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Il connubio improbabile tra musica e covid sta segnando una rapidissima evoluzione in un ambiente artistico tradizionalmente a contatto diretto con il pubblico. Il settore musicale è fra quelli che più ha risentito delle restrizioni contro il virus del 2020. Interi tour annullati, concerti andati in onda senza spettatori e conseguente calo di vendite degli album. La musica non si ferma e non si è fermata. All’insegna l’hashtag #iorestoacasa la musica si è scatenata a partire dai flashmob casalinghi dai balconi e dalle terrazze di tutta Italia nei mesi del lockdown più duro. Con le riaperture estive dei locali la musica ritornava pian piano ad animare le serate, ma l’ultimo dpcm ne detta ancora una volta lo stop. Un fermo che questa volta sembra l’atto finale per i gruppi e le band locali. La musica però è un organismo vitale che si rigenera con una velocità senza precedenti ed entra nella rete. Gli artisti si riorganizzano e i concerti possono ritrovare, in maniera alternativa, il proprio pubblico. Il palcoscenico diventa allora virtuale? Come hanno reagito le band locali, quelle che animavano il sabato sera prima della pandemia?

Ne abbiamo parlato con il bassista Francesco Fois, fra i protagonisti delle serate musicali cagliaritane, che racconta come si evolve il modo di fare musica nell’era Covid.

E’ possibile per le band fare musica a distanza, rispettando tutte le norme anti Covid, senza che i membri si incontrino?

Certo, si suona a distanza. Si organizzano dei gruppi virtuali e si suona ognuno a casa sua. Si compongono anche le canzoni in questo modo, utilizzando dei programmi informatici per la registrazione e la composizione musicale che funzionano praticamente come uno studio di registrazione. Ogni musicista registra le proprie tracce da casa, magari senza aver mai neanche visto in faccia gli altri membri del progetto. Grazie a internet si sono praticamente eliminate le distanze e persone di paesi diversi, addirittura di diversi continenti, possono interagire e metter su progetti senza fare un solo minuto di sala prove e un metro di strada.

Quali sono gli aspetti positivi di questo nuovo modo di suonare?

La cosa positiva è che in certe situazioni e in quella che stiamo vivendo in particolare o fai così o non suoni con nessuno! Nel senso che se non puoi uscire di casa puoi suonare comunque. Addirittura si può suonare live insieme ad altri musicisti, ma a Km di distanza l’uno dall’altro. Può essere anche un modo nuovo di suonare con gli altri del tuo gruppo con i quali condividevi la sala prove fino a qualche mese fa. Sicuramente questo modo di fare musica è determinante in casi d’emergenza, ma aimè, potrebbe diventare quasi routinario anche nei casi in cui si decida, per mille esigenze, di alternare momenti di musica realmente suonata insieme a momenti di musica suonata in solitudine quando l’emergenza sanitaria sarà finita.

Che peso ha il web nel farsi conoscere come musicisti?

Ormai siamo nell’epoca dell’esasperazione dell’immagine, spesso contraffatta, dell’apparire più che dell’essere, dell’esteriorità più che dei contenuti. I social la fanno da padrone, con le condivisioni e la ricerca dei consensi a tutti i costi con quanti più like si riesce a collezionare. Per intenderci, io non utilizzo i social, non ho mai avuto un profilo Facebook o Instagram, non utilizzo neanche whatsapp! Vivo e suono benissimo lo stesso. Ma al giorno d’oggi se non hai un profilo Facebook e non sei sui social anche come band e non metti in rete immagini e video di quello che fai, praticamente non esisti. Meno male che a questo ci pensano gli altri del gruppo! Un tempo per pubblicizzare i concerti si preparavano le locandine e si usciva nottetempo ad attaccarle a scotch in ogni angolo della città. Ora basta collegarsi a internet anche semplicemente dal telefonino o, come si dice oggi, dallo smartphone, si pubblicizzano gli eventi on line in pochi istanti. Anche il passaparola è diventato virtuale.

