Di Valeria Salanitro
Il processo di costruzione identitaria del soggetto avviene in termini dialogici. L’idea che l’individuo sia concepito in termini monadici, nell’ambito delle Scienze Sociali, è oltremodo superata. Decostruendo la dizione “in-dividuo” si scorge, infatti, la natura relazionale dell’essere, poiché indivisibile e, in quanto tale, plurale e policentrica.
Nell’era dominata dalla dialettica che oscilla tra multiculturalità ed etnocentrismo, lo “straniero” è, troppo spesso, legato a espressioni stereotipiche e concezioni pregiudizievoli.
Ma chi è lo “straniero” nella società odierna? Il lemma rimanda, letteralmente, a colui che è estraneo ad un determinato luogo, Stato o contesto; che rimanda all’esterno rispetto ad altro. L’accezione giuridica allude alla correlazione che intercorre tra identità e territorio che, antropologicamente, si riferisce a un individuo dedito allo straniamento di demartiniana memoria. Parafrasando Alien Tarrius, che decostruisce la dizione in termini culturali, sembra ragionevole convenire sul fatto che: «Non sia importante sapere se quest’altro è più o meno straniero, più o meno oggetto per noi, ma che è altro nel vedere, nel rilevare ciò che produce dalla sua differenza nei nostri luoghi»[1].
Al netto delle molteplici costruzioni sociali di cui il migrante straniero diviene oggetto, è utile ricordare quali siano le condizioni in cui versano gli attori sociali protagonisti di una odissea politica e, in seguito, mediatica. La rappresentazione “dell’Altro” segue, infatti, logiche specifiche subordinate ad approcci deterministici ed evoluzionistici, frutto di ideologie conservatrici e, retoricamente, nazionalistiche.
L’anacronistica e articolata sfera giuridica che attiva dei continui walzer tra esponenti politici europeisti e acerrimi nemici delle Ong, chiamanti in causa regolamenti e patriottismi di ogni sorta, sono le determinanti dell’angoscioso processo di ingresso/esclusione dei migranti. Le politiche migratorie sono contornate da “pratiche di snellimento” ed emendamenti giuridici che rispondano alle molteplici esigenze delle Organizzazioni sovranazionali; nonché ad accordi con i Paesi interessati.
Per comprendere quali siano le politiche di decostruzione sociale da attivare per scardinare comportamenti autoreferenziali e conflittuali nei confronti dei migranti, occorre disarticolare il concetto/etichetta di “Immigrato” e ricorre ad una sociologia della migrazione che definisce quest’ultimo, come Migrante, poiché: «Non si utilizzerà il termine immigrato, ma saranno considerate, con il termine migrazione, costruzioni sociali complesse nelle quali entrano in gioco tre attori: le società di origine, i migranti attuali e potenziali, la società ricevente»[2] .
Gli scenari attuali presentano un caleidoscopio di immagini plurali e dedite ad una rappresentazione
“Altra” e costruita degli stranieri. Le politiche propagandistiche legate a ideologie xenofobe ed etnocentriche, rappresentano i migranti in termini oppositivi (noi/loro) e problematici. Il famigerato monito: “Tornino a casa loro” e le vicende nefaste di cui sono sempre più vittime, rendono bene l’odierno e anacronistico processo di oggettivizzazione e stigmatizzazione di cui sono portatori gli stranieri. Se solo si scorgesse il peso dell’Essere trainato nei barconi, lungo il viaggio estenuante che li conduce in Italia, prescindendo da qualsivoglia regolamento internazionale, nonché la delusione e la rabbia che accompagna queste anime in preda alla razzia degli scafisti e dei regimi totalitari e anarchici, che governano le terre dalle quali provengono; forse, lo straniero non sarebbe etichettato aprioristicamente, ma considerato come Essere in senso olistico.
Quali sono, dunque, le esigenze sentite da chi proviene da un altro Paese? Qual è lo stato dell’arte?
