto luci, ombre e colori, mi ha portato ad apprezzare il bello di tutto ciò che mi circonda. Da qui il desiderio di rappresentare tramite la pittura quello che giorno dopo giorno mi colpisce e mi affascina.
C’è anche da dire che, essendo autodidatta, la pittura del paesaggio è per me una parte fondamentale della mia formazione artistica, una sorta di passaggio obbligato che mi permette di confrontarmi con i grandi maestri del passato.
Il nostro Paese ha infatti una lunga tradizione per quanto riguarda questo genere di rappresentazioni pittoriche: chi sono gli artisti italiani di riferimento nella tua formazione?
Prediligi anche qualche pittore paesaggista straniero, eventualmente dell’area mediterranea?
– Più che singoli artisti, sento come punto di riferimento alcune epoche nello sviluppo storico dell’arte. In particolare, il Rinascimento e il periodo immediatamente successivo hanno visto il fiorire di un figurativo (anche paesaggistico) di altissima qualità.
In quel periodo si è sviluppata al massimo l’attenzione all’uomo e di conseguenza allo spazio che quest’ultimo abitava, attenzione che ha permesso alla produzione pittorica dell’epoca di raggiungere livelli qualitativi altissimi.
Le opere di Leonardo Da Vinci, citandone uno per tutti, oltre a rappresentare scene evangeliche o ritratti di personaggi di allora, sono uno dei più alti esempi di pittura di paesaggio, basti pensare alla “Vergine delle Rocce”, alla “Annunciazione” o, per nominare il dipinto più famoso, alla “Gioconda”. In tutti questi lavori Leonardo, oltre a definire con precisione i suoi soggetti, realizza, sebbene in secondo piano, stupende rappresentazioni di paesaggio.
Mi piace pensare che la stessa attenzione manifestata dagli artisti rinascimentali, possa guidare anche il mio modo di dipingere.
Se invece parlassimo di singoli artisti, allora senza dubbio farei il nome di Ettore Roesler Franz, acquerellista romano (nonostante il cognome) vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, un vero maestro della pittura di paesaggio ad acquerello.
Le tue mostre non sono mai state avare di paesaggi, sia di tipo urbano che di tipo rurale, in particolare “Carales mea” e “Di città in città”, le ultime due esposizioni che hai tenuto a Cagliari tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011… Anche se è difficile trasformare le immagini in parole, potresti “raccontarcele” in breve?
– Ho vissuto le ultime due mostre a Cagliari un po’ come la prima importante tappa di un percorso artistico e stilistico iniziato alcuni anni fa.
La prima mostra, “Carales Mea”, voleva essere un omaggio alla città in cui vivo, città che da quando ho iniziato a dipingere non ha smesso di regalarmi nuovi soggetti, sorprendendomi ogni giorno con inaspettati particolari, con paesaggi o scorci che credevo di conoscere, ma che, ogni volta, scopro ancora come se non li avessi mai visti. In questa mostra ho “raccontato” la Cagliari di oggi, quella che viviamo tutti i giorni, e in particolare quella del passato, che spesso dimentichiamo ma che vale la pena riscoprire.
Nella mostra “Di città in città”, tenutasi a gennaio alla galleria “La Bacheca”, ho voluto presentare per immagini le città più importanti per quanto riguarda la mia carriera come pittore; ho quindi dipinto ed esposto vedute e paesaggi oltre che di Cagliari, anche di Bologna, Roma e Parigi, città in cui ho esposto o in cui attualmente sono presenti mie esposizioni permanenti.
Colpiscono i tuoi paesaggi di una Cagliari che non c’è più, quella dei casotti al Poetto o addirittura quella di fine Ottocento – primi Novecento, con tanto di grandi velieri ormeggiati al porto: come si spiega questo interesse per il recupero della memoria storica visiva della città?
– Sono particolarmente appassionato di storia e quando passeggio per la città provo ad immaginare come essa potesse presentarsi qualche secolo fa. Così per curiosità mi sono dedicato a ricercare immagini e descrizioni della Cagliari scomparsa. Quando poi mi sono imbattuto nelle foto d’epoca, queste mi hanno colpito talmente tanto da spingermi a ridipingerle. Le opere, che sono confluite nelle ultime due mostre, vogliono presentare, più che la struttura o le differenze morfologiche della città, l’ atmosfera e lo stile di vita del periodo: è impensabile oggi poter vedere un carro di buoi fermo davanti al Municipio di Cagliari proprio dove ora appare il cartello “Zona Wi Fi”, eppure è successo e credo sia giusto conoscere la nostra storia, sapere da dove veniamo.
Quanto, a tuo parere, il paesaggio di Cagliari sta cambiando e in che direzione?
