Un fiore bianchissimo, di ambienti estremi al confine tra la terra e il mare, che ha ispirato leggende fin dall’antichità, riappare ogni estate nelle spiagge del Mediterraneo. E’ il Pancratium maritimum, noto come Giglio di Mare, che all’approssimarsi della bella stagione rivela la sua presenza germogliando in uno degli ambienti più estremi per la vita delle piante: le dune costiere.
Le dune costiere sono accumuli di sabbia proveniente dai fiumi e dalle onde marine, paralleli alla costa e in continuo spostamento, rimodellati di continuo delle correnti e dei venti. Un ambiente instabile, tra la terra e il mare, composto da particelle di roccia, la sabbia, che la salsedine rende quasi sterile. Alcune piante vi crescono e prosperano per mezzo di adattamenti dei loro organi che ne fanno delle vere esploratrici, delle pioniere. Fra queste il raro Giglio di mare è un esempio di geofita la cui evoluzione in questo ambiente ne ha plasmato forma e stile di vita. Il termine geofita, dal greco ghe che vuol dire terra e phyton che significa pianta, indica un adattamento tutto particolare del germoglio che rimane sotto terra nella stagione fredda: il bulbo. Il germoglio sotterraneo è inserito su un fusto piccolissimo e circondato da foglie grosse e carnose ricche di sostanze nutritive che gli assicurano nutrimento per tutta la stagione avversa.
Il vento, nel litorale, trasporta gocce d’acqua marina e una moltitudine di granelli di sabbia con effetto smeriglio. Le acque che circolano nel sottoterra sono salmastre e di difficile assunzione da parte delle radici, per le piante si tratta quasi di un deserto. E allora ecco ancora adattamenti e strategie della Natura che hanno trasformato le foglie e i fusti del Pancratium in organi di riserva d’acqua dall’aspetto succulento e con forma e consistenza tale da resistere all’azione del vento. Le foglie ricordano nastri contorti particolarmente flessibili e resistenti che, insieme alle forme di altre specie vegetali, costituiscono ostacolo naturale contro il quale il vento deposita detriti. Via via che i detriti si accumulano oltre le dune, il sale è sciolto per azione dell’acqua piovana e ha inizio la formazione dei suoli, della vera e propria terra.
Una leggenda narra che il Giglio di mare nacque dal latte perduto da Era mentre Ercole lo succhiava con troppa foga. Parte del liquido divino schizzò in cielo generando la Via Lattea e parte cadde sulle spiagge generando i gigli. Bianchi come il latte i fiori del Pancratium sono formati da una doppia corolla. Nella sua parte più esterna il fiore ha 6 petali lunghi e sottili che abbracciano i petali interni riuniti e fusi insieme a formare una sorta di tromba, la paracorolla. Questa struttura lo diversifica dai fiori propriamente chiamati gigli. Il raggruppamento botanico al quale appartiene non è infatti lo stesso del giglio comunemente conosciuto, il Lilium, ma un gruppo, una famiglia di piante, le Ammarillidacee, caratterizzate da questo tipo di fiore doppio.
Le corolle sbocciano tra luglio e settembre inebriando l’aria di un profumo sottile ed esotico percepibile maggiormente la sera e in assenza di vento. E’ di sera che avviene l’impollinazione cioè lo scambio dei granuli di polline fra un fiore e l’altro soprattutto per opera di farfalle notturne, le falene. Il pistillo, l’organo femminile, che si trasformerà in frutto, è più lungo degli stami portatori di polline. Questa è una strategia evolutiva che impedisce al fiore di autoimpollinarsi. Il pistillo è fecondato solamente da granuli provenienti da altri fiori, da individui diversi, che assicurano la variabilità dei geni nel prosperare della specie.
Fra ottobre e novembre le candide corolle scompaiono per lasciare spazio ai frutti: capsule ovali e coriacee lunghe 2 o 3 cm. A maturità si aprono dall’alto in basso e lasciano fuoriuscire i semi numerosissimi, di forme diverse e irregolari, neri e lucenti come seta, leggerissimi e pieni d’aria. La loro dispersione avviene nelle immediate vicinanze della pianta madre, ma anche più lontano.
Sembrano progettati per navigare e, spinti dal vento verso la battigia, sono in grado di prendere il largo rimanendo a galla verso nuovi lidi, verso altri luoghi da colonizzare. In questo ciclo che si ripete ogni anno da tempi immemorabili il Pancratium maritimum si è diffuso lungo tutte le coste del Mediterraneo divenendone una delle piante più caratteristiche. La pianta che nel nome e nella leggenda evoca la forza, è in realtà oggi un’entità fragile e minacciata di estinzione e per questo inserita nella Dir. 43/92/CEE 2110 e 2210. Sovraffollamento delle spiagge, transito, calpestio, accessi liberi e incontrollati, stazionamento sulle dune, solchi lasciati dai veicoli e spianamenti cambiano irrimediabilmente le caratteristiche e i delicati equilibri dell’ambiente di mezzo, quello di spiaggia, tra la terra e il mare
Dalle dune costiere, un ambiente spesso sottovalutato dal punto di vista della biodiversità vegetale, proviene la colonizzazione delle terre emerse e procede dal mare verso l’interno. Da una zona senza vita, quella dell’alta marea, si estende un’area dove si depositano alghe e resti di conchiglie la cui decomposizione apporta nutrimento alle prime piante colonizzatrici delle spiagge. Verso l’interno si trovano associazioni di piante, alle quali anche il Pancratium appartiene, via via più ricche e complicate che trattengono sabbia e acqua e capaci di trasformare detriti in ciò che in una delle tante accezioni chiamiamo terra. E’ la terra sulla quale crescono le piante, sulla quale ogni habitat prende origine.
Foto di Ninni Marras
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