Prima di avvistare “Isla de las Paloma”, più su a Nord, e accostare a dritta, per quanto ancora a leghe e leghe di distanza dallo Stretto, già lo senti.
E’ da Luglio ad Ottobre e nel mese di Marzo che spira sul Mar di Alboran e lungo lo Stretto tra Ceuta e Tarifa il “Levanter”; ancor prima di incocciare lo schema di separazione del traffico o di dirigere la prua su “Europa Point” soffia forte da Est e già lo senti, proprio quando sei intento ad osservare il moto delle navi o ad annusare l’acqua di cui le nubi, più avanti, talvolta son gravide, presagendo i piovaschi. Questo Vento tipico delle Colonne d’Ercole porta con sé il rumore delle onde che verranno ed un’aria satura di iodio e sentori familiari, strappando gli aromi della Macchia Mediterranea ai Monti dell’Atlas ed alla Catena del Rif magrebino convogliandoli sino alle narici del Navigante… già lo senti: è il profumo del Mirto, un accenno del Mare di Mezzo portato dal vento, quella traccia che ti coglie di sorpresa prima ancora di intravvedere la Rocca di Gibraltair e che significa che stai navigando verso Casa.
Il mirto (Myrtus Communis), noto anche col nome di mortella, è un arbusto sempreverde appartenente alla famiglia delle Myrtacee, precisamente alla forma biologica delle Fanerofite cespugliose (P caesp); è una pianta legnosa con comportamento cespuglioso probabilmente originaria dell’Asia e del Nordafrica (sono diffuse anche altre tipologie in Australia e nelle regioni tropicali) e per quanto gli altri esemplari siano migliaia essa è l’unica componente delle mirtacee ad essere presente in Europa. È ormai da millenni però che il mirto nasce spontaneo (ma può essere anche riprodotto: per margotta, talea o semina) in quasi tutto l’areale del Mare Nostrum ed è comunissimo della Macchia Mediterranea bassa (di rado in quella alta) e non è un caso se tutta la tradizione mediterranea è un intreccio di leggende e di credenze sul mirto.
Il Vento, foriero di messaggi, annuncia al Navigante attraverso l’odore del mirto il passaggio dall’Oceano al suo Mare… è un tuffo fragoroso e dolce sentirlo, come l’ancora quando dai fondo nelle rade familiari, come ormeggiare nei porti di mare da sempre battuti e più vicini e simili al tuo paese, come ricevere un acconto di quegli abbracci dai propri cari dopo un lungo tempo. È avvicinare sé stessi alla propria Patria, ossia ad ogni singolo luogo dove il cuore si frammenta con gioia per restare accanto a tutti gli affetti. E sentire il mirto tanto addentrato nel Mito mediterraneo di cui certo i marinai hanno memoria fa capire quanto in realtà la propria sete di conoscenza e avventura, tutti i prodigi della Terra attorno al Mare, continuano ad accadere in questa parte del Mondo senza bisogno di sfidare gli Dei e andare oltre Gibilterra.
Il legame tra Mirto e leggenda infatti è molto più antico della stessa etimologia attuale della parola e confluisce nella religione ebraica: l’arbusto in ebraico è reso dalla parola “hadas” derivata da Adàssa, uno dei nomi di Ester, la quale salvò gli Ebrei dalla strage fatta ordinare da Aman. “Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non scomparirà” e “Cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in sorgenti. Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti” sono i passi biblici più importanti in cui viene fatta menzione del mirto.
Nell’accezione moderna la parola deriva dal greco “myrtos” (“myrtus” per i latini) e significa essenza profumata. È la pianta sacra agli Dei per antonomasia e seccondo la mitologia greca prende il nome da Myrsine, fanciulla dell’Attica uccisa per invidia dall’amico coetaneo da lei battuto ai giochi ginnici e che Atena, mossa a compassione dalla triste morte, tramutò in arbuso profumato; d’altronde Myrtò, l’amazzone che aveva combattuto Teseo come fece in Libia la sua regina Myrìne e la stessa Myrsìne, sibilla di Dodona morta a causa di un infausto vaticino, sono tutti nomi provenienti dalla stessa radice e che lasciano ben comprendere quanto la pianta fosse già a quei tempi in stretto legame con la femminilità. Inoltre sia la cultura greca che latina associano il mirto alla fecondità, alla vita affettiva piena consacrandola alla divina Afrodite ( considerata Ishtar, la dea androgina, già Astarte per i babilonesi) che, sia alla nascita che dopo il giudizio di Paride sorgendo ignuda dal mare in tutta la sua bellezza, per sfuggire ai Satiri, dovette nascondersi dietro un cespuglio di questa pianta.
