E’ nei confronti del problema rifugiati, nel corso dell’ultima guerra balcanica, che abbiamo appreso dell’ospitalità albanese verso i fratelli kosovari. Ospitalità che ha superato ogni possibile aspettativa e i mezzi economici degli stessi cittadini della madrepatria.
Gli albanesi sono sempre stati orgogliosi della loro ospitalità. L’apertura delle porte albanesi, come anche la spartizione del tozzo di pane quotidiano con i rifugiati, sono fattori che hanno contribuito a trasformare radicalmente l’erronea visione concepita riguardo questo popolo. Quest’atmosfera, tuttavia, sarebbe palpabile a noi tutti e in tutti gli incontri che si avrebbero durante un eventuale soggiorno in terra albanese.
Di pane, di sale e di cuore. La “mikpritia” ovvero l’ospitalità albanese è tutta qui, secondo un antico proverbio di questo fiero popolo. L’ospitalità è uno dei componenti fondanti della cultura albanese, il tratto caratteristico di molte città, sottolineato quasi sempre perfino nei libri che parlano del paese delle aquile. Chiunque sia cresciuto in Albania, potrebbe testimoniare il grande via vai di parenti e amici per un qualsiasi evento: una nascita, un matrimonio, un fidanzamento, una circoncisione, sono sempre state l’occasione buona per aprire le porte di casa e ricevere ospiti. Quasi sempre nella case albanesi c’è la “camera degli ospiti”, generalmente la camera meglio arredata e in perfetto ordine.
Basta fermarsi ad ammirare il paesaggio che qualcuno, indovinata o anche solo presunta, la stanchezza subito ci inviterà ad entrare nella sua abitazione, senza che possa mai mancare l’offerta di un ristoro di benvenuto, almeno un bicchier d’acqua, più spesso un caffè, rituale essenziale e inevitabile della cultura dell’ospitalità albanese. Un caffè che può durare anche ore.
Per noi occidentali è una specie di mondo alla rovescia, eppure l’Albania ha nella sua tradizione particolari gesti di cortesia, strettamente connessi al concetto di ospitalità, un concetto simile a quello del cliente sacro descritto da Omero nella letteratura classica.
Per gli albanesi la convivialità e l’ospitalità sono valori fondamentali e l’ospitalità in particolare, al pari di molte altre tradizioni, è una delle leggi contenute nel “Codice Kanun“, il diritto consuetudinario delle montagne dell’Albania, un testo scritto da Lekë Dukagjini, nel XV secolo, anche se molte delle leggi presenti nel codice hanno un’origine più remota. Il Kanum, documento spirituale che appartiene più alla storia che all’attualità dell’Albania, è un complesso di leggi morali e regole di origini arcaiche, che pone al centro della società, non l’individuo, ma la famiglia. Uno dei pochi codici conservati in Europa e che “che ogni persona giusta” in Albania sente proprio. Secondo questa tradizione, quando un ospite entra in casa, per il capofamiglia è un onore e lo accoglie con gioia. All’ospite verrà mostrato il massimo del rispetto e gli sarà offerto un posto a capo del tavolo. L’ospite verrà quindi intrattenuto con il meglio che la famiglia ha da offrire, di solito sotto forma di cibo tradizionale raki (grappa) e liquori artigianali.
L’ospitalità, che sicuramente ha un’origine più lontana, è uno dei valori principali degli albanesi, visto che buona parte di questo canone era spietato se non sanguinoso. Una persona doveva essere ospitata ed onorata ad ogni costo. In molti casi, si finiva per ospitare anche momentaneamente persone “avversarie”, appartenenti ad un clan nemico, ma la legge valeva lo stesso anche in questo caso. Anche se a bussare alla porta fosse stato l’uccisore dei propri familiari, egli era fatto entrare e ricevuto con quanto di meglio si potesse. Infatti, riguardo all’ospitalità, il Kanun sottolinea: “La casa di ogni albanese è di Dio e dell’ospite” [Libro VIII, capitolo XVIII, punto 602 (edizione del 1933, stampato a Scutari)]. L’ospitalità albanese è indipendente dalle condizioni del viandante. Sempre è pronto del pane, del sale e un giaciglio, insieme al buon cuore, da offrire a chi chieda ospitalità.
