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Ci sono romanzi che raccontano una storia. E poi ci sono romanzi che raccontano un popolo. “Il potere del caso” appartiene, con potenza, a questa seconda, nobilissima categoria.

Con uno stile magistrale, limpido eppure ricco di suggestioni, Maria Elisabetta Giudici ci consegna un’opera letteraria di altissimo livello, capace di affondare le radici nella terra dura e generosa dell’Italia centrale per poi spiccare il volo verso il mondo, oltre gli oceani. La sua prosa è vibrante, precisa, poetica, capace di commuovere e indignare, di far sorridere con dolcezza e riflettere con intensità. Il romanzo attraversa la Storia – quella con la “S” maiuscola – e al tempo stesso custodisce le microstorie delle famiglie, degli emigranti, degli ultimi. È un viaggio che parte dalle montagne ciociare e si snoda tra i campi dell’Abruzzo, i pontili di Napoli, le cuccette puzzolenti delle navi di terza classe, le luci di una New York che all’inizio del Novecento è al tempo stesso incanto e inferno.

Ma non è solo un racconto di emigrazione. È molto di più. È una narrazione corale che intreccia destini, identità, desideri spezzati e sogni realizzati. La protagonista, Ondina, figlia del caso e della fame, diventa voce e simbolo della grande epopea italiana nel mondo. Durante la lettura camminiamo nella miseria, navighiamo nella paura, sbarriamo gli occhi davanti allo splendore delle sale di prima classe, e ci inginocchiamo al dolore di una madre costretta a vedere la propria bambina ormai esanime gettata nell’oceano, avvolta in un lenzuolo e con una pietra legata al collo. Lo sfondo storico è trattato con una competenza rara e con una sensibilità straordinaria: la deportazione degli ebrei, l’ascesa del fascismo, le ferite della guerra, la fame, la disperazione che spinge alla partenza, l’obbrobrio delle marocchinate, e il sacrificio immenso di chi ha costruito pezzo dopo pezzo la propria dignità lontano da casa. Ogni pagina restituisce al lettore il peso della verità, senza mai cadere nella retorica. Ogni parola è cesellata con cura, ogni immagine sembra dipinta, viva, presente. La scrittura di Giudici è il vero punto forte della narrazione: una vera sorpresa.

Ma torniamo al romanzo. Troviamo anche la Nuova Zelanda in questo romanzo, paese natio di uno dei protagonisti principali. Ma è il continente americano a farla da padrone. L’America – e in particolare la New York degli inizi del Novecento – viene restituita in tutta la sua contraddizione: terra promessa e luogo di sfruttamento, crocevia di razze, colori, lingue, odori. La città vibra di vita e caos, di lusso sfrenato e povertà assoluta. I “tenement” affollati, i ponti in costruzione, le sale da gioco e i sogni americani si alternano alle lacrime di chi ha perso tutto, ma non ha rinunciato a sperare. Il romanzo è anche un grande tributo alla forza e all’ingegno degli italiani nel mondo, alla loro resilienza, al loro amore per la famiglia, alla dignità che non si piega. È un inno alla capacità di costruire, creare, lavorare, sopravvivere. Ma soprattutto, è un atto d’amore verso la memoria: quella che ci rende chi siamo e che, se ben custodita, diventa la nostra bussola nel tempo.

Con “Il potere del caso”, Maria Elisabetta Giudici firma un’opera che lascia il segno, che merita di essere letta, studiata, ricordata. Una narrazione epica e intima insieme, di quelle che raccontano la verità più grande: non c’è caso, nella vita, che non sia attraversato da una forma di destino.

Un romanzo necessario. Un gioiello della letteratura italiana contemporanea.

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