Ed i marinai che cara hanno la dea Venere-Afrodite ed ogni forma di bellezza del creato sono da sempre grati al mirto che è sinonimo di salvezza, amore e vitalità.
Infatti è Ateneo a tramandare di quando Erostrato, devoto ad Afrodite, fu colto da furenti flutti e tempesta durante una traversata in mare e che in quella circostante la dea apparve improvvisa in forma di foglie di mirto uscite dalla statuina votiva ch’egli portava con sé, fatto che diede non poco vigore alla fede e al coraggio dei marinai che trovarono sicuro approdo; Erostrato per gratitudine depose la statuina e le foglie di mirto nel tempio di Afrodite intrecciando in omaggio una corona coi rami della nobile pianta da allora chiamata “Naucràtis“, ossia “Signora delle Navi”. Da allora è stato considerato di buon auspicio sia per intraprendere la navigazione in generale che per affrontare le traversate per fondare nuove colonie, ornando il capo dei viaggiatori e dei naviganti con con corone di mirto appunto. Un canto cretese sostiene che il mirto avesse poteri afrodisiaci, che bisognasse coglierne un ramo se si volesse essere amati e che addirittura al sol toccarlo si restasse folgorato da una nuova e durevole passione.
Ma Il mirto rappresenta l’amore nelle sue varie manifestazioni: l’amore passionale, quello coniugale, quello casto e innocente, l’amore spirituale persino
Pianta portentosa cara persino a Marte, tanto più che veniva associata nel nome alle Amazzoni come abbiamo già visto ed, assieme all’alloro, cingeva il capo dei vincitori; ma in un tempo in cui l’Amore, la Guerra e la Morte si trovavano sullo stesso piano il mirto ebbe anche significato funereo: la leggenda narra che Dioniso, il “nato tre volte”, dovette scendere in Ade per poter liberare la madre Semèle (Selene per altri), folgorata da Zeus, lasciando in cambio però una pianta di mirto che da allora crebbe prolifera nell’Aldià.
Vita e Morte, l’evolversi ciclicamente dell’esistenza in tutt’uno, il mirto ed il cipresso nella dualità della luce e delle tenebre che da sempre accompagnano il cammino dell’uomo.
Prevale comunque il senso della vita pulsante in questa nobile pianta tanto che in molte culture veniva usato per benedire i bambini appena nati perché potesse dare loro salute, bellezza e gioia di vivere. Dal legno si riteneva emanasse radiazioni vitali. Astrologicamente si riteneva avesse una valenza planetaria in Venere, Sole e Mercurio, mentre i cinesi lo considerano da sempre nell’ambito dello “yang”.
Fortissima la la venerazione per la pianta anche nell’Antica Roma, considerata “città del mirto” proprio perché il cespuglio arbustivo era già preesistente sul territorio in cui fu fondata. Le fronde di mirto già dal 500 a.C. divennero simbolo di vittoria (anche per atleti e poeti) tanto che il Senato concedesse al vincitore di una battaglia di salire sul Campidoglio con una corona di mirto e sacrificare una pecora; la pianta simboleggiava al tempo anche la vittoria ottenuta senza spargimento di sangue. Plinio, soprannominandolo “Myrtus coniugalis” perché presente nei bancheti nuziale quale augurio di vita prosperosa, ne riprende il simbolo legato alla fertilità e riteneva il mirto primo arbusto ad essere piantato nei luoghi pubblici per ingraziarsi Venere; anche Ovidio, nel 43 a.C., riprese dalla cultura greca il mito legato alla dea della bellezza che, nata dal Mare, approdò sulla spiaggia di Citara e coprì le sue nudità coi rami di mirto; infine, negli ultimi secoli dell’impero romano il mirto continuava ad essere considerato propiziatorio per i giovani sposi che venivano toccati con le sue fronde all’altezza del cuore, adornando la loro abitazione e col quale si intrecciavano ghirlande per le feste nunziali… tradizione viva tutt’oggi in alcune regioni italiane dove si compone il bouquet della sposa coi rametti di mirto fiorito.
