La transumanza è un’antica pratica della pastorizia che consiste nella migrazione stagionale del bestiame nel Mediterraneo e nelle Alpi e, anche se in maniera immateriale, è patrimonio culturale dell’Unesco. Questa umana attività è antichissima e costituisce una tradizione che affonda le sue radici sin dalla Preistoria e che, per quanto si sia ridotta radicalmente, si sviluppa anche oggi attraverso i passi ed i sentieri erbosi, i cosiddetti “tratturi”, che testimoniano quanto vi sia bisogno di un rapporto equilibrato, simbiotico, tra uomo, bestiame e natura perché un uso sostenibile delle risorse ambientali possa essere considerato come unico modello sostenibile, unitamente al rispetto per la qualità di vita dei capi di bestiame, dalla nascita sino alla loro macellazione. Tra “monticazione” ed “de-monticazione”, ossia le fasi che si compiono durante gli spostamenti che danno vita alla transumanza, la Campania è da sempre terra tradizionalmente vocata ad essa, oltre che punto di snodo focale dei passaggi da e per altre regioni: la prima avviene in primavera a partire dalla pianura verso i pascoli in alta quota e la seconda riporta la mandria, le greggi ed i pastori in autunno verso la pianura dopo l’alpeggio estivo. Secoli addietro l’usanza condizionava la vita del pastore in modo significativo, rendendola davvero dura, mentre oggi si può fare affidamento a stalle ben strutturate ed impianti per il foraggio, oltre ad altri comfort tanto per l’essere umano che animale.
Naturalmente la Campania ha per vocazione l’allevamento del bestiame sin da epoche remote e vanta la presenza di razze bovine di assoluto pregio. Presente in questa regione del Sud Italia da oltre due millenni abbiamo la Chianina, dalle carni magre, saporite e con un ottimo bilanciamento delle proprietà organolettiche, poi la Marchigiana, molto usata un tempo per il lavoro nei campi, tra le migliori razze di carne per il basso apporto di colesterolo, e la Podolica, considerata il ceppo della razza bovina discendente dell’uro, il Bos primigenius, che insiste in quest’area geografica da almeno sei millenni di storia e delizia gli estimatori con le sue carni chiare e saporite, tipicamente tenaci e resistenti. Inoltre è bene evidenziare che dalla selezione di specifiche razze deriva la carne del Vitellone bianco dell’Appennino Centrale a marchio Igp. Infine il mercato della carne di bufala, dagli ottimi valori nutrizionali e per il grande apporto di ferro, sta avendo un certo incremento e sembra il pubblico gradisca sia il consumo del prodotto fresco che in forma di salume o insaccato.
Un tale patrimonio di razze bovine richiede certamente una grandissima attenzione da parte delle istituzioni e degli addetti di tutta la filiera, dalla stalla alla tavola, ma anche conoscenza da parte dei consumatori, anch’essi deputati a valorizzarne il pregio con le loro scelte di acquisto. Un lavoro di questo tipo, dal punto di vista divulgativo, deve poter essere fatto presso le macellerie, le norcinerie ed i ristoranti specializzati nella selezione di tagli pregiati, al fine di poter orientare il cliente al miglior consumo possibile. Va da sé che gli operatori che si devono fare carico di trasmettere le giuste informazioni devono essere addestrati davvero bene ed acquisire competenze specifiche, anche se effettivamente è difficile trovare degli esperti che padroneggino una conoscenza omnicomprensiva dei processi riguardanti la filiera delle carni ed abbiano una visione d’insieme chiara.
Tra quei pochi abbiamo Sabatino Cillo.
Nato in Svizzera nel ’64, figlio di emigranti di origine sannita, ha portato a compimento gli studi dell’obbligo ed ha iniziato a lavorare sin dall’età di 13 anni e 9 mesi. Grazie ad una conoscenza di suo padre, muratore di mestiere ed orientato a sbarcare il lunario con lavori extra, conobbe all’epoca un macellaio svizzero che lo avviò al praticantato. Agli inizi era difficile per il giovanissimo Sabatino stabilire se vi fosse una innata passione ma quel che è certo è che gli piaceva lavorare e, tutto sommato, era abituato ad aiutare i genitori ad allevare e macellare piccoli animali da cortile tra cui polli e conigli. Togliendosi dalla strada e lavorando durante le vacanze estive, era soddisfacente guadagnare la paghetta da apprendista e a poco a poco la passione crebbe.