Dati e problematiche cui vanno incontro gli stranieri che giungo in Italia
Secondo le ultime rilevazioni pubblicate nel Dossier Statistico Immigrazione 2023 [3], nel Mondo i migranti – le persone che vivono fuori dal Paese di residenza – ammontano a 281 milioni (1 ogni 30 dei 7,9 miliardi di abitanti della Terra), di cui 169 milioni sono lavoratori. A loro volta i migranti forzati, compresi gli sfollati interni, hanno raggiunto, alla fine del 2021, gli 89,3 milioni (di cui 53,2 milioni sfollati interni, 21,3 milioni rifugiati, 5,8 milioni rifugiati palestinesi del 1948 e loro discendenti, 4,6 milioni richiedenti asilo e 4,4 milioni venezuelani fuggiti all’estero); ma già a maggio 2022 hanno superato i 100 milioni, soprattutto a causa dell’alto numero di persone in fuga dalla guerra scoppiata, il 24 febbraio, in Ucraina (nel complesso più di 14 milioni a fine settembre 2022). Nel corso del 2021 nell’Ue – dove i 3,5 milioni di rifugiati e richiedenti asilo incidono per appena lo 0,8% sulla popolazione totale – sono state presentate complessivamente 632.655 domande di asilo (di cui 537.630 per la prima volta), con un aumento del 33,8% rispetto al 2020, ma nello stesso tempo con un calo del 9,5% rispetto al 2019, cioè prima che la mobilità umana venisse stravolta dalla pandemia. La vulnerabilità estrema che caratterizza questi flussi è testimoniata anche dall’ampio numero di domande che hanno coinvolto minorenni:183.720, quasi 1 ogni 3 (il 29,0% del totale). Di queste, 23.335 concernono minori stranieri non accompagnati, i cui sbarchi nel 2023 ammontano a 6481.
Una riflessione particolare meritano i profughi ucraini, per i quali il 4 marzo 2022 l’Ue ha attivato per la prima volta la Direttiva 2001/55/Ce, che “in caso di afflusso massiccio di sfollati” garantisce loro una protezione temporanea, in passato tuttavia rifiutata a profughi siriani, afghani, ecc. Malgrado le favorevoli misure di tutela da essa previste (abolizione del visto di ingresso, titolo di soggiorno temporaneo, possibilità di esercitare un lavoro, ottenere un’abitazione e accedere ad altri servizi), non sfuggono alcuni aspetti discriminatori rispetto al sistema europeo di governance delle migrazioni.
Sono 241.595, più del doppio rispetto al 2020, i nuovi permessi di soggiorno rilasciati nell’anno e, per la prima volta dal 2015, quelli per lavoro superano il tetto del 10% del totale (50.927: 21,1%), mentre si attestano al 47,0% i motivi di famiglia (113.455) e al 13,5% i motivi di protezione (32.667, di cui 27.401 per richiesta d’asilo). Ma se l’aumento dei nuovi permessi per famiglia (+82,1%) e richiesta di asilo (+112,3%) è direttamente connesso alla riduzione dei blocchi alla mobilità, quello dei nuovi permessi per ottenuta protezione (poche migliaia, ma cresciuti di quasi 8 volte) e per lavoro (quasi quintuplicati) rimanda innanzitutto agli interventi normativi attuati: da un lato, a dicembre 2020, le nuove disposizioni sulle cosiddetta “protezione speciale” che, dopo l’abolizione della protezione umanitaria del 2018, hanno contribuito a elevare il tasso di riconoscimento delle richieste d’asilo (42% in prima istanza, contro il 24% del 2020); e, dall’altro, la regolarizzazione, indetta nel 2020 col “Decreto rilancio”, in favore dei lavoratori del comparto domestico e agricolo. Oltre i tre quarti dei nuovi permessi per lavoro rilasciati nel 2021 (38.715, il 76,0%) si riferiscono, infatti, non a nuovi ingressi, ma all’emersione di lavoratori già presenti sul territorio nazionale.