Franceco Fois – Sala Prove2112 (Foto Federica Mascia)

Come vedi i gruppi del futuro anche alla luce dell’inevitabile interazione con internet e soprattutto i social network?

Difficile fare previsioni a lungo termine, ma verosimilmente tutto ciò che ha a che fare con il digitale, il web ed i social non potrà che subire un incremento accelerato anche dalla situazione Covid. Internet offre una vetrina che fino ad alcuni decenni fa non era nemmeno immaginabile. Forse i gruppi del futuro saranno formati da musicisti che parlano lingue diverse, di diverse religioni e che magari non si incontreranno mai nella vita reale. Proveranno virtualmente, comporranno e registreranno ognuno nel suo studio casalingo. Anche le esibizioni live diverranno virtuali e tutti i fans potranno vedere i concerti comodamente seduti dal divano di casa propria, o magari in uno stadio guardando un maxischermo con i loro beniamini inquadrati contemporaneamente come in una videoconferenza. Magari ci sarà anche più rivalità tra musicisti e band, come in parte già accade, mettendo on line le loro performance, i loro virtuosismi, le loro doti tecniche ed esecutive, insomma ci sarà molta gassosa (o come si direbbe dalle mie parti gazzosa). Sembra che tutti non vedano l’ora di far vedere al mondo intero cosa sanno fare! Comunque, chi sarà più bravo a sfruttare questi mezzi sarà quello che ne avrà più benefici. Ma è anche vero che basta un messaggio sbagliato, un video inopportuno, una discutibile esibizione live, che con la velocità di cui il web dispone, si passa dalle stelle alle stalle in un batter d’occhio.

Da musicista che ha vissuto l’evoluzione della musica dagli anni ’80 a oggi come ti trovi con questa evoluzione del modo di fare musica?

Non mi piace tanto. Anche se fra le altre cose, sto partecipando a un progetto che si realizza proprio via web. Per carattere non esprimo mai giudizi a priori, quindi aspetterò i risultati. Ma per essere sincero preferisco il metodo “classico” di comporre, con le idee che vengono fuori in sala e con i brani che piano piano prendono forma dall’interazione vera tra i musicisti. A volte anche semplicemente improvvisando e prendendo spunto in tempo reale l’uno dall’altro, magari litigando per un accordo!

Francesco Fois & Andy Milesi – AVOIDANCE (foto Federica Mascia)

Da quanto tempo suoni il basso? Quali esperienze ti sono rimaste nel cuore?

Ho iniziato a suonare la chitarra da bambino, il basso elettrico quando ero al liceo, a 17 anni, ed è stato un colpo di fulmine, amore a prima vista! Preso il basso in mano, entrai subito in una Metal band di Cagliari gli Evil One, con Alessandro Scalas alla batteria e Alessandro Murenu alla chitarra e voce, un classico Power trio, col quale suonavamo brani nostri. Dopo sei mesi il primo concerto della mia vita. Che emozione! Da quel momento, e son passati 33 anni, non ho mai smesso di suonare e di militare in tante band tra cui The Krueger’s, DoppiaFaccia, Sarcophaga carnaria, Xayer, MAPO, solo per citarne alcune. Nel 1996 con i MAPO, Yan Maillard alla batteria, Brian Maillard alla chitarra e Loredana Fadda alla voce siamo arrivati in finale al Festival di Castrocaro col brano inedito Vivo, musica di Marino Maillard e testo scritto da Mariella Nava. Ricordo che presentava la serata Paolo Bonolis che con grande simpatia non si risparmiò di scherzare, in diretta tv su RAI 1, sulla mia passione per gli insetti! Fu una bellissima esperienza.
Con i DoppiaFaccia nel 2004 abbiamo inciso un cd di rock italiano. Autoprodotto, con dieci brani inediti. Facevano parte del progetto, oltre che me al basso, Gabriele Floris alla voce, Roberto Floris alla batteria, Davide Sacceddu alla chitarra e Fabrizio Marras detto Bibo alle tastiere. In quegli anni abbiamo partecipato alle selezioni per Sanremo giovani. Non ricordo come finimmo, ma ricordo che con Gabriele e Roberto vincemmo alle roulette al Casinò di Sanremo e ci pagammo l’albergo e qualche bevuta.