Dopo un apprendistato di tre anni e la frequentazione di un istituto professionale di tipo alberghiero Cillo è riuscito a maturare non solo la massima qualifica di macellaio ma ad ottenere persino l’abilitazione a formare nuove leve di questo settore, fino a tornare in Italia e mettersi in proprio. Reputa quali persone esemplari i membri della sua famiglia ed i suoi stretti collaboratori ma ad ispirarlo costantemente è il modello svizzero e Bruce Lee, motivo per cui ha svolto un percorso misto nelle arti marziali. Ha un cane e, tra gli animali che più lo rappresentano, ci sono la capra per la sua intelligenza, l’eleganza e la selettività per il cibo, il cavallo per il suo comportamento ed il suo senso della libertà ed infine il rottweiler, in quanto non abbaia ma sa il fatto suo. Sabatino Cillo abbraccia decisamente tutta la filiera, detiene la padronanza di tutte le tecniche necessarie ed è un gastronomo oltre che un grill master di lunga navigazione e. È stato insignito di diversi titoli e premi, tra cui spicca quello di Maestro del Gusto del 2018 nella settima edizione di GourmArte a Bergamo, rassegna in cui il suo Gran Cotto Arrosto di Antico Suino Nero Lucano è diventato leggenda.
Il percorso di vita di Sabatino Cillo è la dimostrazione chi lavora sodo attende premi, che commettendo errori si può crescere e migliorare, specie se si è determinati, soprattutto, dopo averlo conosciuto, ci si rende conto che esistono due tipi braceria: gli atelier della carne, come la sua Cillo’s Grill House, e le macellerie con i posti a sedere.
Come è nata la tua partnership con Gambero Rosso?
Direi a mia insaputa: forse qualcuno mi avrà visto ed apprezzato la mia maturità professionale, riportando quali miei tratti salienti l’abnegazione al lavoro a cui sono stato educato sin da piccolo e la mia singolare filosofia. Il mio è un percorso che dimostra quanto sia duro questo mestiere, quanto sia dinamico per i diversi aspetti e la formazione richiesta e quanto necessiti di costanti aggiornamenti per restare al passo coi tempi. Quando sono stato avvicinato da loro mi sono sentito ripagato per la tanta fatica e per l’impegno ad aggiornarmi, studiando attentamente il lavoro dei miei colleghi all’estero, facendo partenariato con diverse associazioni specializzate nel barbecue e, soprattutto, nel perseverare nell’arte dell’affumicatura cui ero abituato fin da piccolo in Svizzera. Mi sento molto onorato grazie a loro di poter condividere la mia esperienza duranti i corsi che svolgo per i più giovani.
Il tuo rapporto col cibo, piatti che preferisci, eventuali abilità culinarie e cosa ci abbini…
Sono un inguaribile onnivoro e quindi resto assolutamente aperto a tutte le opzioni ma sono allo stesso tempo molto selettivo ed esigente con i sapori, una deformazione professionale che mi deriva forse dalla mia esperienza di giudice durante contest culinari. Rispetto a questo mantengo l’umiltà di avvicinare i concorrenti dopo la gara, soprattutto quelli di cui ho apprezzato un certo stile, e chiedergli la ricetta per replicarla a casa. Adoro cucinare e grigliare, lo vedo come una forma di relax dalle fatiche degli allevamenti e della macellazione. Cosa amo di più? Venite a trovarmi ad Airola a lo scoprirete nel menù.
La filiera secondo Sabatino Cillo. Ce ne parleresti?
La mia filiera si sintetizza anzitutto così: tracciare e rintracciare. Il mio metodo deve essere eseguito al passo dagli allevatori selezionati da me personalmente, instaurando un altissimo grado di fiducia a partire da loro per poi diventare fiducia da parte del consumatore finale. Partire dal bollo di garanzia da cui scaturiscono certificazioni come quella di Accredia è solo un punto di arrivo da guadagnarsi costantemente ma prima delle carte c’è il pascolo, l’allevamento, il bestiame, l’alimentazione e la qualità di vita dell’animale, sino alle condizioni di macellazione.
Il tuo motto aziendale recita “non accettare carne dagli sconosciuti”, ce lo spieghi per cortesia?
Dal ricordo di mia madre e di quello che mi diceva, quando da piccolo uscivo in strada e mi raccomandava di non accettare caramelle dagli sconosciuti, per evitare i rischi che si possono immaginare. Ho pensato a questa frase perché credo sia indispensabile oggi considerare che la salute passa attraverso ciò che mangiamo e quanto sia importante avere la capacità di leggere e comprendere l’etichetta, soprattutto per un prodotto come la carne che richiede dei complessi processi di filiera e grande meticolosità. Il mio operato punta al soddisfacimento del cliente ma anche alla sua educazione: il messaggio significa in pratica curarsi attraverso una forma di alimentazione attenta e consapevole, passando attraverso il gusto e la gioia a tavola.
