“Macbettu ha mortu su sonnu! Su sonnu innossente, su sonnu ch’imbolica sa madassa iscumentada de s’affannu.”
La Sardegna è una delle poche terre d’occidente ad aver conservato pressoché invariati, forse anche grazie al suo lungo isolamento, numerosi riti misteriosi discendenti da un passato lontano. Tra i più suggestivi e celebri nel mondo, sono sicuramente quelli legati ai carnevali e alle maschere tipiche barbaricine. È infatti sufficiente camminare per le viuzze di uno qualsiasi dei suggestivi borghi dell’Isola per ritrovarsi improvvisamente senza fiato e sopraffatti da un’infinità di punti di domanda.
Shakespeare ambienta il suo Macbeth in Scozia, ma se fosse Sardegna?
Il progetto di portare in scena, in lingua sarda, un’opera del drammaturgo inglese nasce da un reportage fotografico tra i carnevali della Barbagia. Emergono infatti sorprendenti analogie tra il Macbeth e i riti e le maschere della Sardegna: i suoni cupi prodotti da campanacci, le pelli, le corna, le maschere fosche, e poi il sangue, il vino, le forze della natura domate dall’uomo. La potenza dei gesti e delle voci è dirompente.
“Abbiamo lavorato sulle analogie, sulla natura arcaica dei carnevali barbaricini, sui segni iconici, sugli archetipi, sui codici culturali, andando oltre la maschera e il folklore, quasi con un’operazione di ‘espianto di aura’“, racconta Serra.
Come nella più pura tradizione dell’epoca, Macbettu, è interpretato da soli uomini, otto per la precisione, e come nei rituali ancestrali che troviamo ancora intatti nella Sardegna profonda, il nero la fa da padrone. Ne deriva uno spettacolo cupo, con una scenografia scarna e completamente nera che non fa nulla per sciogliere la tensione. Pietre, terra, ferro, sangue, sono residui di antiche civiltà nuragiche. I costumi sono quelli tipici dell’entroterra sardo, camicia bianca e vestito di velluto nero, sos cosinzos ai piedi e su bonette in testa, a cui si aggiunge un grottesco e spassosissimo trio di streghe gobbe e litigiose, avvolte in lunghe vesti scure, scialle nero e fazzoletto in testa. Le luci esaltano il bianco e il nero. E i suoni sono parte della scena, sono funzionali alla scena e aiutano gli attori a evocare emozioni. I silenzi che sono parole, ai quali si aggiungono i suoni dei campanacci, scricchiolii, fruscii, versi di animali e i rumori prodotti dagli oggetti di scena. E i passi, anch’essi composizione della scena stessa, sono impettiti: i cavalieri hanno portamenti fieri ed orgogliosi e avanzano col passo del cavallo in una danza ritmata; e ancora, quando Banquo cammina sopra i tavoli allineati calpestando pane carasatu che si frantuma sotto i suoi scarponi, provoca un rumore croccante che, in un silenzio carico di attesa, lascia lo spettatore in una sospensione partecipata. La colonna sonora è inoltre impreziosita delle pietre sonore di Pinuccio Sciola.
Ma c’è di più, Macbettu mette in scena un protagonista capace di modulare la voce in modo straordinario: usa la forza dei suoni anzitutto per dare coraggio a se stesso e anche per scacciare i demoni della sua mente. Macbeth è sicuramente l’archetipo per eccellenza della brama di potere sfrenata e dei suoi pericoli, e proprio per questo Macbettu in scena ha un trono che è una seggiolina impagliata, in fondo sempre troppo piccola per contenere la sua sete di potere.
Personaggi ben caratterizzati e attori di comprovata bravura (Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino) permetteranno al pubblico di trascorrere una serata all’insegna del dramma shakespeariano in limba sarda: il quadro d’insieme è sempre fosco, polveroso e tenebroso, e catapulterà lo spettatore nella Sardegna più misteriosa.
Quello messo in scena non è tanto l’analisi di un dramma e della brama di potere di un uomo che spinto dalla moglie, decide di compiere un regicidio, si tratta di un viaggio negli angoli più remoti dell’animo umano, che attraverso le vicende del protagonista, invita lo spettatore a fare i conti con i propri fantasmi, con i propri errori, i sensi di colpa, gli egoismi, la propria incapacità a chiedere perdono o a perdonare e la propria ostinazione a mentire, a se stessi più ancora che agli altri. Alessandro Serra ha dato vita a un’opera del tutto originale che mescola sentimento e tradizione.
Lo spettacolo è durato circa un’ora e mezza e al termine, un lungo applauso a tutti gli interpreti, ha decretato l’assoluto successo della serata.
Macbettu di Alessandro Serra, prodotto da Sardegna Teatro in collaborazione con Teatropersona, è vincitore del Premio Ubu 2017 come miglior spettacolo dell’anno. Macbettu è anche tra i vincitori del premio Anct 2017 (Associazione nazionale critici di teatro).
Una pièce tradotta e adattata dall’inglese al sardo logudorese da Giovanni Carroni e che sposta la cruenta tragedia dalla Scozia in Barbagia. La rilettura ideata da Serra insieme a Carroni è legata ai costumi dell’isola, ma allo stesso tempo rimane fedele al testo originale.
Lo spettacolo prosegue la tournée nell’isola con altre 4 date ma presto ritornerà di nuovo a Cagliari al Teatro Massimo dal 21 al 30 giugno.