La provincia di Salerno è la prima in Campania per superficie e numero di comuni e, sempre in rapporto alla superficie, è la decima d’Italia per un’estensione che si misura nella profondità artistica, storica e culturale, nonché attraverso il paesaggio decisamente incantevole ed eterogeneo.
Si pensi che la città di Salerno vanta da sola una serie di innumerevoli primati: a partire dall’anno 851, a seguito della decadenza del Principato di Benevento, divenne la capitale dello stesso che ne portò il nome e che arrivò ad inglobare verso l’anno 1000 tutto il Mezzogiorno d’Italia, assumendo di fatto il ruolo di prima città di quello che verrà chiamato Regno delle Due Sicilie ben prima di Napoli; vi ha avuto sede la Scuola Medica Salernitana , famosa non soltanto per essere stata la prima vera istituzione europea in fatto di scienza medica, bensì per il suo rappresentare il prototipo delle moderne università e per aver salvato il patrimonio filosofico della Scuola Eleatica di Filosofia, fondata secoli addietro da Parmenide e messo a rischio dalle incursioni piratesche nel Medioevo; di ispirazione allo stesso Linneo sono stati i Giardini della Minerva, i primi giardini botanici del mondo occidentale fondati da Matteo Silvatico, laboratorio farmaceutico della Schola e luogo custode della Dottrina degli Umori di Ippocrate; i primi precetti sul sano uso del mangiare e sulle proprietà salutistiche del Vino sono state qui enunciate e la Salerno medievale ha avuto il vanto di esprimere la prima donna medico nel campo della ginecologia: Trotula de’ Ruggiero; i salernitani hanno da sempre vissuto l’atmosfera di una città cosmopolita ed aperta a tutte le culture, persino alla Cultura Araba, che in tempi decisamente sospetti, era preclusa per ogni altra persona nel resto della Cristianità; fedele ai propri regnanti tanto da mettersi coerentemente contro il papato, Salerno ha vissuto un lunghissimo periodo di prosperità culturale ed economica, fino al declino della Repubblica di Amalfi, in seno alla quale fu inventata la bussola, ed alla conseguente ascesa napoletana che ne esportò tutto il sapere; a seguito dello sbarco degli alleati presso i suoi litorali durante il secondo conflitto mondiale divenne capitale d’Italia dal febbraio del ’44 agli inizi di giugno dello stesso anno, a compimento della liberazione di Roma.
In realtà, proprio perché la Cultura Salernitana è così vasta e radicata ben oltre le mura cittadine, essa vede la sua massima espressione nel concetto di “salernitanità” più ampio quando esteso e diffuso a tutta la provincia… è dalla visione d’insieme della Valle dell’Irno, della Costiera Amalfitana, dall’Agro Sarnese Nocerino e dal Cilento e Vallo di Diano, territori così diversi tra loro, che si può comprendere quanto quest’area geografica del Sud Italia costituisca uno scrigno inestimabile e variegato di tesori: col Golfo di Salerno che tende loro le braccia le due costiere più belle, i templi di Paestum, in ordine sparso la mozzarella di bufala più squisita, l’olioextravergine di oliva proveniente da aree in altura ed in vicinanza del mare , i pomodori più buoni del pianeta ed una grande varietà ampelografica perché, non dimentichiamocelo, i territori salernitani erano parte di Enotria, terzo centro millenario per la domesticazione della vite.
È in questo contesto geopolitico e culturale così diverso, carico com’è di saperi e sapori che, da almeno un trentennio e prima che si formassero i distaccamenti, la Delegazione Salernitana dell’Associazione Italiana Sommelier ha da sempre operato.
Per quanto l’AIS Salerno sia stata rappresentata nel tempo da persone di indiscussa preparazione tecnico-culturale si è contraddistinta per essere decisamente molto movimentata; infatti dalla sua nascita la delegazione salernitana ha sempre avuto difficoltà a decollare a causa di tante peripezie ed avvicendamenti molto serrati tra loro: durante la reggenza di Michele Trimarco la delegazione dell’Hippocratica Civitas fu protagonista di qualche difficoltà organizzativa, servita a rivoluzionare la fitta rete nazionale dell’AIS grazie a nuove procedure, portando verso quell’innovazione necessaria a rendere l’atmosfera più cooperativa e familiare, assegnando quelle giuste responsabilità, così come la conosciamo oggi.
