I due odori più buoni e più santi son quelli del pane caldo e della terra bagnata dalla pioggia.
(Ardengo Soffici)
10:00 am I primi raggi di luce penetrano nella mia stanza risvegliandomi da un sonno irrequieto, splendono forti e orgogliosi incuranti della miseria umana che illuminano.
Riscaldato dalla fredda luce del televisore, faccio colazione. Ogni sorso di caffè è intervallato dall’amaro conto degli infetti e dei morti. 10:30 Mi vesto, c’è da fare la spesa.
Prima di aprire la porta controllo che ci sia tutto. Portafoglio, telefono, chiavi, mascherina, guanti, l’autocertificazione.
Apro la porta, una sensazione strana mi avvolge lo stomaco, non mi sento a mio agio, quel quartiere così calmo e così pacifico oggi sembra un territorio di guerra, pieno di minacce e di insidie.
Una volta fuori un’ambulanza canta cupa in lontananza. Quel suono familiare inizia ad avere un eco lugubre nella mia mente. Ogni sirena è un altro infetto. Possibilmente un altro morto.
11:00 Aspetto il mio turno in fila davanti all’ingresso del supermercato. Li distante un metro da tutti mi sento nudo, debole e indifeso. Devo fare in fretta.
Entro nel Market. Le persone sono diverse, si evitano si temono, non sappiamo chi sia infetto e chi no. Ma tutti abbiamo in comune il velo di terrore sul volto.
Mi ritornano in mente le parole di De Andre: “Per strada tante facce non hanno un bel colore, qui chi non terrorizza si ammala di terrore”. Non c’è tempo per divagare. Compro il necessario, più del necessario abbinato a vari articoli non necessari.
Non voglio rischiare di dover uscire domani.
Tornato a casa seguo il solito canovaccio: gettare i guanti e poggiare la mascherina, lavare le mani e cambiare i vestiti. Infine sistemare la spesa. Le buste, le buste possono essere contaminate, mi rilavo le mani. Non posso correre rischi.
Chiuso nella mia gabbia dorata rimbalzo tra televisione, esercizio fisico e libri. Qualsiasi cosa pur di spingere quelle lancette avanti di pochi minuti.
In questa solitudine che lentamente mi infetta trovo consolazione nell’antico lievito madre di famiglia, ogni giorno va nutrito, ero uscito proprio per lui. Come ogni animale domestico ha i suoi cibi preferiti e questa volta ho deciso di accontentarlo.
Apro il pacco di farina Manitoba biologica, una prelibatezza per lui.
Lo nutro. Il rito è lo stesso di ogni giorno, rimuovo due terzi del contenuto del barattolo aggiungendo in seguito lo stesso quantitativo di acqua e farina.
Ora il mondo fuori sembra lontano, ma non lo è. Attediato da tutto inizio a preparare l’unica ricetta che so mi accompagnerà per l’intera giornata.
Il Pane.
Inizio impastando il lievito rimosso dal barattolo, circa 250 gr, in 500 gr di acqua tiepida. Il tepore dell’acqua sulle mani pervade la mia mente riportandola al dolce abbraccio del mare a Chia. Una memoria così vicina e allo stesso tempo distante anni luce.
Una volta sciolto il lievito, faccio uscire le mie mani dal tepore e dai suoi ricordi.
Aggiungo la farina (750 gr) mischiata con il sale (20 gr) e inizio a impastare gentilmente, come a massaggiare quel composto tiepido. Sento in esso nascere la vita.
Di colpo il brivido ritorna, percorre come un funesto messaggero la mia schiena dandomi la pelle d’oca. Un’altra ambulanza. Forse un altro infetto.
Spazzo via la nebbia di pensieri che mi avvolge e continuo a mescolare il pane con tutte le mie forze per circa mezz’ora.
Finito, lo accarezzo come a coccolarlo dandogli forma. Ora deve riposare.
Nelle 8 ore successive alzo il telo che lo copre ogni mezz’ora, come a controllare che dorma bene. Mi intervallo tra il mio amore paterno e la visione compulsiva di programmi e tg che spero dileguino l’ansia e la paura che hanno preso in ostaggio l’Italia, ma niente.
“Il presidente del consiglio Conte inasprisce nuovam…” Spengo il megafono delle mie ansie.
Lui nel mentre ha dormito, è pronto premo sulla sua superficie delicatamente come a volerlo svegliare.
E’ pronto.
Accendo il forno, lo imposto a 200 gradi e inserisco un pentolino di acqua calda alla base del forno, il Pane ha bisogno del vapore, lo fa risvegliare con calma.
Una volta raggiunta la temperatura guardo l’orologio prima di infornare. Sono le 23:11, il silenzio ha avvolto il quartiere e ora solo il suono di poche macchine solitarie ravviva la notte.
Prima di infornare decoro il pane con l’aiuto di una lama da rasoio. Ora solamente 45 minuti e sarà pronto.
Impaziente controllo continuamente l’orologio nel mentre che cerco di distrarmi tra libri e televisione. Lentamente un profumo familaire avvolge la mia umile dimora.
E’ pronto, busso il fondo dorato della mia pagnotta. E sento il vuoto che lo pervade. Quel pezzo di impasto pieno di vita ora è pieno del vuoto che le ha lasciato dietro. Non resisto e ne taglio un pezzo, un soffio di vapore si sprigiona dal pane che come un bacio mi rilassa e mi culla tra i suoi odori.
Lo addento.
Crunch. La croccante armatura marrone dorato libera un cuore umido e caldo. Il sapore dolce, salato e leggermente acido è inconfondibile.
E’ lui.
2 thoughts on “Oltre il virus la vita continua: la creazione del pane”