Ogni anno arrivava la cosiddetta “Settimana di tensione”. Tutti si preparavano con estrema concentrazione e passavano il week end a fare training autogeno per non arrivare in classe troppo carichi e rischiare le classiche azzuffate, in cui qualcuno ci lasciava sempre qualcosa.
Le conseguenze potevano essere fisiche e variavano fra perdita di funzionamento corretto di ginocchia, o comunque arti inferiori, causa calcio alle “gannedde” (dato in maniera coatta mentre la maestra scriveva alla lavagna), a classici e banali graffi o lividi sparsi per il corpo inferti in quella che negli altri periodi dell’anno era la mezzora d’aria e che si trasformava in quei giorni in 30 lunghi minuti d’incubo: la ricreazione. Ma le peggiori sofferenze erano quelle morali. Un livido guariva, l’uso delle gambe si riacquistava, anche se lentamente. Ma la perdita della faccia, quella era dura da digerire, soprattutto perché dovevi aspettare un lungo anno prima di avere la tua rivalsa, e non era detto che sarebbe mai arrivata.
Arturo pensava a tutto questo mentre il padre lo accompagnava in ritardo a scuola. Si girò e gli disse: “Dai, Arturo fatti coraggio, ne abbiamo già parlato, lo so è dura, ma devi essere forte, vedrai che stavolta vinceremo e fra una settimana sarai gioioso di andare a scuola e non mi farai fare tardi come oggi rinchiuso in bagno a fare sai solo tu che cosa… Me lo sento, bambino, fidati del tuo babbo!”.
Arturo scese dalla macchina, abbozzando un sorriso. Salutò il padre che lo vide correre verso l’entrata della scuola con quello zainetto più grande di lui. Capiva cosa provava, era capitato anche a lui tanto tempo prima. Anche lui, come il figlio, aveva sempre dovuto combattere arduamente contro gli agguerriti Juventini. La canzone recitava: “juventino sardo, tu non sei sardo, sei solo un bastardo”, ma questo non lo diceva ad Arturo, per evitare di doverlo consolare in caso di scazzottate in cui lui non usciva esattamente vincitore, visto il suo gracile portamento.
Quella settimana era tosta anche per lui, vista la grande sfida al Sant’Elia della domenica successiva. Anche lui, come Arturo, aveva tutta una serie di amici fedeli alla vecchia Signora… La settimana passò esattamente come sia Arturo sia il padre l’avevano immaginata. Per chi, come loro, aveva nel DNA, la grande passione per il “Magico Cagliari Vinci per Noi”, non era semplice dimesticarsi fra gli insulti e le provocazioni che piovevano copiosi contro allenatore, giocatori e ovviamente presidente del Cagliari Calcio da parte di quegli eretici traditori che tifavano la temuta Juventus. Però insieme avevano analizzato la situazione ed erano convinti che stavolta, con l’apporto di Nenè e Matri in attacco ce l’avrebbero potuta fare. Si sarebbero accontentati di un pareggio, anche se… al Sant’Elia, magari… In poche parole confidavano in una vittoria. Stavano però in religioso silenzio, anche perché, si sapeva, fare pronostici anzitempo portava male e loro non erano certo delle “cugurre”… Quando Arturo non ne poteva più di stare zitto e sentiva che stava per scoppiare, chiedeva di andare in bagno e, una volta chiusa la porta alle spalle, prendeva in mano l’abbonamento e lo baciava implorandolo di portargli fortuna, almeno per una volta.
Era il 29 novembre dell’anno di grazia 2009 e Arturo ed il padre pranzarono silenziosi in famiglia, aspettando che arrivasse l’ora in cui si sarebbero alzati, avrebbero salutato tutti e si sarebbero diretti verso il loro amato (e sgangherato) stadio.
Fu tutto come un sogno. Alla tv qualche pronostico e anticipazione sulle formazioni. Poi il tragitto verso il Sant’Elia. Una fiumana di gente, come ogni anno. “Le classiche cugurre”, pensò Arturo, ma non lo disse a voce alta. Con suo padre avevano una sorta di patto: non si parlava troppo della partita e degli avversari prima, non portava bene. Si accomodarono nelle loro poltroncine e attesero che la partita cominciasse. Attorno a loro le solite persone, tutti emozionati ed in fermento per quella che si preannunciava come una grande prova di coraggio. Tutti come loro accomunati da una grande passione intramontabile: il magico, divino, insuperabile Cagliari…
La partita iniziò e si preannunciò combattuta ed emozionante. Di fronte a loro i distinti, pieni zeppi di gente. Avevano visto i pullman provenienti da ogni parte della Sardegna: Alghero, Sassari, Olbia… Tutti lì a tifare la Juventus… “Traditori”, pensò Arturo, ma non lo disse neanche stavolta. Ogni volta che c’era un’azione positiva per i bianconeri si alzavano… Li odiava un pochino, ma doveva trattenersi.
Poi successe l’impensabile: punizione per il Cagliari, assist per Nenè che tirò un pallone imparabile da 30 metri che si piazzò proprio nell’angolo destro della porta e la sfondò. “GOOOOOOAAAALLLLLLLLLLLLLLLLLLLLLL!!!”
Arturo saltò in aria come una bomba ed abbracciò il padre felice. Gli spalti si destarono, tutti si abbracciarono felici, ma la partita non era finita. Era una regola, dosare le emozioni, non arrendersi mai finché l’arbitro non ne fischiava la fine.
Si sentiva una strana tensione mista ad ansia nell’aria, tutti osservavano l’azione e pochi commentavano, anche per non rischiare di venire linciati.
Arrivò la fine del secondo tempo. La tensione aumentò sempre di più. Si rischiava il pareggio. Poi Matri prese la palla e fece una prodezza incredibile. 43° e Goooallll!!! Buffon battuto… Incredibile. 10 anni dopo Berretta vittoria del Cagliari al Sant’Elia.
Fischio finale. Arturo guardò il padre felice e lo ringraziò per quella domenica, per i suoi pronostici, per avergli instillato quella grande passione per il Cagliari, una passione che non sarebbe mai morta, che si portava dentro dalla nascita e che faceva parte dei suoi geni. L’indomani non si sarebbe attardato in bagno, non avrebbe fatto i capricci per andare a scuola. Poteva stare tranquillo, almeno per un anno.