Arriva il momento dell’agronomo Simone De Nicola: erano i tempi in cui si coordinava il servizio con “In Tavola”, tempi di positività ma di breve durata a causa del trasferimento in Veneto, a seguito di un concorso vinto presso l’Ispettorato di Repressioni e Frodi nell’area della Valpolicella. Siamo ancora nel primo lustro degli anni Duemila e dopo la rassegnazione dell’incarico da parte di Simone De Nicola, per motivi di lavoro, subentrano Antonio Staiano, patron dello storico ristorante “La Spagnola”, e l’enologo Peppe Presutto, il primo in funzione di delegato ed il secondo in qualità di direttore dei corsi; anche questa fase vedrà alcune complicazioni a causa di punti di vista divergenti tra Staiano e Presutto ma non scevro di una buona didattica e da una genuina attenzione verso gli aspiranti sommelier salernitani; successivamente arriva il momento di un ulteriore commissariamento, di tipo tecnico stavolta, e necessario per dare una guida agli associati salernitani.
È proprio in questo periodo che Nevio Toti, motivato dalla sua grande passione per il vino, comincia a seguire ufficiosamente, ma con scrupolosa attenzione, le attività di Peppe Presutto in seno alla delegazione, fino ad essere nominato da Antonio Del Franco, allora reggente presidente AIS Campania e delegato ad interim, quale più idoneo candidato a tenere le redini dell’AIS Salerno.
Salernitano di origine controllata e garantita, Nevio nasce il 24 gennaio del ’68 e da entrambi i genitori, padre imprenditore edile con studi classici e madre maestra d’asilo, apprende la cultura del rispetto per tutti, i valori per percorrere rettamente la via maestra e virtù come levatura morale ed onestà. Col tempo però ci ha messo del suo per affrontare la vita, senza mai deragliare, ritenendo che la funzione del libero arbitrio venga esattamente praticata non da cause e soggetti terzi ma dall’intima volontà dell’individuo che decide quale espressione debba avere il suo percorso, ecco perché ama citare la figura di Marco Lombardo nel XVI Canto del Purgatorio. I suoi amici sono quelli di sempre, di quando aveva 10 anni, e tutte persone con le quali c’era e c’è tutt’oggi sintonia di valori e quel garbato modo di fare della gente per bene, condividendo tutte le fasi della crescita, dal fare il bagno dal mitico “pennello” proprio dietro gli scogli di piazza della Concordia, a via Dei Mercanti ed alla Salerno storica di Largo Campo.
Da sempre appassionato di marchingegni e manualità, dopo un percorso scolastico presso il locale istituto tecnico industriale, per la cui scelta continua ad essere grato a sua madre ed al padre spirituale della parrocchia dov’è cresciuto, diventa perito elettrotecnico, poi parte per il militare ricevendo l’onore di suonare nella fanfara dei bersaglieri e, tornato alla vita civile, inizia il suo percorso professionale vero e proprio: con l’iscrizione all’albo dei periti viene assunto da uno stabilimento industriale a 23 anni e, pochissimo tempo dopo, incaricato quale responsabile della direzione tecnica fino al 2013, inoltre dal 2014 al 2019 Nevio è stato cellar master per in ristorante stellato Le Trabe di Capaccio, curando la carta dei vini ed il coordinamento del servizio di sommellerie, dove il suo bagaglio culturale del mondo del vino si arricchisce in maniera esponenziale. Dall’inizio di quest’anno Nevio è ritornato al suo vecchio incarico in stabilimento pur mantenendo le relazioni con la ristorazione di alta fascia.
A Nevio piace trascorrere qualche ora davanti al televisore con la famiglia e vedere programmi di attualità e politica, inoltre è anche un bravo cuoco, distinguendosi soprattutto nella meticolosità con cui prepara gli ingredienti, ma i suoi grandi amori sono tre: il vino, la squadra calcistica della Salernitana e gli sci tra week end a Roccaraso e settimane bianche sparse, andando in giro per l’Italia, a godersi qualche bella meta sciistica.
Investito ufficialmente del ruolo di delegato nel marzo del 2010, ed oggi al suo IV mandato, Nevio guida la comunità dei sommelier salernitani da buon padre di famiglia, abbracciando, oltre alla città di Salerno, un territorio che si estende da Scafati fino ad Eboli, che si estende quindi dall’Agro Sarnese Nocerino fino alla Valle dell’Irno.
