Articolo di Maria Melania Barone
Napoli – Nella città di Totò splendono molte luci, dai fari per le navi, alle piste aeree. I falò notturni non vanno più di moda, oggi a brillare sono cumuli di rifiuti. L’afa lascia il posto alla pioggia improvvisa, tipica delle città calde ed umide, fino a renderla simile all’Africa.
I rifiuti dell’arte. A Napoli non esistono solo le ecoballe: l’immondizia è rappresentata anche dal rifiuto artistico. Passeggiando in Via dei Tribunali, nel cuore vecchio della città, si incontrano infatti le antiche chiese, chiuse al pubblico. Si ergono come cattedrali nascoste, dal colore spento: il Comune infatti non ha stanziato i soldi per il restauro lasciandole marcire per decenni.
Un tempo queste Chiese si vivevano: in esse si svolgevano lezioni universitarie, i pittori si esercitavano riproducendone gli affreschi. Tutto è svanito dopo il terremoto del 1980. Oltre alle Chiese logorate dal tempo e dall’assenteismo politico esistono anche i rifiuti storici: la tomba dei rivoluzionari del 1799. Si tratta del macabro ritrovamento, avvenuto nel Febbraio scorso, degli scheletri dei rivoluzionari partenopei decapitati in Piazza Mercato nel 1799. “Marcivano come il cartone nel pronao della Chiesa del Carmine maggiore” afferma la storica Antonella Orefice che seguiva le ricerche della paleontologa Mariella Torino, ricerche che sono poi confluite nel libro “La penna e la spada”. Si tratta dei rivoluzionari che tentarono di cambiare il destino di Napoli e dell’Italia, uccisi come martiri della libertà nel cuore della città partenopea.
I conflitti generati da alternanze franco-tedesche avevano forgiato anche le architetture più sontuose della città, sorretta da un popolo che portava con sè un trofeo di fango e di fame. Napoli si era distinta per la sua capacità di perpetuare il degrado esattamente come per la sua capacità di rivoluzionare il presente. Le contraddizioni interiori di un popolo che cambia come cambia la marea, ma che rimane sostanzialmente uguale. Il sogno rivoluzionario finì decapitato in piazza mercato assieme ai suoi eroi. Stiamo parlando del principe Giuliano Colonna, Gennaro Serra, duca di Cassano, e del sacerdote Niccola Pacifico oggi murati sotto la sala del Capitolo della basilica e senza una sola lapide che ricordi almeno le loro iniziali. A questi si aggiungono anche Francesco Pagano, Ettore Carafa, Luigia Sanfelice, Domenico Cirillo, Giorgio Pignatelli, Eleonora Pimentel Fonseca, Margherita Fasulo e Laurent Prota e gli altri rivoluzionari impiccati o decapitati a piazza Mercato dopo la restaurazione borbonica.
La terra dei fuochi. Nella “terra dei fuochi” a cambiare in questi anni è stata solo la volontà dei cittadini, prima umiliati dalla politica, poi dai media. Non hanno esitato a farsi pestare durante le rivolte di Terzigno seppur calunniati perché “non fanno la differenziata”. Ma sono bugie. A dimostrarlo le continue proteste anti-discarica messe su dai comitati autonomi. Si è ben capito infatti che non serve a niente fare la differenziata se poi tutto viene gettato in discarica avvelenando il bacino imbrifero e le falde acquifere. I Napoletani, che godevano di una delle terre più fertili d’Europa, hanno potuto assaporare i frutti dell’inquinamento: dalle pere malformate delle terre vesuviane, alla mozzarella a base di diossina. In queste terre l’incidenza di tumori è aumentata dell’80% e sono frequenti i casi di tumori nei più piccoli. L’inceneritore di Acerra non basta a smaltire tutti i rifiuti della città e le ripercussioni sulla salute di coloro che abitano in prossimità del “termovalorizzatore” sono molto alte. Il bestiame degli allevatori è completamente avvelenato dalle esalazioni di polveri sottili e tossiche che derivano dall’inceneritore, la cui Linea 2 è perennemente spenta.
“Un cittadino napoletano non fumatore, fuma in media tre pacchetti di sigarette al giorno”: è quanto si evince da una ricerca dell’istituto Superiore di Sanità sull’inquinamento ambientale associato al fumo come cause principali di tumori e di patologie respiratorie.
Tutt’oggi giacciono sulle strade 800mila tonnellate di sacchetti che non si possono smaltire prima di aver costruito impianti per il riciclo dei rifiuti. É quanto basta per inneggiare alla rivoluzione?
La “restaurazione” arancione. Con questi presupposti non si poteva votare quanti promettevano una “seconda Acerra”. I napoletani sognano il cambiamento vero. Hanno creduto fino in fondo alla possibilità di riciclare quei rifiuti, alla possibilità di fare diventare la “monnezza una ricchezza”. Una ricchezza da rivendere, una ricchezza che può dar lavoro a quei 4.000 precari del Progetto Bros che sono costati ben 20 milioni di euro alla Regione Campania. Ma perché spendere tutti questi soldi pubblici per formare migliaia di persone nella bonifica e riqualificazione del territorio, se poi non si prevede di effettuare la raccolta porta a porta?
Una domanda doverosa date le parole di Caldoro: “Il piano Regionale prevede la raccolta differenziata associata alla costruzione di due inceneritori“. Ma a cosa serve la differenziata senza gli impianti di compostaggio?
Per adesso la volontà del Sindaco e delle circa 285.000 persone che lo hanno votato, non è certamente quella di attenersi al disegno della Regione. I roghi di questi giorni infatti, testimoniano una chiara ingerenza camorristica. La lotta è aperta: da un lato la camorra che vuole fondi per la costruzione di inceneritori, dall’altro lato la giunta comunale che vuole creare impianti di compostaggio abbassando la tassa dei rifiuti per tutte le famiglie: chi vincerà la guerra?