di Enrico Santus
Il precariato è un fenomeno che nasce in un sistema capitalistico quando il datore di lavoro, o perché timoroso di rischiare o per pura convenienza, decide di non garantire un rapporto continuativo e un reddito adeguato a chi lavora per la propria impresa, lasciando così i lavoratori in una condizione detta appunto “precaria”, in quanto non permette di pianificare con certezza vita e futuro. E quali sono i settori più colpiti dal precariato, se non quelli in cui il mercato è meno sicuro? Pensiamo a quanto ne è colpita la cultura e, in particolare, i due mondi ad essa strettamente più legati: l’Università e l’editoria.
Da diversi anni, le case editrici hanno iniziato a far ricorso alle collaborazioni esterne, si chiamino esse service editoriali o collaborazioni a progetto. In questo modo possono snellire l’organico, abbassando sistematicamente le spese per il personale: ai pensionamenti non corrisponde l’integrazione di lavoratori con pari livello, annullando così totalmente il ricambio generazionale.
I vantaggi del precariato per gli imprenditori sono tanti: i precari, infatti, costituiscono una nuova classe debole e ricattabile. Si tratta in genere di una massa di giovani tra i 25 e i 35 anni con un alto (qualche volta altissimo) grado d’istruzione, ma con scarsa esperienza lavorativa. Considerata l’età, la necessità di un reddito che li renda economicamente indipendenti dalle famiglie e la scarsa coscienza di classe, gli imprenditori godono dell’abbassamento dei costi, provocato da una sorta di “guerra tra poveri” al ribasso.
Considerata la scarsa azione dei sindacati, è nata recentemente la ReRePre (Rete dei Redattori Precari: http://www.rerepre.org/), che – come si legge nel manifesto – si vuole “opporre all’esternalizzazione selvaggia dei servizi editoriali”. Benché non aprioristicamente contrari alle collaborazioni occasionali e freelance, la rete ReRePre ritiene che “queste forme di prestazione debbano essere scelte anche dal lavoratore, non solo dall’azienda, che debbano essere retribuite in maniera adeguata e che tempi e modalità del loro svolgimento debbano essere concordati tra le parti”. Perciò è solo attraverso la consapevolezza della propria condizione e attraverso una lotta di classe per i propri diritti che si può ottenere un miglioramento. La “guerra tra poveri” non può che peggiorare la situazione, invece.
Dal punto di vista qualitativo dell’editoria, infine, il ricorso a collaborazioni esterne ha provocato importanti conseguenze: poiché nella maggior parte dei casi i collaboratori rimangono anonimi e sottopagati, il loro rendimento è certamente inferiore, portando così alla produzione di libri farciti di refusi o tradotti approssimativamente, con errori d’impaginazione o di stampa.
Inoltre, il precariato ha pesanti ripercussioni sia sulla società che sull’economia: viene a mancare proprio quella classe di persone che dovrebbero dare vita a nuove famiglie, investendo in beni di valore e negli immobili. L’assenza di questa classe, naturalmente, provoca una maggiore staticità dell’economia, che poi va ripercuotersi a catena su tutti gli strati della società. Per non parlare, poi, delle pensioni e della scarsità dei contributi versati agli istituti di previdenza sociale.
Guardando non solo il presente, ma anche il futuro, verrebbe da chiedersi se il precariato alla fine crea problemi solamente ai precari, oppure possa rovinare anche le tasche di chi ne abusa.