L’attore e regista Valentino Mannias (Premio Hystrio alla vocazione) si cimenta con un testo portante della cultura occidentale: l’Orestea di Eschilo. Nuova produzione di Sardegna Teatro, debutterà nel 2021 nella necropoli di Tuvixeddu, e ha già effettuato dei primi studi al Teatro S.Giorgio di Udine, dopo la residenza a Villa Manin del co-produttore CSS Udine.
Dal 25 agosto al 13 settembre il cast guidato da Mannias abita lo spazio culturale Kymothoi, un luogo nella cittadina di Monemvasia, al sud della Grecia. La residenza è possibile grazie alla collaborazione con l’organizzazione Between the Seas, che opera sia a Atene che a New York, dedicandosi al sostegno e alla promozione di prodotti artistici che hanno origine nelle aree del Mediterraneo.
La residenza di Monemvasia si dedica all’attraversamento della tragedia con la musica, un’occasione per lavorare su tre canti del coro dando voce e corpo a delle composizioni originali scritte per l’occasione dal compositore Luca Spanu.
Uno dei punti focali dell’estetica di questo lavoro risiede nell’incontro con Sòtziu Tenore Nugoresu un gruppo di giovanissimi artisti che si forma a Nuoro nel 2015, con l’intento di ricercare e divulgare il modo più antico e autentico del canto a tenore nuorese. La formazione esegue i canti, profani e religiosi, secondo i canoni di una delle più antiche polifonie del Mediterraneo. Esistono differenti stili diffusi nella regione centrale dell’Isola, intorno a Nuoro. Il Canto conserva le sue peculiarità tramandandole oralmente, attraverso la pratica, di generazione in generazione. Una sonorità straordinaria che nasce dall’imitazione dei suoni della natura e degli animali dando vita a un suono di insieme di quattro voci, le quali vanno ad eseguire nel medesimo istante la melodia, l’armonia ed il ritmo. Il quartetto vocale è composto da quattro voci: Boche (voce solista) Mesuboche (voce alta, spesso in falsetto) Contra (voce gutturale) e Bassu (altra voce gutturale).
Note di regia
L’Orestea di Eschilo racconta la nascita della democrazia in Occidente e il rapporto che gli uomini e le donne hanno con l’oltrevita. Probabilmente la si metteva in scena dall’alba al tramonto e il pubblico partecipava alle danze e ai canti intorno all’ara come si fa oggi nelle manifestazioni civili e religiose in Sardegna o nei cori gospel delle chiese di Harlem. Durante il periodo di ricerca è stato interessante interrogare il nostro rapporto con la giustizia, con la morte, tradurre dal greco per poi agire quelle parole sentendole necessarie oggi in una dimensione pubblica, rimettendo il Coro, inteso come comunità che rievoca la storia di Oreste, al centro della tragedia antica.
Dal canto del bue prende vita il re Agamennone, dal verso dell’agnello il lamento di Oreste, e dall’imitazione del vento e delle campane Cassandra, la profetessa non creduta dal popolo. Il tenore inteso come chorus e liberato dalle catene del folklore rappresenta quindi il cuore della tragedia antica, illuminando il testo col suo mistero nelle sue zone più ostiche alla sensibilità contemporanea e ridando vita a una certa sacralità perduta con l’avvento dello spettacolo. Condividendo la necessità di ritrovare lo spirito che fondò le nostre leggi e la nostra cultura, l’arte del teatro ci sembra poter giocare un ruolo fondamentale nell’evocare la Storia per riflettere sul nostro presente, ripercorrendo insieme quel dolore che porta al culmine della sapienza.
Nell’armonia tra la spinta del ventre tenebroso e l’abbaglio della ragione le Erinni diventano Eumenidi; e noi onoreremo l’altare di Dike rispettando l’ospite che giunge alla nostra casa? (V. M.)