L’ospitalità, dunque, in Albania è talmente tenuta in considerazione che l’ospite è considerato quasi come un dio. Il Kanun comprende ben 38 articoli dedicati al modo di trattare un ospite, che prevedono non solo di mettergli a disposizione senza limiti cibo, bevande, il posto migliore a tavola e qualsiasi altra comodità, ma addirittura il dovere di vendicarne l’uccisione nel caso che questa dovesse avvenire durante una visita in casa propria. Inoltre quando l’ospite partirà si sarà tenuti ad accompagnarlo fin dove lui vorrà.
L’offesa fatta ad un elemento della famiglia può anche venir perdonata, ma l’offesa arrecata al proprio ospite non può essere perdonata perchè essa lede l’onore del capo famiglia; e la questione non è chiusa senza una vendetta attuata. Così il tradimento fatto al proprio ospite viene vendicato col sangue dal capo famiglia perchè un Albanese non può venire a compromessi con la propria morale, e dare sicurezza al proprio ospite è un vero obbligo sociale e morale.
In un romanzo dal titolo “Aprile spezzato”, Ismail Kadaré narra la storia di due famiglie in conflitto tra loro. Una notte, scrive l’autore, in un villaggio albanese, un uomo, probabilmente un viandante, un forestiero, bussò alla porta di una casa per chiedere asilo ed ospitalità per la notte; quelli della casa, i “Berisha”, come voleva il Kanun, lo accolsero come se quello stesso fosse il padrone. Il mattino seguente l’ospite andò via di buon’ora, ma arrivato alla strada fu raggiunto da un colpo di fucile e cadde a terra privo di vita. L’uomo era stato accompagnato fino ad un certo punto dal componente più giovane della famiglia, che non appena aveva avvertito lo sparo si era girato ed aveva visto il corpo senza vita per terra, immobile. A quel punto era scappato a casa e aveva raccontato la vicenda ai suoi, ma purtroppo non aveva visto chi aveva sparato. “Secondo il Kanun, l’ospite, accompagnato sotto la protezione della “Besa” (la parola data), doveva essere vendicato da colui sotto i cui occhi era stato ucciso”.
Nacque una disputa sul fatto che il morto avesse già lasciato la casa prima di essere ucciso, che il ragazzo che lo accompagnava aveva già girato le spalle al momento dello sparo, che era già oltre il confine del villaggio, ma a queste obiezioni fu risposto dalle autorità, riunite in un’apposita commissione, che quando il forestiero era caduto sotto il colpo era da considerare ancora ospite della famiglia, quindi dovevano “vendicarne la morte”.
Nel Kanun, dunque, si parla dell’onore e dell’ospitalità come parte del Kanun ma anche come una virtù del popolo albanese. L’altro valore fondamentale cui è connessa la Besa è quello dell’onore. La violazione di questa disonora, ed infatti l’ospitalità onora la casa dell’albanese. E nella concezione del Kanun il disonore è strettamente connesso alla violazione di questo. Il reato, la violazione del codice, la violazione della Besa si identificano nel disonore e sono la stessa cosa. Nella cultura albanese accogliere, ospitare, significa porsi dinnanzi all’altro in atteggiamento di disponibilità alla conoscenza reciproca, all’apprezzamento, alla simpatia, all’affetto. Vuol dire considerarlo come persona come “dono di Dio” che arricchisce.
E’ l’incontro di due ricchezze e di due povertà che si integrano e si completano a vicenda nella logica dell’ospitalità. L’accoglienza è lo spazio del dialogo cioè della “contaminazione”, luogo dell’umano che siamo e sappiamo esprimere. In questo orizzonte si colloca anche l’accoglienza dello straniero. L’ospitalità è l’accoglienza di un forestiero allo scopo di concedergli oltre il cibo e l’alloggio anche la protezione sociale e giuridica nell’applicazione delle norme vigenti.