La musica popolare sottolinea naturalmente i momenti della vita delle comunità. Nascite, danze, rituali contadini, funerali e, va da sé, matrimoni. Lo spunto della musica per le cerimonie diventa anche lo spunto per guardare a una delle fusioni più strettamente intrecciate della musica del Mediterraneo. La musica dei Balcani manifesta sentimenti forti, esplosioni pirotecniche e una tessitura ritmica molto più articolata di quanto si possa percepire con un ascolto distratto.
Al termine degli anni novanta, quando ancora l’esperienza brutale della guerra jugoslava era drammatica presente, le immagini dei film di Emir Kusturica – soprattutto Arizona Dreams, Underground e Gatto Nero, Gatto Bianco – e di altri registi balcanici hanno consegnato al mondo occidentale uno scenario allo stesso tempo esotico e vicinissimo, nuovo, sconosciuto quanto da secoli intrecciato alle tradizioni popolari del Mediterraneo.
L’idea di “matrimonio musicale” tra culture ed espressioni popolari diventa una esemplificazione quasi scontata, unione dal quale generare il nuovo. E se la Wedding and Funeral Band di Goran Bregovic rivela nel nome la provenienza di parte del repertorio, se le scene dei film si ambientano spesso all’interno di matrimoni e relative feste, il motivo è da ricercare nell’approccio che molte bande musicali dell’area balcanica hanno. Sono formazioni composte principalmente da ottoni e i musicisti sono prevalentemente gitani: il punto di partenza è già quello, quindi, di una miscela onnicomprensiva di suoni e culture. Miscela che diventa ulteriormente ampia se consideriamo – con le parole di Toni Kitanovski, chitarrista jazz macedone – che «i musicisti gitani che suonano ai matrimoni hanno nel loro repertorio qualunque tipo di musica e passano da uno stile all’altro senza eccessivi sforzi, semplicemente ricreando le atmosfere di ciascun genere.»
La regione balcanica è stata terra di passaggio e di conquista: le musiche seguono lo stesso destino. I ritmi dispari e le scansioni più semplici provenienti dalle danze albanesi diventano il supporto a melodie e colori armonici che attingono tanto alle tradizioni mitteleuropee che a quelle mediterranee. Il percorso delle peregrinazioni dei gitani attraverso l’Europa e il Mediterraneo riporta nella gestione del ritmo anche la predisposizione alla sincope, proveniente dalla clave, una scansione proveniente dall’Africa Occidentale, tramandata nella musica latino-americana, in quella africana e mediorientale e in alcune forme della musica gitana dei Balcani.
La presenza degli ottoni avvicina la fanfara balcanica e la brass band jazz in una visione ellitticamente similare. Sono vicini i presupposti di partenza e le occasioni per riunirsi e fare musica, sono vicini alcuni dei riferimenti stilistici. Ovviamente, sono due mondi che mantengono ciascuno la propria identità di linguaggio musicale e stilistico. Kitanovski ha formato con alcuni musicisti tradizionali un gruppo assolutamente fuori da qualunque etichetta, Toni Kitanovski & Cherkezi Orchestra: la storia del loro incontro rende bene le atmosfere della festa e la varietà dei linguaggi utilizzati. «Ho sentito questi musicisti zingari suonare a una festa e mi hanno assolutamente schiantato. Ero appena tornato dagli Stati Uniti, dove avevo suonato per anni forme libere, musica creativa: quel suono era irresistibile, con la sua connotazione così antica, così radicale. Otto anni dopo, mi hanno invitato ad essere il direttore artistico di un progetto speciale per il celebre Brass Festival di Gucha, in Serbia: dovevo unire tre brass band e diversi solisti della musica gipsy balcanica. Ho deciso di chiamare i musicisti che mi avevano tanto colpito otto anni prima. Dopo la seconda prova, era evidente che c’era una enorme quantità di spunti ottimi su cui lavorare. Loro si erano innamorati dell’atmosfera accattivante dei miei brani in stile New Orleans, così come di alcuni brani di Mingus che avevo portato, e mi hanno confessato il loro sempre inespresso desiderio di suonare jazz senza però trovare qualcuno che gli mostrasse come fare.»
Il suono della fanfara è il suono della festa. Ed è un suono che attinge in maniera “equanime” a tutte le tradizioni della terra balcanica. Basti pensare ai tantissimi musicisti che negli ultimi due decenni si sono affacciati alla ribalta – da Bregovic a Kitanovski, dalla Kocani Orkestar alla Fanfara Tirana ai tantissimi gruppi provenienti da ogni angolo dei Balcani. É un matrimonio rutilante di tradizioni alla convergenza di sentimenti e intenzioni musicali differenti: sa essere struggente e pantagruelico, estremamente umano e accattivante, un flusso continuo di musica capace di diventare punto di incontro, pur nelle specificità e nelle differenze, tra popoli dalla convivenza non sempre facile.