Roma (ITALIA)Presentata a Roma la traduzione della prima graphic novel araba, che annunciava con due anni di anticipo la rivolta egiziana di questi giorni
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«Vogliamo dire addio a Mubarak e ai Fratelli insieme». È questo lo scopo della rivolta che sta sconvolgendo l’Egitto in questi giorni secondo Magdy El Shafee, autore della graphic novel “Metro”, uscita nel 2008 e immediatamente censurata dal governo egiziano e ritirata dal commercio perché, secondo la sentenza di condanna emessa dal tribunale di Qasr elNil del Cairo, «contiene immagini immorali e personaggi che assomigliano a uomini politici realmente esistenti».
Il pubblico italiano potrà constatare la “fondatezza” delle accuse rivolte al libro, introvabile da tempo nelle librerie egiziane, grazie all’edizione pubblicata dalla casa “Il Sirente” nella collana “Altriarabi”, presentata a Roma a dicembre.
«Il comics non deve sempre raccontare storie di supereroi – ha detto l’autore – ma può essere uno strumento per parlare di temi sociali forti, impegnati. Quello che mi ha spinto a scrivere “Metro” è l’assoluta mancanza di giustizia sociale del paese. Rispetto i valori della società in cui vivo, e sono favorevole alla diversità e al pluralismo, ma credo nella mia libertà e rispetto quella altrui: non permetto a nessuno di impormi delle regole». Parole che, lette sulla scia delle manifestazioni di massa che hanno risvegliato la coscienza popolare egiziana in questo periodo, sembrano avere un che di profetico.
El Shafee è sceso in piazza in questi giorni unendosi ai dimostranti che chiedono la cacciata di Mubarak: «Rifiutiamo i cambiamenti che ha fatto Mubarak, come la nomina di Sleiman e Shafiq – ha dichiarato all’agenzia Aki – poiché provengono da quello stesso governo corrotto. Non li voglio io e non li vuole nessuno di coloro che aspirano al cambiamento».
Ha accusato il Ministero dell’Interno del suo Paese di essere «dietro le operazioni di rapina e saccheggio compiute da alcuni elementi in questi giorni in Egitto», aggiungendo: «Sono loro i delinquenti che falsificavano le elezioni a loro favore». Ha chiesto «un governo di transizione guidato da Kamal alJanzuri, ex primo ministro che gode ancora di grande popolarità, per la durata di un anno, durante il quale si possa procedere a cambiare la costituzione e ad accrescere la consapevolezza della gente in senso democratico, in modo che possa scegliere i propri rappresentanti in base alle idee, ai programmi e alle promesse vere».
La lettura di “Metro” può aiutare a capire quello che sta succedendo in Egitto, spiegando l’origine della rabbia popolare che ha spinto la gente a dire basta al regime. Il libro si propone come una novità assoluta, utilizzando le immagini al posto delle parole per far arrivare il messaggio in modo diretto e preciso. Il protagonista, Shihab, è un giovane programmatore indebitatosi fino al collo con un usuraio per colpa di un politico corrotto. Sentendosi ormai senza via di fuga, e dopo aver assistito all’omicidio dell’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo, Shihab decide di rapinare una banca insieme all’amico Mustafa, per trovarsi a sua volta intrappolato in una storia di corruzione politico-finanziaria. Shihab è il rappresentante di una generazione di milioni di giovani egiziani, capaci e motivati, che non riescono a realizzare i propri progetti a causa della corruzione dilagante nel paese e della crisi economica e politica che soffoca le loro intelligenze. Insieme a lui Dina, giornalista rivoluzionaria e coraggiosa che vorrebbe, come molti giornalisti in Egitto, gridare la verità e ribaltare il sistema senza aver paura di nascondersi; Mustafa il cui fratello, a causa della povertà in cui vivono, è diventato un picchiatore del regime; l’anziano lustrascarpe Wannas, portavoce di quella che è forse la parte più ai margini della società egiziana.
I personaggi si muovono sullo sfondo delle fermate della metro cairota che intervallano la narrazione e la vita nella metropoli è descritta con assoluto realismo grazie ai disegni, in parte lasciati in arabo, che fotografano il Cairo in modo preciso: le strade di Wst elBalad, vicinissime all’ormai famosa piazza Tahrir, i camioncini della catena Cilantro, le insegne dell’Alfa Market, perfino le antiche statuette egizie nella stazione di Sadat e il poster della star del calcio locale Abu Treka. Addirittura le suonerie dei cellulari che sono adattate al proprietario! Una fotografia resa ancora più viva dall’uso della lingua: il dialetto egiziano della strada, lo slang più crudo e popolare, che ha procurato all’autore l’accusa di volgarità. In realtà invece quelle espressioni, che danno anche un tocco di comicità alle scene (caratteristico degli egiziani è il riuscire a trovare il lato comico anche nelle situazioni più tragiche), rendono se possibile ancora più realistica la storia. Ed è proprio questo forse che ha spaventato maggiormente la censura, poiché l’uso della lingua della gente comune rende il romanzo più accessibile a tutti.
«Ho scelto di usare l’egiziano dei blog piuttosto che l’arabo classico – ha detto El Shafee – perché credo che questo strumento linguistico porti avanti una piccola rivoluzione letteraria. La diffusione di internet ha portato ad una forte apertura nei confronti della realtà esterna e al desiderio di osservare e capire il proprio contesto in raffronto con il mondo intero, per provare a cambiare le cose». E a sostegno di quanto affermato dall’autore, la rivolta egiziana che sta chiedendo la cacciata di Mubarak è partita proprio dal popolo del web, attraverso un tamtam virtuale nato dalla gente comune, senza ideologie di parte né politiche né religiose, ma basato semplicemente sulla rivendicazione dei propri diritti, sul desiderio del popolo egiziano di riprendersi il proprio paese ormai soffocato dalla morsa della corruzione. L’Egitto sembrava essere arrivato ad un livello di rassegnazione tale da impedire qualsiasi forma di opposizione, così come dice lo stesso Shihab in “Metro”: «Le persone vivono come anestetizzate, non c’è niente che le colpisca. Per quante cose possano vedere, alla fine diranno sempre: fratello, questo è pur sempre il mio paese». E ancora: «I giornali sono una delle nostre più grandi tragedie… Intendevo giornali, televisione e tutte le altre cose che ci hanno abituati alla sottomissione, al fatto che la corruzione resterà tale e quale… all’oppressione, alle code per un pezzo di pane…». Alla fine però uno strumento semplice e a portata di tutti come internet è riuscito a far smuovere le masse, permettendo ai cittadini di esprimere la propria idea e condividerla con gli altri. Bastava che qualcuno desse il la perché altri riuscissero a prendere coraggio e credere davvero che il cambiamento fosse possibile. Così anche Shihab aggiunge: «Non mi faccio distrarre dalla cronaca… Non dimentico i veri responsabili!». E questo perché, come ha detto El Shafee in questi giorni di rivolta, «quello egiziano è un popolo civile ricco di creatività, e questa è la sua caratteristica migliore».