Sono quasi 5,2 milioni i residenti stranieri, con un’incidenza sul totale della popolazione che sfiora il 9,0%: 5.193.669 e 8,8% secondo il dato provvisorio del 2021 (in linea con le risultanze del Censimento del 2020 che ha fotografato una presenza di 5.171.894 persone). I dati consolidati del 2020 attestano che per quasi la metà (47,6%) i residenti stranieri sono europei e, in particolare, per oltre un quarto (27,2%) sono cittadini comunitari. Con quote tra loro simili, di oltre un quinto, seguono asiatici (22,6%) e africani (22,2%), soprattutto originari dei Paesi mediterranei (13,3%), mentre gli americani sono il 7,5%. Percentuali alquanto esigue riguardano gli apolidi e i cittadini dell’Oceania. Tra le 198 collettività presenti, le prime cinque coprono da sole il 48,4% di tutti i residenti stranieri: i più numerosi si confermano i romeni (1,1 milioni: 20,8%), seguiti da albanesi (433mila: 8,4%), marocchini (429mila: 8,3%), cinesi (330mila: 6,4%) e ucraini (236mila: 4,6%).
Per i lavoratori stranieri gli effetti della crisi pandemica del 2020 restano alquanto pesanti, soprattutto perché si innestano su consolidate dinamiche di segregazione occupazionale che da decenni caratterizzano l’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, mortificandone le potenzialità.
Continuano, infatti, a lavorare in pochi e invariati comparti, secondo una rigida divisione sia di nazionalità (all’origine delle cosiddette “nicchie etniche”) sia di genere, con una scarsa mobilità occupazionale – e quindi sociale – anche dopo molti anni di servizio e per chi possiede titoli di formazione superiori. In ben 4 casi su 10 gli uomini lavorano nell’industria o nell’edilizia (42,4%) e le donne nei servizi domestici e di cura (38,2%), affiancati per lo più dai servizi di pulizia di uffici e negozi. A causa di questa concentrazione in poche professioni, l’incidenza degli stranieri tra i lavoratori (mediamente del 10%) sale al 15,3% nel ramo alberghiero-ristorativo, al 15,5% nelle costruzioni, al 18,0% nell’agricoltura e addirittura al 64,2% (ben i due terzi) nei servizi alle famiglie. In generale più di 6 lavoratori stranieri su 10 sono impiegati in professioni non qualificate o operaie (63,8%, il doppio rispetto al 31,7% degli italiani), come manovali, braccianti, camerieri, facchini, trasportatori, addetti alle pulizie ecc., e solo 1 ogni 13 svolge un lavoro qualificato (7,8%, contro il 37,5% degli italiani). Persino tra i laureati ben il 32% ricopre una professione a bassa specializzazione o operaia: rispettivamente il 17,9% e il 13,9%, a fronte di appena lo 0,8% e l’1,4% tra gli italiani. Non sorprende, quindi, che ben un terzo dei lavoratori stranieri (32,8%) sia sovraistruito, ovvero abbia un titolo di formazione più alto rispetto alle mansioni che ricopre, contro un quarto degli italiani (25,0%), con le donne ancora una volta più penalizzate (sono sovraistruite il 42,5% delle straniere e il 25,7% delle italiane).
L’inclusione concreta: il caso studio del Polo Sociale Integrato di Palermo
Narrare le vicissitudini dei migranti che giungono nel nostro Paese è un atto dovuto, che non può
prescindere dal fotografare la realtà cruda che si presenta davanti agli occhi dei “cercatori di speranza”.
Viaggi estenuanti, pene corporali, somme esose per poter solo sbarcare, morti in mare, precarietà
identitarie, scarsa conoscenza della lingua, infinite pratiche burocratiche cui ottemperare per potere
regolarizzare la propria posizione, la ricerca di un lavoro regolare e l’ auspicio di non cadere in pratiche lavorative dedite allo sfruttamento, alla violenza o all’economia sommersa. E, come se non bastasse, la difficoltà di reperire un’abitazione stabile che permetta di condurre una vita dignitosa, insieme con tutte le questioni legate alla dimensione sociale, relative all’integrazione e l’accesso ai servizi sanitari e territoriali.
Le problematiche sopra citate sono presenti in ogni dove, ma la Sicilia e, in particolare, Lampedusa,
rappresentano il centro di questo processo di transizione e inclusione dei migranti provenienti da tutte le aree dominate da guerre e stati di emergenza. Sono oltre 3 mila gli sbarchi avvenuti lo scorso anno nell’Isola, degli oltre 100 mila verificatisi in Italia e 59.767, quelli registrati dal 1 gennaio 2023 al 23 giugno[4].
