Avv. Barbara Barsali
C’è la bellezza e ci sono gli umiliati. Qualunque difficoltà presenti l’impresa, non vorrei mai essere infedele né ai secondi né alla prima. Albert Camus
Da questa bellissima frase di Camus, colma di valore etico, partono le considerazioni /valutazioni/provocazioni che ci proponiamo di fare intorno ad una delle questioni più complesse e problematiche dei nostri giorni: il tema della follia, del disagio psichico versante in un comportamento criminale.
Il riconoscimento della follia quale malattia vera e propria, già nel XVIII secolo, comportò, da un lato, il superamento di un approccio tipicamente spirituale e psicologico alla malattia, ma dall’altro determinò una deresponsabilizzazione sociale in merito alla problematica medesima. Folli e rei, pericolosi per la società, impossibilitati ad essere accolti nei manicomi ma anche nel sistema carcerario ordinario – perché in entrambi i casi si trattava di strutture inadeguate alle caratteristiche problematiche degli individui in questione – venivano affidati al manicomio criminale, unico luogo nel quale si realizzava, contemporaneamente, la cura, la custodia e la detenzione del soggetto, folle e reo.
Agli inizi degli anni sessanta il movimento culturale antipsichiatrico guidato da Franco Basaglia iniziò un percorso di rinnovamento che, partendo dalla costituzione della prima comunità terapeutica, si poneva l’obbiettivo di scardinare l’istituzione psichiatrica come scienza medica e come strumento di controllo sociale. Sino al 31 maggio del 1978, in Italia vigeva un sistema psichiatrico incentrato prevalentemente sulla difesa sociale, ove la cura del malato assumeva un carattere secondario. Con la legge 180 del 1978 si stabiliva, invece, il diritto del cittadino affetto da disturbi psichici ad essere curato con un progetto terapeutico che avesse attuazione nell’ambito territoriale, portando alla soppressione del concetto di pericolosità sociale che sino a quel momento era stato il presupposto per l’internamento nei manicomi e per l’adozione della misura di sicurezza dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG).
In realtà, solo nel 1994, è stata prevista la chiusura di tutti i manicomi criminali presenti sul territorio, mentre i vecchi ‘manicomi criminali’, ribattezzati OPG, sono rimasti sostanzialmente immutati. La legge 180 ha avuto, in questo caso , un effetto paradossale e ovviamente non voluto: è stato incrementato l’ingresso negli OPG di individui imputati o condannati per reati anche particolarmente lievi e per vicende non inerenti a disturbi psichici.
Attualmente le persone internate nei sei OPG sono più di 1500 (secondo il rapporto dell’Associazione Antigone). Le condizioni di vita all’interno di queste strutture sono degradate e degradanti; queste assurgono a strumenti coercitivi e di contenzione, nei quali circa un terzo degli internati sconta una pena senza fine (il cd. ergastolo bianco) a causa dell’abbandono da parte dei dipartimenti di salute mentale e per il diffuso silenzio sociale.
Sebbene di discuta, dal lontano 1978, anche della chiusura dell’OPG, e della necessità di un serio intervento legislativo, il sistema psichiatrico forense, nella maggior parte dei casi, tende a mantenere coniugata la malattia mentale/pericolosità sociale/difesa della comunità, affermando, di fatto, l’egemonia dell’OPG. Sembra prevalere, nel contemperamento degli interessi in gioco, la questione della sicurezza sociale piuttosto che la limitazione e violazione dei diritti dell’individuo.
E’ necessario battersi per un ritorno ai diritti. Sebbene evidenziato da più parti lo scandalo degli OPG (primo suicidio del 2011 è di un ragazzo di 31 anni internato da sei mesi con misura di sicurezza provvisoria ad Aversa, che si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella), è fondamentale, per il percorso di chiusura di tali ospedali, l’intervento di politiche nazionali e regionali a questo finalizzate, alle quali unire le competenze, i saperi, le professionalità e le risorse di tutti.
La salute mentale, dunque, quale priorità nazionale e supremazia, nei fatti e negli atti, del pubblico servizio, alla quale deve unirsi la necessità di contrastare ogni forma di internamento, di manicomialità e violazione dei diritti.
«C’è la bellezza e ci sono gli umiliati. Qualunque difficoltà presenti l’impresa, non vorrei mai essere infedele né ai secondi né alla prima.»
Sì…è necessario ribadirlo ancora una volta…
Rif. 6°Forum di salute mentale, Arcireportsicilia, Associazione Antigone
1 thought on “Manicomio criminale”