Prometeo
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di Carla Dotzo

“Ma io sapevo bene tutto questo. Volontariamente, volontariamente commisi la colpa: e non lo negherò. Portando aiuto ai mortali mi procurai dolori”
Prometeo, 265-267

Volontariamente Prometeo –etimologicamente Colui che vede, e capisce, prima- ha trasgredito all’indomabile volontà di Zeus, rubando il fuoco agli dei per farne dono agli uomini.

Il dio supremo, che ha da poco preso il potere sull’Olimpo, ha infatti assegnato al fabbro Efesto il controllo del fuoco, e ne ha proibito l’uso all’uomo, smettendo di farlo crepitare spontaneamente sulle cime dei frassini e provocando la reazione del cugino Prometeo, che, mosso a pietà della fragilità umana, ruba dalla fucina di Efesto qualche scintilla e la conserva in una bacchetta cava, pronto a regalarlo agli uomini, che reputa deboli quanto intelligenti.

Ma perché Zeus è tanto arrabbiato con la stirpe umana? Perché ha scelto di privarla dell’unico strumento grazie al quale si alimenta e riscalda?

Il solito Prometeo, durante un sacrificio solenne, dopo aver diviso un bue in due parti, una destinata agli dei e l’altra ai mortali, ha coperto la carne con la pelle dell’animale e vi ha posto accanto un cumulo di ossa nascoste da uno spesso strato di grasso. Naturalmente Zeus, chiamato a scegliere la porzione, opta per quella apparentemente migliore, e quando scopre l’inganno decide di castigare gli uomini, destinatari del pezzo più ricco, come aveva voluto Prometeo. Per questo Zeus sottrae alla razza umana il fuoco, quel fuoco originario, spontaneo, immutabile ed eterno che senza essere mai stato acceso né progressivamente attizzato crepitava senza soluzione di continuità garantendo all’uomo cibi cotti e calore.

Il fuoco rubato da Prometeo è diverso: infatti è “nato”, perché generato da un seme, ed è mortale, destinato a spegnersi. Per tenerlo vivo sarà necessario vegliare su di lui, custodirlo, fare i turni affinché venga sempre attizzato e rinvigorito. E’ proprio con questa richiesta di impegno e di alacrità rivolta alla specie umana che ha inizio la civiltà, la cultura. E quindi “il fuoco di Prometeo è un fuoco tecnico, un processo intellettuale che differenzia gli uomini dalle bestie e ne consacra il carattere di creature civilizzate.” Ed è anche un fuoco che, quando si scatena, ricorda l’aspetto di una belva che, stuzzicata, non è capace di fermarsi. Il fuoco sottolinea la specificità umana: come l’uomo partecipa infatti sia della sua origine divina che della sua impronta bestiale.

E per questa spinta all’uomo, lo stimolo ad industriarsi e ad impegnarsi, Prometeo è visto da sempre come il simbolo dell’ingegno umano, come un inflessibile portatore di civiltà.

Tuttavia, il furto costituisce una palese violazione alle regole non scritte del padre degli dei e una simile ostinazione mette in evidenza un atteggiamento spavaldo, quasi sbruffone nei suoi confronti, atteggiamento verso il quale Zeus ritiene di non poter mostrare indulgenza. Per questo punisce il cugino con una pena dura, severissima. Prometeo dovrà essere incatenato a una roccia e ogni giorno un rapace divorerà il suo fegato, che durante la notte ricrescerà.

Prometeo affronta stoicamente la pena impostagli, e non smette di affermare orgogliosamente la giustezza della propria scelta. Resiste, e a lungo, fin quando Eracle, figlio di Zeus, finalmente lo libera.

Ma anche per gli uomini Zeus ha in serbo una punizione…un “dono”infido: la prima donna dell’umanità. Per plasmarla gli dei non si risparmiano: ciascuno di loro le offre un dono, e Pandora (etimologicamente “Tutti i doni”), prima mortale del mito, ha la bellezza e la forza seduttiva di Afrodite, l’abilità nelle attività femminili di Atena, l’astuzia bugiarda e senza scrupoli di Ermes. Sa piacere e compiacere, usare fascino e potenza attrattiva per ottenere ciò che vuole, è disposta a mentire e a giocare coi sentimenti. Zeus la spedisce da Epimeteo, il fratello tontolone di Prometeo (il suo nome significa, non a caso “Colui che capisce dopo”!) il quale, benché messo in all’erta dal fratello, accoglie la ragazza in casa, sedotto e abbindolato, e la sposa. Con Pandora viaggia anche una giara ben chiusa, che Zeus ha dato alla donna con l’invito a non aprirla mai. La ragazza, curiosa come ogni donna (o come ogni donna viene dipinta!), non resiste alla tentazione e scoperchia il cesto. Il dono di Zeus per Pandora è pericolosissimo. Il cesto, una volta aperto, libera tutti i mali del mondo, che da questo momento vagano nell’aere contaminando la vita dei mortali e dando inizio alla decadenza morale dell’età del ferro, così ben descritta da Esiodo ne “Le opere e i giorni”.

E la responsabilità, esattamente come nella Bibbia, è di una donna, tradizionalmente vittima di un’inguaribile curiosità.

“La condizione umana è caratterizzata precisamente da quest’aspetto duplice ed ambivalente: ogni vantaggio ha la sua contropartita, ogni bene il suo male.”

Dentro la giara di Pandora resta solo la Speranza, inutile agli immortali e alle bestie, inconsapevoli della loro mortalità. “Se l’uomo, mortale, prevedesse in anticipo il futuro, non avrebbe più la forza di vivere, poiché non potrebbe guardare la propria morte in faccia. Ma sapendosi mortale senza conoscere né se né quando morrà, la Speranza, previsione cieca, illusione salutare, bene e male ad un tempo, la Speranza sola gli permette di vivere quest’esistenza ambigua, sdoppiata.”

Tutte le citazioni sono tratte dai lavori del Vernant, Mito e pensiero presso i greci. Studi di psicologia storica e Mito e società nell’antica Grecia

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