New York (1943)
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Articolo di Maddalena Mameli

Le prime avanguardie artistiche, il Fauvismo, l’Espressionismo europeo e il Cubismo, avevano glorificato l’arte primitiva, nell’idea che in essa si realizzasse la sintesi di percezione ed espressione, attraverso gestualità istintive e semplificazioni formali. Si concentrano su una forma espressiva che rifiuta modelli formali e diventa gesto, segno e colore. Picasso fa riferimento all’art nègre, identificata a Parigi con le sculture rituali africane, il jazz e la danza di Joséphine Baker. Distrugge la concezione di bellezza classica e introduce nella pittura il principio di semplificazione e di costruzione del quadro attraverso la sovrapposizione di piani, in una ricerca plastica considerata «esito naturale delle esperienze attinte dal fondo anonimo dei popoli neri».

Nei primi anni Quaranta, la Scuola di New York riunisce le ricerche di artisti molto diversi come Jackson Pollock, Mark Rothko, Adolf Gottlieb, Barnett Newmann, Franz Kline e altri presentati da Peggy Guggenheim nella galleria newyorkese The art of this century. Gli americani non avevano vissuto direttamente le devastazioni della guerra ma, al fianco degli intellettuali in fuga da Nazi-fascismo, elaborano un profondo senso di responsabilità per Hiroshima e di angoscia post-atomica. La crisi dell’idea di progresso e la svalutazione della storia, nati nel clima della guerra, delle armi di distruzione di massa e dei totalitarismi, spingono a ricercare nell’arte primitiva nuovi valori universali condivisi.

Si autodefiniscono Mythmakers e i titoli delle opere sono: Pasiphae, La lupa, La donna luna (Jackson Pollock); Antigone, Oedipus, Il sacrificio di Iphigenia, Tragedia greca, Toro Syriano (Mark Rothko); Rapimento di Persephone (Adolf Gottlieb). L’Espressionismo astratto, prima di culminare nell’Informale e affermare valori essenzialmente pittorici, si concentra su una ricerca che trova ispirazione in un nuovo primitivismo. I soggetti sono tratti dai valori universali del mito greco classico, «tragico e senza tempo», elaborato da Nietzsche e dei miti originari delle culture primitive autoctone, nella loro rilettura in chiave simbolica attraverso la psicanalisi freudiana e la teoria junghiana degli “archetipi dell’inconscio collettivo”. prima di culminare nell’Informale.

L’arte primitiva assume il carattere di attività spontanea, istintiva, senza data e senza firme, dove i soggetti rappresentati appartengono a un mondo di tradizioni condivise e simboli collettivi, nella dimensione del “mito genuino”. Gli uomini primitivi, per definizione, non hanno storia registrata. Nella contemporaneità, l’evocazione del “mito genuino”, degli “archetipi” e dell’“inconscio collettivo” rischia di essere una “mascheratura umanistica”. In questo senso, il mito diventa “mito tecnicizzato” perché usato in modo strumentale nell’invenzione di “mitologie collettive”; mentre la spontaneità è simulata o comunque risvegliata dalle profondità dell’inconscio. L’unica alternativa valida per la realizzazione dell’Opera d’Arte Totale universalmente comprensibile, Gesamtkunstwerk, è l’espressione di una ricerca simbolica e formale, individuale e autoreferenziale, che abbia la necessaria ambizione di diventare universale.

Nivola giunge a New York nel 1939. Rifugiato e immigrato, sardo e mediterraneo, interrogandosi sulle proprie origini risveglia dentro di sé le memorie che definiscono l’ambito simbolico e figurativo della propria “patria culturale”, il paesaggio mitico-figurale del mondo arcaico del Mediterraneo e delle origini della cultura occidentale. Nella sua ricerca artistica non rinuncia alla figurazione e si distingue per originalità di tecniche (il sand-casting) e di temi archetipici e privati (le grandi madri, i guerrieri, i costruttori). Le Corbusier, Maestro e amico, interessato alle civiltà del Mediterraneo pre-classico e mitologico, riconosce immediatamente questo carattere ed elogia Nivola: «Per il Catalogo: Nivola è troppo modesto, è pieno di talento. Per divertire i suoi bambini e se stesso, in riva al mare, ha inventato un gioco che è uno dei più belli che si possa fare: la scultura. Durante la bassa marea bisogna essere veloci.

Bisogna avere un’idea, bisogna agire con chiarezza e decisione… Nivola ha realizzato magnifiche sculture su sabbia. Dove diavolo è andato a trovare lo stile innegabile che anima le sue opere? È un figlio della Sardegna, isola lasciata al riparo dalle brame macchiniste. Devono esservi in quest’isola le tracce delle più antiche civiltà e Nivola ha certamente aperto gli occhi al momento giusto»1 e in seguito: «Ho trovato in una mio baule, un kodachrome di un bassorilievo colorato di circa 10 x 2,26 m, probabilmente quello per Olivetti. Siete pieno di talento! Ve l’ho già detto. Voi avete del sangue sardo misto al cipriota e siciliano e siete in sintonia con il momento più felice della statuaria mediterranea»2.

1. Presentazione di Le Corbusier per il Catalogue Nivola (FLC).

2. Le Corbusier, lettera a Nivola, 6 ottobre 1961 (FLC).

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