– Senza dubbio sta cambiando a vista d’occhio e si vede dalle continue iniziative organizzate nei vari quartieri storici e dall’attenzione a rivalutare quartieri finora abbandonati. La città sta tornando ad essere bella, a farcelo capire è soprattutto il numero crescente di turisti che di anno in anno aumenta in maniera esponenziale. Tuttavia il cambiamento più significativo, secondo me, si sta manifestando nello stile di vita dei cagliaritani: molte persone stanno finalmente abbandonando la macchina per muoversi a piedi o in bici; ristoranti, bar, attività, etc. fuggono gli spazi chiusi per riversarsi nelle strade. La chiusura al traffico non è la causa di questo nuovo modo di vivere la città, ma la conseguente presa di coscienza, da parte dell’ amministrazione pubblica, del bisogno di vivere gli spazi che abitiamo in maniera più serena e consapevole, l’ideale sarebbe chiudere al traffico in maniere definitiva tutte le strade del centro in cui l’ afflusso pedonale è più elevato…
Dopo quelli della Sardegna e della tua città in particolare, quali sono i paesaggi italiani che più ami dipingere e per quali motivi?
– Per un pittore che, come me, dipinge principalmente paesaggi l’Italia è senza dubbio uno dei Paesi più belli e stimolanti, una terra varia, ricca di storia e di arte. Andare a dipingere gli scorci di Roma, vuol dire calcare le stesse strade che percorsero Caravaggio o Michelangelo e lo stesso avviene a Firenze, dove guardando il palazzo della Signoria forse potremmo vedere ciò che videro i maestri del Rinascimento; si potrebbe continuare con un infinito elenco di città che da Milano a Palermo ha visto operare i più grandi artisti di tutti i tempi.
Esiste però in particolare un’altra città, oltre Cagliari, che amo dipingere, si tratta di Urbino. Urbino è per me, per svariati motivi, come la mia seconda città d’origine; quando mi capita di passeggiare nelle sue piole, non mi sembra di trovarmi lontano da dove vivo o in viaggio. E’ un po’ come una seconda casa, per questo mi piace rappresentarla nei miei lavori…
In che misura, in generale, nei dipinti dei paesaggi confluiscono stati d’animo, emozioni e sentimenti di un artista?
– Credo che da un dipinto, anche se di paesaggio, si possano comprendere molti aspetti riguardanti l’artista che l’ha eseguito. Prima di tutto dai colori, che raramente sono oggettivi, in secondo luogo dalla scelta dei soggetti. Mi è capitato spesso di dipingere lo stesso soggetto trattato da altri pittori, in base al punto di vista può cambiare tutto. Per esempio, se dipingessi un monumento osservandolo dal basso ne accentuerei l’imponenza, dipingendolo da un particolare angolo con in primo piano un cassonetto dell’immondezza vorrei senza dubbio protestare contro il degrado che lo circonda e così via; ogni artista vuole farci vedere ciò che i suoi occhi vedono. Dipende sempre dai punti di vista.
Che riscontro hai avuto finora, anche in termini di vendite, da parte del pubblico? Ritieni che la pittura paesaggistica sia un genere sempre attuale e che continuerà a proporsi pure in futuro, nonostante nuovi generi e tendenze dell’arte?
– Il paesaggio e il figurativo in generale, sono a parer mio tematiche sempre attuali, perché più vicine a tutte quelle persone che non sono abituate (o interessate) a confrontarsi con il linguaggio elitario e spesso ermetico dell’arte contemporanea. Dal punto di vista comunicativo l’immediatezza di cui gode il figurativo, e quindi anche il paesaggio, ne facilita anche la vendita.
Per quanto riguarda la mia esperienza specifica, oltre ad un grande successo di vendite (su diverse centinaia di opere realizzate in questi anni, sono davvero poche quelle che ancora tengo nel mio studio o in esposizione nelle gallerie), ho riscontrato un vero e proprio successo di pubblico: le mostre che di volta in volta organizzo hanno visto un crescente numero di visitatori raggiungendo, per le esposizioni di una decina di giorni, diverse centinaia di presenze. Credo che una risposta simile dipenda proprio dal genere di pittura che tratto.
Per quanto riguarda l’attualità della pittura del paesaggio e del figurativo, credo che sia illuminante un frase che mi disse un pittore più anziano di me una volta che ci era capitato di parlare di questi argomenti: “Guarda il cubismo, il futurismo, guarda l’ espressionismo e tutte le altre correnti: in meno di cinquant’ anni sono nate, hanno raggiunto il loro culmine e sono morte. Ora prova a pensare al figurativo: è nato molto prima di Cristo, quando i primitivi disegnavano dentro le caverne, e da allora si è solo perfezionato regalandoci Raffaello, Leonardo, Giotto e cento altri. Se anche un domani dovesse scomparire bisognerà almeno riconoscergli il merito di esser durato più di ogni altra cosa”.
Per maggiori informazioni sulle opere e l’attività di Davide Siddi, consultare il suo sito web www.davidesiddi.com.