Fondata nel 1950 dal padre di Silvano Ferlat, questa piccola realtà ha iniziato la produzione di vino sfuso svolgendo attività agricola e di allevamento di bestiame al contempo, successivamente l’Azienda Agricola Ferlat ha concentrato tutti i suoi sforzi sulla viticultura ed il suo profilo ha cominciato a smussarsi e delinearsi nel tempo fino a diventare quello di un’autentica cantina a conduzione familiare.
Ubicata in provincia di Gorizia nel comune di Cormons, la cantina conta ben 7,5 ettari di vigneto in bilico geologicamente tra la tessitura del terreno tipico del Collio, con presenza di argilla, sabbia e marna, e quello caratteristico dell’areale di Isonzo, più ghiaioso, con presenza di argille rosse e ciottoli fluviali. Nei suoli della pianura friulana, specialmente in questa zona, domina il Flysch di Cormons, un’alternanza di arenarie e ponca come vien qui definita la marna, che conferisce loro ricchezza di calcare, fosforo e carbonato di potassio, elementi che ne determinano la straordinaria vocazione in termini ampelografici. Situata ai piedi del monte Quarin ad un’altitudine media di 56 metri sul livello del mare, Cormons dista pochissimo dalla Slovenia e si trova a 40 chilometri da Trieste e quindi dal mare, una distanza esigua se si considera praticamente l’assenza di ostacoli naturali che pertanto favorisce l’ingresso del benefico effetto termoregolatore dell’Adriatico. Qui il clima è in effetti caldo e temperato ma vi si riscontra una piovosità piuttosto significativa che vede la sua massima concentrazione tra la seconda metà di ottobre e la prima di novembre, per un accumulo totale medio di 102 millimetri.
Vista la sua posizione geografica e per la cultura dei luoghi, a Cormons si parlano ben tre lingue: il Friulano, l’Italiano e lo Sloveno. Anticamente è stata una stazione romana poi fortificata dai Longobardi nel 610 d.C., diventando sede dei Patriarchi di Aquileia nell’Alto Medioevo, mantenendone il retaggio per oltre un secolo. Rodoaldo la ottenne in feudo dall’Imperatore Ottone II nel 980. Nel 1277 i Conti di Gorizia se ne impadronirono e, tranne per l’occupazione veneziana del 1308, tale la situazione restò fino al 1497, anno in cui Leonardo di Gorizia fu costretto a firmare un lascito ereditario che sanciva il passaggio di tutta la Contea di Gorizia all’Impero Asburgico. Cormons è famosa per essere stata la sede in cui si è firmato l’armistizio tra Italia ed Austria che pose fine alla terza guerra d’indipendenza. Fu Francesco Giuseppe I d’Austria a concedere nel 1912 a Cormons lo status di città, lasciando che prosperasse economicamente e che si allentasse lo spirito di rivolta tra i suoi fieri abitanti. Durante la Prima Guerra Mondiale passò agli italiani per poi essere riconquistata dagli austriaci e tornare definitivamente sotto il tricolore, per quanto pesantemente devastata dal conflitto. Alcuni luoghi di interesse storico-artistico-culturale sono il Castello Longobardico di Quarin, il Palazzo Locatelli, sede municipale e museo civico del territorio dal 2002, il Duomo di Sant’Adalberto ed il Santuario di Rosa Mistica.
In questo contesto, ubicato nella zona orientale del Friuli Venezia Giulia ricadente nel disciplinare della Doc Friuli Isonzo, la realtà vitivinicola della famiglia Ferlat ha continuato ad evolversi ed a partire dal 2000 la gestione agronomica dei vigneti è passata in biologico. Col padre Silvano a seguire il ciclo vegetativo in vigna, favorendo l’inerbimento con erbe spontanee e compiendo al massimo una cimatura poco prima della vendemmia, oggi è Moreno Ferlat che si occupa della conduzione enologica assieme a Federica Tabacchi. Una miscela coerente di sostenibilità, tradizione e tecniche di vinificazione evolute al fine di mantenere un profilo di artigianalità e conferire al tempo stesso ai vini una spiccata personalità, accessibilità e riconoscibilità.