La crescita di Nevio e la crescita della delegazione vanno di pari passo e, nel corso del tempo, il palinsesto degli eventi si arricchisce: ad esempio quest’anno si è giunti alla X edizione di Vitigno &Terroir, non ancora celebrata purtroppo a causa del covid-19 ma che sicuramente regalerà grandi soddisfazioni prossimamente; da non dimenticare De Cerevisiae, evento legato alla cultura della birra ed alcune edizioni proprio di Vitigno & Terroir celebrate a Castel San Giorgio presso la storica Villa Calvanese. Negli ultimi 4 anni, con la nascita del distaccamento della delegazione di Salerno Città nell’Agro Sarnese Nocerino e grazie alla cura organizzativa degli storici eventi, Nevio è riuscito ad ottenere una sostanziale crescita dei tesseramenti con un incremento che supera il 30% di iscritti.
Oggi grazie a Nevio Toti la delegazione ha assunto non soltanto un volto tecnico-culturale costantemente aggiornato e, cosa importante, in linea di continuità ma decisamente più a misura d’uomo e questo grazie alle sue doti manageriali, di mediatore sincero e di comunicatore appassionato e modesto, flessibile ed assertivo.
Quando hai iniziato ad appassionarti del mondo vino?
Grazie al mio impiego nel settore industriale feci uno stage a Verona… era il ’92 e mi ritrovai a partecipare ad una fiera vinicola: fu il primo dei tanti Vinitaliy a cui ho presenziato, la prima vera occasione per comprendere la differenza tra il vino contadino ed il vino tecnico. Ho sempre avuto una certa attrazione per gli alcolici, i distillati ed i cocktails fatti per bene, ma credo un approccio significativo col vino l’ho avuto in Friuli Venezia Giulia a cavallo tra il ’99 ed il 2001: durante un trasferimento per motivi di lavoro, potendomi spostare, ho avuto modo di approfondire la conoscenza di questa regione e di conoscere meglio il comparto vitivinicolo.
Nel 2001, rientrato dal Friuli, cominciai ad accarezzare l’idea di fare un corso, assaggiando e sperimentando. Da allora ricordo di quanto abbia cominciato ad amare condividere a tavola delle bottiglie decisamente importanti per quei tempi, facendo colpo sia sugli ospiti che sul ristoratore. Con questa nuova maturità e consapevolezza del bere ho così intrapreso il mio percorso con l’AIS poco tempo dopo.
Perché AIS, cosa ti ha portato a scegliere l’Associazione?
Intanto per il primo approccio col mondo della sommellerie proprio al mio primo Vinitaly del ’92, osservando con ammirazione e curiosità il personale di servizio fare sfoggio di quello scintillante arnese chiamato tastevin, emulato anche nello scudetto su giacche di rappresentanza, grembiuli di servizio e quei pin d’oro o da argento; ero affascinato nel vedere il sommelier Ais sempre attento alla mescita ed alla comunicazione professionale sul vino; non di meno, oltre che per l’altisonante presenza della nostra Associazione in quel contesto, fui colpito per la sua reputazione, la capillarità su tutto il territorio nazionale e per la qualità della proposta didattica che mi veniva presentata, arricchita da un esclusivo criterio di abbinamento cibo-vino, decisamente molto più innovativo e funzionale rispetto al decalogo francese.
Qualcuno che ti abbia ispirato?
In realtà sono tantissime le persone da cui ho tratto ispirazione nella vita in generale ed in particolar modo nella sommellerie, ma se debbo citare una sorta di ispirazione, che poi si è rivelata profeticamente fondata, questa è scaturita da una frase: il corso di sommelier ti cambia la vita. Ricordo benissimo quando Antonio Fusco, allora relatore e commissario d’esame, la pronunciò. Niente di più vero!
Nel grande mosaico AIS in cosa si contraddistingue la delegazione salernitana?
Credo, come per tutte le delegazioni, che la differenza la faccia sempre il territorio, i vitigni, la relazione con le cantine, i ristoratori, soprattutto coi soci coi quali si finisce sempre per instaurare un buon legame. Il nostro territorio, come hai detto nell’introduzione, è un territorio vasto, eterogeneo e con caratteristiche davvero uniche e straordinarie ma alla fine quel che ci rende forti è il senso di appartenenza ad una grande famiglia e che ci rende esattamente simili alle altre delegazioni AIS in tutta Italia.
A cosa va attribuito il boom di tesseramenti degli ultimi anni?
Innanzitutto debbo dire che al di là della crescita di consenso per l’Associazione Italiana Sommelier qui a Salerno mi sento una persona fortunata in quanto circondato da colleghi e collaboratori sempre positivi e garbati, come Mino Perrotta e Vittorio Guerrazzi, da cui si possono trarre sicuramente degli insegnamenti e senza i quali non avremmo potuto raggiungere determinati obiettivi.
