Agricoltura biologica
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Lo scandalo delle sofisticazioni alimentari, le preoccupazioni che suscitano gli Ogm, e in generale la nuova consapevolezza del rischio alimentare spingono sempre più gli italiani verso i prodotti a marchio bio. Se fino a pochi anni fa si trattava di un mercato di nicchia, che richiamava pochi e facoltosi consumatori, oggi anche la grande distribuzione offre una vasta gamma di questi prodotti con una costante diminuzione dei prezzi.

Nell’ambito di una ricerca condotta in Sardegna e i cui esiti sono confluiti nella mia tesi di dottorato di ricerca, tuttavia, è emerso che i prodotti biologici nell’isola stentano a diffondersi sul mercato con una certa regolarità, verosimilmente anche a causa degli alti costi. Persistono diverse perplessità dovute ai prezzi, ritenuti dai più troppo alti, e un certo scetticismo nei confronti delle aziende bio.

Non pare affatto che questi prodotti siano entrati a pieno sulle nostre tavole e solo alcuni informatori dichiarano di consumarne, riferendosi, tuttavia, per lo più alla frutta e alla verdura prodotta da aziende biologiche conosciute personalmente.

Nessuno sembra andare alla ricerca di questi prodotti spinto da forti motivazioni ideologiche o salutistiche. Qualcuno, inoltre, per biologico intende la frutta e la verdura coltivati nell’orto in maniera tradizionale, senza sapere con precisione quali siano le garanzie che deve avere un prodotto biologico per potersi veramente definire tale.

Ulteriore tema attualmente al centro del dibattito intorno al problema di un’alimentazione sicura, è quello relativo all’utilizzo degli organismi geneticamente manipolati (Ogm)1 nell’alimentazione. Comparto industriale e scienziati investono sempre più danaro ed energie nell’ambito delle cosiddette tecnologie, in particolare sulle piante transgeniche2. L’ingegneria genetica, nello specifico, sembra promettere grandi sviluppi anche se non tutti sono ottimisti a riguardo. Ambientalisti e associazioni dei consumatori, malgrado si dichiarino favorevoli a studi ed esperimenti sugli Ogm, mostrano preoccupazione a causa dell’incontrollabilità dei risultati e lottano affinché il consumatore, attraverso etichette chiare e trasparenti, possa scegliere liberamente quali prodotti acquistare e quali, invece, evitare.

Più volte è emerso come il problema del “controllo” sia uno dei più peculiari; un problema che ritorna di frequente e che si trova al centro delle attuali rappresentazioni relative al nostro regime alimentare. Riappropriarsi, o tentare di farlo, del controllo di ciò che si porta in tavola, riuscire a restituire un’identità, un’origine e una storia al cibo che consumiamo, è una delle esigenze fondamentali che sembrano emergere di fronte alla percezione del rischio alimentare. L’atteggiamento dei consumatori nei confronti dei prodotti transgenici è sicuramente emblematico. Buona parte delle accuse che vengono mosse ai prodotti ortofrutticoli è che essi, impeccabili nell’aspetto, nascondono non solo la povertà di sapore, ma anche il sospetto di pesanti trattamenti chimici e di perdita delle sostanze nutritive.

I consumatori sono letteralmente sommersi da un’informazione sistematica relativa alla sicurezza del cibo che acquistano; tuttavia, riuscire a discriminare, all’interno di essa, tra quella valida e quella distorta, che più che informare disinforma e impedisce di conoscere ciò che realmente si cela dietro gli alimenti, è impresa ardua per gran parte di essi.