L’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana coordina il progetto dei Poli Sociali Integrati: progetti di supporto e orientamento dei cittadini extra-comunitari regolarmente soggiornanti sul territorio regionale, disseminati in ciascuna delle 9 Provincie dell’Isola.
Le attività dei Poli hanno preso avvio nel 2022 all’interno della macro-progettualità di
Su.Pr.Eme. Italia, a sua volta finanziato dai fondi AMIF – Emergency Funds (AP 2019) della Commissione Europea – DG Migration and Home Affairs. Nel 2023 è stata data continuità all’attività dei Poli con “Più Supreme” a valere sul PON Inclusione FSE 2014 – 2020 in favore degli Immigrati”. Il Polo di Palermo è gestito operativamente da Asante Onlus, associazione che da anni opera nel settore dell’accoglienza prima di minori stranieri non accompagnati (MSNA) e oggi di adulti rientranti nel percorso di accoglienza straordinaria (CAS).
Un percorso multiplo e articolato accompagna i migranti che chiedono aiuto al Polo:
• uno sportello di ascolto che supporti i cittadini stranieri che decidono di investire in questa città;
• un servizio di mediazione interculturale, con l’ausilio di mediatori specializzati, che garantisce
una proficua comprensione dei bisogni e delle esigenze palesate dagli utenti e un ponte tra le
culture della multietnica città panormita;
• un’attività di assistenza sociale concernente tutto ciò che afferisce al processo di inclusione;
• uno sportello di assistenza legale, che permetta ai cittadini stranieri di adempiere agli obblighi
derivati dal contesto giuridico italiano, nonché enucleare, caso per caso, le normative di
riferimento in relazione alla sfera giuridico-istituzionale, di concerto con lo status del cittadino
straniero;
• un supporto psicologico, fornito dagli psicologi del Polo, a fronte dei molteplici disagi presentati
dagli utenti;
• Un’ attenzione particolare riservata alla dimensione lavorativa, con un servizio che concerne
l’orientamento al lavoro e la redazione di curriculum vitae, per incrementare il rapporto
dialogico con le imprese e i cittadini stranieri presenti in loco.
Una metodologia basata sulla relazione-attiva (parternariato-pubblico-privato) guida la Mission del Polo, che si prefigge l’obiettivo di garantire una maggiore accessibilità ai servizi pubblici erogati dal territorio, nonché un’ esortazione alle pratiche di denuncia legate ai casi di sfruttamento lavorativo e un monitoraggio costante relativo ai micro-insediamenti informali di comunità straniere presenti sul territorio, per garantire un modello inclusivo e olistico che tenga conto della plurale realtà in cui il Polo è immerso.
“Supportare per includere”: questo il monito che guida le pratiche inclusive del Polo.
Valeria Salanitro
Note bibliografiche
[1] Tarrius A. (1989), Perspectives phénoménologiques dans l’étude de la mobilité, Questions de méthode, Paradigme e Spazi circolatori e Spazi urbani. Differenze tra gruppi di migranti. «Studi e Migrazione. Emigration/ Etudes Migrations» (1995).
[2] Ambrosini, M., 2005, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, p.18.
[3] Cfr. Dossier Statistico Migrazione 2022, Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Onu, Eurostat, Ministero dell’Interno, Istat, Miur, Unhcr, Banca Mondiale, Infocamere, Mef, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (https://www.dossierimmigrazione.it/) .
[4] Cfr. http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscotto-statistico-giornaliero.
Poesia sullo straniero
Nessuno è straniero sulla terra.
Il mondo appartiene a chi sa provare emozioni
davanti al dolore.
A coloro che sanno respirare il profumo della vita.
Il colore della pelle è soltanto un dettaglio del miracolo della vita.
La paura del diverso è un diversivo per impedire agli altri di pensare.
Ogni uomo appartiene alla storia della sua esistenza.
Non al colore della sua pelle.
Sergio Melchiorre