Ma se esiste una regione al mondo in cui il mirto assume la sua più autemtica espressione, riveste un ruolo importantissimo per la flora e si radica a fondo nella cultura popolare, condensando il Mito, la Tradizione e le usanze, questa è la Sardegna… si pensi alla sua funzione nelle associazioni fitoclimatiche xerofile peculiari del climax botanico dell’Oleo-Ceratonion Siliquae e dell’Oleo-lentiscetum: ha un valore importante nella rigenerazione di questo ecosistema costantemente arido poiché, in caso di incendio, anche se brucia con facilità si riproduce abbastanza velocemente.
Dall’aroma inconfondibile, quasi eucaliptato e resinoso, l’elegante arbusto ama essere baciato dal sole di Sardegna; prediligendo il clima mite, esso resiste alla siccità e mal sopporta il gelo, propagandosi dal livello del mare sin quasi i 500 metri di altitudine tra rocce, terreni ben sciolti, permeabili e dal substrato sabbioso con esposizioni assolate ed ariose. Ritto e dalla fitta e compatta chioma, il fusto del mirto ramifica sin dalla base, presenta una corteccia liscia e grigiastra a frattura longitudinale con rami opposti e ramuli angolosi (rossiccia per i rami giovani e a strisce fibrose in quelli adulti), capace di raggiungere anche i cinque metri di altezza.
Dai rami alle foglie e dai fiori alle bacche, il mirto conteniene un olio essenziale (Marocco, Italia, Tunisia e Francia sono i principali produttori), il mirtolo, contenente una poliedrica ricchezza di principi attivi quali mirtenolo, geraniolo, canfene, tannini e resine assieme a sostanze come l’acido citrico, malico e la vitamina C, che lo rendono una pianta dalle molteplici proprietà officinali; gli si attribuiscono dunque proprietà antiinfiammatorie, diuretiche, balsamiche, astringenti ed antisettiche, giustificando il largo impiego in campo erboristico (creme di bellezza e detergenti intimi efficacissimi a sanare anche infezioni genitourinarie) e farmaceutico per la cura e la tonificazione degli arti inferiori e prevenirne la dilatazione venosa, per guarire le affezioni a carico dell’apparato digerente, delle mucose orali e del sistema respiratorio (soprattutto se utilizzato come unguento per il torace o attraverso inalazioni a getto di vapore), incluso catarro e bronchiti; infine, l’essenza di mirto diffusa attraverso un apposito bruciatore purifica l’aria negli ambienti in cui i malati abbiano avuto degenza (l’essenza di mirto, sia nei bambini che negli anziani, è meglio tollerata di quella all’eucalipto) donando tranquillità interiore. Le fronde di mirto possono essere impiegate per profumare la biancheria se depositati in cassettiere ed armadi, mentre i pigmenti contenuti in ogni sua parte vengono impiegati per conciare il cuoio e per produrre inchiostro; infine il legno è utile per tornire alcuni oggetti di uso quotidiano, oltre ad essere un ottimo combustibile.
Le sue foglie, coriacee e aggraziate allo stesso tempo, presentano una forma ovale-lanceolata ed un colore verde brillante con digressioni di colore sino al rosso a seconda della stagione; pestate fresche o frantumate una volta essiccate rilasciano una complessa e gradevole fragranza che rievoca l’odore emesso dall’albero di arancio e dalla buccia delle arance amare, proprio grazie alle proprietà balsamiche del mirtenolo. Grazie ad esse se ne ricavano decotti addolciti al miele capaci di apportare benefici a tutto il sistema immunitario ed in grado di sedare i malanni nella stagione invernale, una panacea per le infiammazioni delle vie aeree; impiegate come infuso inoltre, costituiscono un valido antiemorragico ed un efficace astringente intestinale, anche in presenza di emorroidi. Aggiungendo le foglie all’acqua del bagno, oppure frizionandone l’infusione direttamente sulla pelle, dona tono e bellezza a tutto il corpo, aiutando a ridurne l’ eventuale untuosità e contrastare la sudorazione.
I fiori, dalla corolla bianco crema a cinque petali e dagli stami dorati, sbocciano da giugno a settembre, emanando un delizioso profumo. Si raccolgono nei mesi mediani a questo periodo e la loro essenza è impiegata in profumeria e cosmetica: è la base della nota Acqua degli Angeli, dalle indiscusse proprietà tonificanti, decongestionanti e astringenti ottime per la salute dell’epidermide. Anche se i fiori del mirto non contengono nettare vengono ugualmente bottinati dalle api per il lor polline che concorre, per lo più, alla produzione di miele millefiori o monoflorali.