Nel caso delle biotecnologie la difficoltà nel gestire le informazioni che si accavallano quotidianamente nel dibattito, soprattutto mediatico, e nel riuscire a conservare il controllo di ciò che si porta in tavola, si moltiplica in maniera esponenziale. Tuttavia, va fatta chiarezza sulla nozione di biotecnologia e di ingegneria genetica, due concetti che non coincidono sebbene siano spesso confusi. Le biotecnologie, in realtà, non sarebbero una novità nel panorama scientifico e quotidiano; infatti esse esistono fin da quando l’uomo è diventato allevatore e agricoltore. Con biotecnologia si intende semplicemente una tecnica che utilizza un fenomeno biologico; di conseguenza, produrre l’aceto o il vino, piuttosto che lo yogurt, vuol dire creare biotecnologie in quanto si utilizzano dei fenomeni, in questo caso prodotti da microrganismi, per ottenere qualcosa che in natura non si verificherebbe senza la progettualità dell’uomo. L’ingegneria genetica, invece, è un campo di applicazione recente delle biotecnologie con cui è possibile isolare un gene del DNA di un dato organismo, per introdurlo in un altro, che, dunque, viene riprogrammato geneticamente. L’organismo geneticamente modificato è un organismo “nuovo”, nel quale, grazie alla tecnica detta del “DNA ricombinante”, è possibile inscrivere un gene estraneo ad una specie, ottenendo, per esempio, un alimento che, poiché deriva dal trasferimento di geni da una specie all’altra, è detto “transgenico”.

Le obiezioni sollevate contro il cibo transgenico sono numerose: dall’impatto sull’ambiente, all’alterazione degli equilibri ecologici, fino al rischio per la salute umana e a più generali implicazioni di natura morale. Le modifiche introdotte su una data pianta, soprattutto la resistenza agli erbicidi per impollinazione incrociata, potrebbero trasferirsi ad altre piante, comprese quelle cosiddette infestanti, le quali diverrebbero a loro volta resistenti agli erbicidi. Inoltre, esse potrebbero generare una selezione tra parassiti, rendendoli ancora più virulenti e difficili da controllare. La modifica dei patrimoni genetici naturali, attraverso la catena alimentare, potrebbe influire sul metabolismo dell’uomo; il rischio in questo caso consisterebbe nell’inserimento nel cibo di nuove proteine, alle quali una parte della popolazione potrebbe reagire con intolleranze e allergie. Per evitare il rischio di propagare modificazioni spontanee incontrollabili, in conseguenza dell’immissione in ambiente aperto di piante geneticamente modificate, sarebbe necessario sterilizzare geneticamente la pianta stessa. Ciò garantirebbe l’impossibilità di riseminare autonomamente la pianta ed obbligherebbe al riacquisto di semi modificati geneticamente ogni anno, con la conseguente dipendenza economica di intere regioni del mondo dalle multinazionali che ne detengono i brevetti. Infine, attraverso l’affermazione de sementi brevettate che generano piante e frutti di un certo tipo si rischierebbe, di compromettere la biodiversità, fondamentale per l’equilibrio naturale di ogni specie vivente.

Più in generale, le biotecnologie, e questo in relazione non solo ai prodotti transgenici ma a tutti i campi di applicazione, sollevano interrogativi importanti intorno al grado di accettabilità morale di un tentativo da parte dell’uomo di modificare ciò che la natura ha creato, e tutto ciò, spesse volte, al solo scopo di aumentare il profitto economico, per quanto esse siano presentate come soluzione a tutti i mali del mondo, primo fra tutti la fame che mette in ginocchio le popolazioni del sud del pianeta.

Oltre queste considerazioni di carattere etico, economico ed ecologico, che forse è difficile credere che entrino in gioco quotidianamente e per tutti, c’è una considerazione più generale da fare: fidarsi di ciò che non si conosce, non è facile; ciò che non conosciamo e perciò non controlliamo in ogni suo aspetto ci inquieta e ci turba.

Aldilà delle informazioni che possiamo ricevere e che riceviamo, ci pare che un alimento come quello geneticamente modificato accresca ancor di più la distanza che ci separa e che percepiamo dalla natura produttrice in quanto consumatori, contribuendo, dunque, ad accrescer i nostri sospetti e le nostre inquietudini in relazione a ciò che mangiamo, senza per questo poter fare granché. Sebbene gran parte delle attuali preoccupazioni intorno al cibo, emergono a causa dell’impossibilità di gestire e conoscere la sua storia, la consapevolezza che la composizione di un alimento possa essere determinata in laboratorio sembra aggiungere ancora un altro passaggio in quella catena di produzione alimentare che all’ultimo anello, sempre più lontano dall’inizio del processo e dalla possibilità di controllarlo, vede il consumatore. Accanto ai rischi alimentari conclamati, reali e dimostrati, di natura tossica, microbiologica e da radiocontaminazione, ne esistono altri, derivanti da un errato comportamento alimentare ma in qualche caso generato proprio a causa della confusione, della disinformazione dai miti e dalle paure infondate, fisime di gruppo, suggestioni culturali.