Bisogna analizzare però anche il quadro sociale: c’è stato sicuramente con una maggiore attenzione sull’area nord della nostra provincia, tra le più densamente popolate, un discreto vantaggio e a seguire, suppongo, la constatazione che in fatto di movida ciò che costituiva per i giovani Salerno, oggi lo rappresenta l’area di Nocera Inferiore e di altri centri attigui. Questo spostamento dell’ago della bussola è dovuto chiaramente all’apertura di nuovi locali ed a proposte sempre più interessanti da parte dei ristoratori, decisamente molto coinvolti in questo rinnovato appeal che ha suscitato tanta curiosità per la cultura del vino. Con questo terreno fertile, una buona campagna comunicativa e le manifestazioni che abbiamo portato a termine la rinomanza della nostra Associazione in ambito nazionale ha fatto il resto.
I vini salernitani, quale evoluzione? E l’Enogastronomia del tuo territorio?
Nell’arco di un decennio la crescita che ha contraddistinto la mia personale evoluzione e quella della delegazione salernitana è stata anche la crescita in parallelo di tantissimi viticoltori, allora in erba ed oggi veri e propri specialisti dell’enologia e dell’imprenditoria vitivinicola, oggi molto apprezzati sul mercato. Una evoluzione non tanto scontata se pensiamo però che nello stesso anno in cui il Sassicaia veniva eletto il vino più buono al mondo un altro grande vino aveva già raggiunto i massimi punteggi sulle guide più prestigiose: mi riferisco al Fiorduva di Marisa Cuomo; d’altronde, col dovuto rispetto dei Supertuscan che hanno spianato la via ad un nuovo modo di pensare al vino in Italia, possiamo definire il Montevetrano di Silvia Imparato il primo Supercampanian per antonomasia ad aver dato un valore aggiunto alla nostra provincia in ambito internazionale. E ciò sempre espresso dalla critica di settore naturalmente. Due vini che esprimono fieramente il valore dell’enologia salernitana e che costituiscono non soltanto un motivo di vanto ma un esempio emblematico per tutti i produttori, uno sprone a perseguire attraverso il lavoro costante le stesse vette qualitative.
Chiaramente la componente gastronomica segue un percorso analogamente in crescita: materia prima eccellente e cuochi artigiani capaci di interpretarla sia secondo tradizione che grazie al loro estro creativo. La ristorazione però è una macchina imprenditoriale molto più complessa che a Salerno cittàdovrebbe imparare a tener conto di tantissimi altri aspetti, corroborarli per assurgere ad una eccellenza piena ed imparare a comprendere meglio le esigenze di un pubblico eterogeneo.
L’abbinamento cibo-vino che ti ha letteralmente folgorato per il suo equilibrio ed armonia?
In effetti devo ammettere che fuori dal lavoro sono molto disinvolto a tavola, soprattutto con familiari e gli amici, quindi preferisco andare alla ricerca del piatto che più mi soddisfa al momento col vino che reputo più piacevole per la circostanza, indipendentemente dalla perfezione che si vorrebbe raggiungere con l’abbinamento e che non farebbe altro che farmi perdere il piacere della convivialità ed il gusto di stare assieme agli altri.
Dei vini che ti sono rimasti impressi invece…
Oggettivamente sono tantissimi i vini del mio comprensorio a lasciare il segno e chi conosce tale realtà ne continua ad apprezzare la fattura, ma ci sono emozioni fuori dal tempo che restano davvero indelebili e significative: amo i Taurasi riserva delle Cantine Perrillo quando escono coi loro 10 anni di maturazione ed affinamento, ma il privilegio di degustare presso Ca’ del Bosco delle bollicine trentennali sboccate al volo per l’occasione e successivamente un grand cru della Côte de Nuits, precisamente un Richebourg di Joseph Drouhin del 1978, è indescrivibile. Infine non posso nascondere il mio grande apprezzamento sul Bin 407 di Penfold’s, decisamente tra i miei Cabernet Sauvignon preferiti.
Un sogno nel cassetto che vorresti realizzare per te e per la bella comunità che rappresenti?
Sono tantissime le cose da fare ancora e spero di continuare ad adoperarmi per la delegazione Ais di Salerno come ho sempre fatto per tantissimo tempo ancora. Il mio sogno è che la nostra delegazione possa magari esprimere un giorno, chissà nel 2030, il futuro miglior sommelier d’Italia.
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