I suoi frutti, bacche ovoidali dalla colorazione bluastra (al culmine dell’invaiatura), maturano in autunno e vengono raccolti generalmente da Novembre a Gennaio; costituiscono una fonte di cibo per diverse specie di uccelli, oltre ad essere eduli (20 kcal/100 gr) per l’uomo, avendo sull’organismo, oltre ai succitati benefici, effetto carminativo. Le bacche destinate alla produzione del famosissimo Liquore di Mirto, digestivo squisito e dalle grandi virtù, vengono raccolte rigorosamente a mano oppure con l’apposito pettine e, per considerarsi mature, devono essere sode, profumate, macchiare ed appiccicare leggermente. Il Liquore di Mirto, ottenuto per macerazione attraverso l’infusione alcolica delle bacche o mediante corrente di vapore, è tra i prodotti più tipici di Sardegna e del quale i sardi vanno molto fieri (esiste anche, meno diffuso, il Mirto Bianco ottenuto mediante infusione idroalcolica dei giovani germogli da non confondersi con la versione preparata con le bacche non pigmentate); i massimi produttori costituirono nel 1994 la “Associazione Produttori Liquore Mirto di Sardegna Tradizionale” grazie al patrocinio degli enti preposti e alla collaborazione dell’Università di Sassari e dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, ottenendo di conseguenza nel 1997 la registrazione del marchio “Liquore Mirto di Sardegna Tradizionale dell’Associazione Produttori”. Il mirto riveste anche una certa importanza storica in quanto costituisce una dimostrazione degli scambi che i Popoli del Mare e gli Shardana ebbero con gli Ebrei i quali, all’epoca di Mosè, pare avessero consuetudine di bere un alcolico preparato proprio a base di bacche dell’arbusto mediterraneo e di cui si è persa la memoria del procedimento immediatamente dopo l’Esodo; è stato grazie allo spirito d’iniziativa e alla collaborazione tra due docenti presso l’Università Cattolica di Parigi, il rabbino israeliano Gabriele Hagai e la ricercatrice cagliaritana Roberta Collu ispirati proprio dal liquore sardo, che la tradizione ebraica di bere il mirto è potuta rinascere: è stata infatti avviata di recente una produzione di 10 mila bottiglie, tutte rigorosamente “kosher”, di mirto “Hadhassiya” , eseguita da due noti produttori di mirto a Muravera, supportati dai due studiosi, e commercializzata a livello internazionale col brand “Tresòrs de Tarsìs“.
Diffusa in tutta l’area mediterranea è la consuetudine di impiegare foglie e bacche di mirto in cucina sia per insaporire preparazioni di terra che di mare, ma è sempre in Sardegna che il mirto incontra la gastronomia con tipicità e particolare perizia: basti pensare al “porceddu a su carraxiu”, alla “sa pudda cun sa murta” (gallina sui carboni, oppure lessa avvolta in un canovaccio consumata al momento o raffreddata e messa in barattolo per essere offerta come “starter”), ai “pillonis de taccula” ( generalmente tordi o merli infilzati con rami di mirto in gruppi da otto, lessati o allo spiedo) e all’agnello arrosto prepato nel periodo pasquale, oppure al branzino al cartoccio con foglie di mirto essiccate e vino bianco e a dei gamberoni al forno marinati col liquore di mirto , per fare l’acquolina in bocca. Per non parlare dei formaggi: pensate al pecorino sardo e formaggio di pecora che si fonde nelle seadas ricoperte di miele di corbezzolo aromatizzata col mirto; originali e deliziose le gelatine ed il cioccolato. Tutti in odore e sapore di mirto, che conferisce pregio anche alla salamoia per le olive nere, assieme all’alloro e al finocchietto selvatico, e non può che corroborare le proprietà del tè, arricchendone l’aroma, se si aggiungono alcune sue foglie all’infuso.
Il Mirto è l’Estate che si festeggia tutto l’anno e si raccoglie, bacca dopo bacca, danzando sino alle soglie dell’Inverno; è la scia odorosa sulla quale navigano le idee e si fissano le aspirazioni nei periodi di mutamento, il profumo dell’accoglienza mediterranea che rende ogni atmosfera armoniosa. È un bacio blu che la terra riceve il mirto primitivo che si rinnova, un bacio che la terra dona al Vento e che, in forma liquida, potente e dolce scalda i cuori e rinsalda l’amicizia.
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