Copertina del CD I sogni non si comprano del gruppo DoppiaFaccia – 2004

In questo periodo stai suonando con qualche gruppo? Che tipo di musica fate?

Attualmente lavoro su diversi progetti. Con gli AVOIDANCE, una band con la quale facciamo un Metal che definirei moderno, stiamo completando le registrazioni del nostro primo lavoro, che purtroppo per alcune vicissitudini, non ultima quella dello stop imposto dal Covid-19, non ha ancora potuto vedere la luce, ma ormai non manca molto! Con me suonano tre chitarristi Andy Milesi, Fabio Bistrussu e Stefano Cogoni, Giacomo Macis alla batteria e Luca Piras alla voce. Fanno parte del progetto anche Riccardo Dionisi alle tastiere e collaborano alle registrazioni anche altre due cantanti: Ambra Romano e Chiara Petrelli. Una line-up veramente eccezionale.
Con il cantane Luca Piras condividiamo un altro progetto al quale sono molto legato, i MACTANS, con Danilo Danei alla chitarra e Damiano Sulis alla batteria. Facciamo un Heavy metal d’ispirazione anni ’80 con varie influenze, dal power al trash, al progressive meno recente. Solo brani inediti. Poi ho in cantiere qualche altra collaborazione, come con gli OPERA IV, e ogni tanto registro qualche basso come turnista.

Corinavirus a parte il cambiamento, il passaggio all’era digitale, era già in atto. Cosa ti manca dei “vecchi tempi”?

Negli anni ’80 e ’90 si faceva tanta sala prove, si suonava negli oratori, nelle cantine, nei garage. Era luogo di ritrovo, di amicizia, di scambio culturale. Ci si arrangiava con poco, magari insonorizzando una stanza con polistirolo e cartoni di uova. Chiaramente anche le sale prove non mancavano certo a Cagliari, ne ricordo alcune storiche come il Bunker, o quella in Sant’Avendrace da Mariolla. Anche adesso ce ne sono diverse, molti gruppi si organizzano una saletta con la propria strumentazione da utilizzare in condivisione con altri, ma ormai si tende a suonare sempre più da soli, chiusi in casa magari davanti allo schermo di un computer. Ricordo sessioni di prove anche di otto ore, dove si finiva esausti e sudati, ma felici e condividere magari una birra. Ecco, questo scomparirà in un processo accelerato dal Coronavirus.

Quando è stata la tua ultima esibizione live?

A gennaio scorso al QuevaRock. Ho partecipato al tributo ai Manowar per il terzo anno consecutivo. Ogni volta l’incasso è stato devoluto in beneficenza. È andata sempre molto bene e la gente ha risposto in maniera positiva. Mi fa piacere suonare a questo tipo di manifestazioni, un po’ per lo scopo che hanno e un po’ per tutte le vecchie facce che si rincontrano anche dopo anni, che non mancano mai in queste occasioni. Naturalmente vecchie non in senso anagrafico!

Il palco reale, quello con le persone in carne e ossa davanti a te potrà essere sostituito da quello del web?

Nel mondo web non vedi chi hai di fronte, non sai per chi stai suonando, non senti né applausi, né fischi, ma il successo dipende dal numero di like. Quando sali sul palco, quello vero, c’è sempre un po’ di timore per come andrà l’esibizione, ma poi le sensazioni positive prendono il sopravvento e senti prevalere il calore, l’energia, la soddisfazione. È una sensazione fantastica, difficile da descrivere, soprattutto quando riesci a entrare in sintonia con il pubblico, ti senti il padrone del mondo, anche se solo per pochi istanti. Suonare dal vivo dà una carica incredibile, un’adrenalina pazzesca. È anche per questo che suono, studio, compongo. Il giorno che suonando non proverò più queste sensazioni… bè vorrà dire che sarà giunto il momento di appendere il basso al chiodo!

Immagine in evidenza: Tributo ai Manowar 2020

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