Un aneddoto che ti riguarda personalmente e che ti ha segnato positivamente…
Credo di aver maturato un discreto successo già anni addietro e un poco di tempo fa un affezionatissimo cliente, testimone della mia evoluzione professionale da oltre 20 anni, mi chiese: sarai in grado di dare ai miei figli un domani la stessa qualità che dai a me oggi? Quella domanda mi ha dato una tale sveglia da risuonare in me ogni volta che affronto delle scelte, imponendo a me stesso di chiedermi se sto andando verso la meta che mi sono prefissato: fare progressi senza cambiare la mia etica professionale e la mia promessa a chi mi premia scegliendomi.
Quali sono le razze che tu allevi personalmente in Campania e come possiamo aiutare il consumatore a scegliere bene nella ristorazione cosa ordinare?
Dopo anni di ricerca promuovo tra i miei allevamenti incroci tra le razze Frisona, Pezzata Rossa ed Angus: ci lavoro da almeno 8 anni con l’obiettivo di avere una gestione migliore della marezzatura, un controllo sul bilanciamento proteico, un sapore ed una specifica aromaticità, finalizzato a trovare la combinazione ideale per le mie personali ed esclusive selezioni. A parte questo chi mi conosce sa perfettamente quanto sono territorialista, a partire dall’aver salvato dall’estinzione l’agnello laticauda e restituendo valore al lavoro degli allevatori… non a caso ho aderito da tempo all’associazione Slow Food.
Chi mi onora di una visita sa che troverà sempre il suino nero casertano, il suino lucano ed il suino chiaro del Sannio, una razza pesante che, arrivando a superare di gran lunga i 280 chili, necessita di molta pazienza per essere allevato; trattiamo la razza Chianina, la Romagnola e la Marchigiana del Sannio, sempre gestite da noi lungo tutta la filiera, soprattutto quest’ultima allevata da noi e di grande caratterizzazione territoriale. Inoltre oggi proponiamo anche il Pollo di Picerno, sia bianco che rosso, rispettivamente con 70 e 120 giorni di età ed allevati come si faceva un tempo, ossia evitando antibiotici e di far soffrire gli animali.
Per aiutare il consumatore basta essere trasparenti, invitarlo a documentarsi e a chiedere i dovuti riscontri per risalire all’origine della materia prima e pretendere di essere informato su tutti i processi di filiera, soprattutto invitarlo anche a leggerlo quando si trova a dover operare una scelta da solo.
Cosa manca alla Campania per essere blasonata come la Toscana?
Serve riconoscere che tanto in Toscana quanto al Nord hanno iniziato ben prima col fare qualità, identificare gli opportuni criteri certificativi e fare teamwork. Bisogna fare sistema per forza di cose, ci vogliono i consorzi, quelli seri e soprattutto uomini mentalizzati a farli funzionare. Inoltre ci vuole maggiore vicinanza da parte delle istituzioni, parlo soprattutto dell’ente regionale campano: occorrono unione e incentivi in quanto la prima scarseggia, mentre i secondi sono pochi e non sono affatto mirati ad elevare un prodotto che sia davvero identitario.
Quali sono i requisiti che un giovane deve avere per iniziare un percorso come il tuo?
Per prima cosa ti deve piacere, almeno una piccola attrazione. La piccola macelleria rimane indietro mentre i supermercati l’hanno distrutti. Sacrifici, anche economici, scegliere un maestro per almeno due anni e finalmente diventare un professionista e capire cosa vuole, quali sfumature e specialistiche seguire. Sacrifici, amore e costanza, se ci credi le soddisfazioni arrivano, senza farsi ingannare dal mercato.
Faresti lo stesso mestiere oggi?
Se ami il tuo lavoro lo rifai ed io, dopo quasi 45 anni, posso dire di amarlo e quindi si, lo rifarei assolutamente. Certo avrei aperto altrove rispetto a quando lo feci a Moiano nel lontano 1985: ero giovanissimo eppure allestivo il banco già con le mie preparazioni fuori dal comune, ma dovetti confrontarmi con un territorio con diverse macellerie e soprattutto fatto di abitanti che anche sulle carni facevano autoproduzione. Ero troppo sulla difensiva ed aspettavo che fosse il cliente a venire da me, quando invece dovevo aprirmi al mondo, farmi conoscere dal mercato. Dopo qualche tempo, dissi a me stesso di accettare una nuova sfida, così decisi di dare un’altra svolta e migliorarmi ancora di più: mi dedicai ad altri corsi specialistici, frequentavo i ristoranti per offrire il mio prodotto ed ottenni la certificazione comunitaria col relativo bollo per la vendita delle carni in Europa. Col senno del poi anziché un punto vendita della carne avrei aperto una braceria ma in fondo sono un uomo fortunato ed oggi non posso rimproverarmi di niente e continuo a fare le cose con lo stesso impeto, la stessa dedizione e la stessa passione di allora.