Dalle indagini condotte sul campo è emerso chiaramente che le maggiori informazioni relative agli Ogm, sono fornite principalmente dalla tv. Tuttavia, anche un’esposizione consistente a contenuti scientifici nelle trasmissioni televisive, può contribuire a ingenerare confusione senza peraltro garantire una conoscenza concreta ed esaustiva delle problematiche.

Alle notizie fornite dai servizi televisivi e dagli articoli dei giornali, devono aggiungersi quelle inviate e trasmesse tramite volantini e opuscoli pubblicitari da parte del Ministero delle Politiche Agricole o della Salute, dalle associazioni ambientaliste e dei consumatori, come anche da parte delle catene di distribuzione di generi alimentari di piccoli e grandi produttori. Tuttavia, neanche queste informazioni contribuiscono ad informare adeguatamente, in maniera chiara e trasparente il consumatore, che non sentendosi tranquillizzato reagisce in maniera varia e non sempre coerente.

La maggior parte degli informatori dichiara di sapere a grandi linee che cosa sono gli Ogm e mostra di avere paura dei possibili effetti negativi, ma precisa di non pensarci e di riservare nella quotidianità, alla preoccupazione per questo genere di rischi solo un piccolo spazio. Sono pochi gli informatori che dicono di non temere gli effetti degli Ogm e di essere favorevoli a questo tipo di ricerche. Si tratta perlopiù di informatori giovani, con un livello di cultura medio alto, più spesso laureati in discipline di ambito scientifico.

Ciò che colpisce è che tra gli intervistati, nessuno, neanche i più sfiduciati, sentono in maniera tanto forte il problema del rischio alimentare da comprare solo prodotti biologici o da controllare attentamente le etichette alla ricerca di tracce di additivi o di elementi che confermino o smentiscano di essere in presenza di un Ogm. Nessuno si sente in dovere di chiedere il parere dei medici o di altri esperti del settore, né ha letto i documenti ufficiali del ministero, di cui in buona parte ignorano l’esistenza.

In conclusione, sembrerebbe che i media offrano sul tema del rischio alimentare tutte le ipotesi possibili in cui la gente comune, secondo la propria indole, la propria cultura e il contesto di provenienza, si immedesima. Gli informatori, tuttavia, divisi approssimativamente in ottimisti e pessimisti, difficilmente dichiarano di aver cambiato o di pensare di cambiare in futuro le proprie abitudini alimentari. Tutt’al più dichiarano che cercheranno ulteriore conferme circa la propria idea di rischio alimentare, magari orientando le loro indagini solo in alcune direzioni.

Fonti

Bilotta C. (2006), Scarsità, Abbondanza, Rischio, Globalizzazione. Il mutamento nelle pratiche e nelle rappresentazioni dell’alimentazione in Sardegna. Tesi di Dottorato di Ricerca in Metodologie della ricerca etnoantropologica, Università degli Studi di Siena.

Catelli G. (1994), Biotecnologie e agricolture alternative. Strategie e contraddizioni nella società agricola contemporanea, Mondadori ed., Milano.

Douglas M. (1996), Rischio e colpa, Il Mulino, Bologna.

Fabbris G. (1995), Consumatore & Mercato, Sperling&Kupfer, Milano.

Teti V. (1976), Il pane, la beffa e la festa. Alimentazione e ideologia nelle classi subalterne, Guaraldi, Rimini-Firenze.

1 Chiamati spesso frankstain food.

2 Si tratta di piante ottenute inserendo nel loro patrimonio genetico parti di DNA di organismi viventi, allo scopo di creare nuove varietà, poi brevettate dall’azienda che le crea, che secondo i sostenitori resisterebbero meglio ai parassiti o alle avverse condizioni climatiche, garantendo una resa maggiore, specie laddove siano arricchite di sostanze nutritive e private delle possibili cause di allergie.

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