Nanof4
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di Carla Giannini

Per un sistema telepatico mi sono arrivate cose che paiono strane ma sono vere. Io sono un Astronautico Ingegnere Minerario nel sistema mentale. Questa è la mia chiave mineraria. Sono anche un colonnello dell’Astronautica militare Astrale e Terrestre.
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Avete mai sentito parlare di Nanetti Oreste Fernando? Beh, se nessuno ve ne ha mai parlato vi consiglio di ascoltare la sua storia. Una vita da matti, una vita surreale, una vita tra i matti. Ma forse il suo passaggio sulla terra non è stato realmente reale, forse si è trattato di un’illusione ottica, forse Nanof, come si legge nelle testimonianze cartacee, c’era e non c’era, un po’ come tutti coloro che sono affetti da turbe psichiche. Ma lui di più, lui non c’era realmente, lui era essenzialmente altrove, oltre il dove. Un alieno di passaggio, un marziano del pensiero, un artista, oppure semplicemente un “creatore”?

Nanetti Oreste Fernando nasce a Roma nel 1927 e fin da bambino viene trasferito in una struttura per malati psichici. Vive rinchiuso in manicomio dall’età di dieci anni. E il manicomio di Volterra, che gli ha aperto le porte nel 1958 e nel quale ha vissuto decine di anni della sua vita, diventa il palcoscenico dentro il quale si schiude in tutta la sua meraviglia la sua vita e la vita della sua opera, che non possono essere scisse. E’ li che improvvisamente, ci si accorge di ciò che stava accadendo. Su di un muro, lungo 180 metri, per un altezza di due, strani disegni, apparentemente scarabocchi di un pazzo, cominciano a definirsi, cominciano a mostrare delle indicazioni, sembrano seguire dei codici lucidi.
La follia si trasforma in arte, e attraverso le sue mani, le mani di Nanof, si scopre mondo. L’uomo impossessatosi del muro freddo comincia a dare libero sfogo al suo “ vizio totale di mente”, così come venne chiamato nel 1948 il disturbo dal quale era affetto. Il Mondo di Nanof, apparentemente triste e grigio come il muro che gli dà la libertà, si mostra folgorante e luminoso come il suo carattere surreale. Quello che crea il nostro pazzo è un trattato di cosmogonia, una corrispondenza con un universo che sembra leggendo quel muro così vicino, un libro intero inciso nella roccia, creato utilizzando gli unici mezzi a sua disposizione, le fibre del suo panciotto. Pianeti inventati, geografie, chimiche e astronomie indefinibili, formule chimiche risalenti a secoli fa, e poi quelle dichiarazioni, rilasciate, conservate, e che fanno parte dei pochi ma necessari indizi per la ricostruzione del mistero di Nanof, protagonista di un puzzle estremamente complesso.

E allora, chi è Nanof. Si, era un pazzo, clinicamente accertato, ma possiamo definirlo solo cosi? Oppure dobbiamo necessariamente andare oltre e osservare la sua follia unita alla sua lucidità, così come ce ne ha lasciato testimonianza, proprio attraverso una lucidità disarmante, attraverso la descrizione che ci fa della sua vita, attraverso la ricerca di un’identità altra, attraverso la testimonianza dei crimini commessi in quel manicomio. Possiamo definirlo quindi un creat0re, di un’opera, di un mondo, indefinibile, impossibile da categorizzare? E questa lucidità, il suo vortice, da dove proviene? Dovremmo ammettere che proviene da un altro luogo, da un’altra realtà, dovremmo ammettere che non può essere intesa dai nostri canoni mentali. Ed ecco che cosi la questione ritorna li dove non c’è spiegazione.

Come si può dare una corretta definizione, a quella genialità che possiedono solo alcuni uomini considerati “pazzi”? Ecco l’arte, che si connette sempre con il lato illogico della nostra esistenza, ecco quindi la conclusione successiva, si mostra necessario ricercare in noi la consapevolezza dell’esistenza di una logica non logica, opposta quindi alla logica umana. E allora, di cosa si tratta, di cosa stiamo parlando quando nominiamo la parola follia? Se ne potrebbe parlare per ore e giorni senza sapere da dove partire ne sapendo dove poter mettere il punto, quindi scegliere una fine. E forse è proprio questo un giusto modo per iniziare a parlarne. Esiste solo un inizio, mai una fine. Parlo dell’arte generata dalla follia, non so dove comincio, non so dove arrivo, e Nanof è esattamente qui, in un “non so dove sono, e non so dove potrei essere” . E’ proprio per questo che la maggior parte delle volte in cui ci si trova o ci troviamo a rapportarci a un malato mentale, tendiamo a chiederci ripetutamente, “chissà dove sei”, senza trovare risposte. Nanof invece, risponde con i suoi graffiti.

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