Le uve Pinot Grigio che servono ad ottenere il PG Rosa Igt Venezia Giulia provengono da quattro diversi vigneti con caratteristiche altrettanto diverse: le viti più giovani sono allevate a guyot monolaterale arcuato con una distanza tra le viti di 0,8 metri e 2,5 metri tra i filari, mentre quelle più vecchie sono allevate alla cappuccina o a guyot doppio capovolto bilaterale che dir si voglia, con una distanza tra le viti di 1,1 metri e di 3 metri tra i filari. Le rese per queste ultime sono di 80 quintali per ettaro contro i 110 quintali delle viti più giovani, non tanto a sostegno della quantità ma al fine di calmierare il fattore alcolico: l’ideale per il PG Rosa, secondo la filosofia di Moreno, sarebbe quello di attestarsi sui 12° o comunque di non superare i 13, limitando la produzione con un diradamento dei grappoli in eccedenza quando necessario, durante la cosiddetta fase di vendemmia verde.
Le masse per la vinificazione si distinguono pertanto in 4 vigneti, le cui uve vengono macerate separatamente e senza il controllo della temperatura in vasche di cemento: il vigneto più giovane compie una macerazione di due giorni, i due vigneti di età intermedia ne fanno quattro ed il vigneto più vecchio ne compie sette. Al termine della macerazione si passa al torchio verticale che veicola la materia prima in vasche inox in cui la fermentazione spontanea, avviata col pied de cuve, verrà portata a compimento con controllo della temperatura compresa tra i 20 ed i 21°. La risultante delle quattro masse resterà separata, facendo bâtonnage in acciaio, per poi essere assemblata poco prima dell’imbottigliamento.
Il PG Rosa del 2018 indossa una veste rosa chiaretto davvero emozionale, come il colore di quegli apostrofi che trafiggono il cuore mentre osservi l’oggetto del desiderio e sai già che ti piacerà per quanto s’intravvedono delle particelle in sospensione contro cui la luce che danza dentro al calice gli rimbalza addosso… intanto che, a dimostrazione che non c’entra nulla con l’alcol, tracce di consistenza si traducono in forma d’archi di media ampiezza e lacrime che scoscendono senza eccessiva fretta.
Sensazione iodata subito, sferzante ed assieme alla rosa canina, poi fragoline di bosco non troppo mature e succo di melograno, a seguire la china, una desueta nota di caramello, camomilla e rosmarino, per poi sentirsi accarezzare il naso ancora una volta dalla nota di iodio marino e cominciare daccapo. In bocca arriva la sapidità, perfettamente integrata alla morbidezza, come quelle sberle di umami che ti arrivano dentro a un guanto di velluto e ti fanno salivare anche per la calibrata freschezza e per il piacere di una sorsata che arriva bella smussata da tutte le sue irruenze, in equilibrio quasi perfetto e con un finale lievemente ammandorlato che sussurra “ne voglio ancora”. Ci si potrebbe soffermare a descrivere tutte le sensazioni gusto olfattive che un po’ confermano quelle alla via diretta e un po’ virano verso note di eleganza agrumata e vaghi ricordi di Madera, ma il fatto è che questo vino sorprende pure a calice vuoto, a dimostrazione che la profondità delle cose vive non si misura mai linearmente: tutta la macchia mediterranea affiora imperiosa quasi se ne fosse stata sommersa in quel calice di rosa liquido in attesa della bassa marea. La vie en rose interpretata da Louis Armstrong, ascoltata assaporando spaghettoni quadrati alla carbonara di tonno e pepe rosa… e non venitemi a raccontare che tutto ‘sto rosa è un po’ troppo scontato.