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Cucinare al giorno d’oggi è e un atto di cura, una dichiarazione di indipendenza o di libertà.
“Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”: così disse Ippocrate, padre della medicina nella Grecia di Pericle. Quel giuramento che sentiamo pronunciare spesso testimonia che prima della medicina moderna il cibo era ampiamente usato per curarsi. In campo medico il termine ricetta, dal latino recepta “cose prese” indica la prescrizione di farmaci e medicinali per curare un paziente, in campo culinario s’intende l’istruzione di “prendere” i vari ingredienti al fine di ottenere una pietanza.
Cucinare è uno dei primi passi per curarsi.
Se seguiamo il consiglio di Ippocrate, l’atto stesso del cucinare, che con sé porta segreti e formule per vivere a lungo e meglio, è da intendersi come uno dei primi passi per curarsi. Ne è un esempio un piatto unico della dieta sardo mediterranea, denominato in Sardegna sa panada, una crosta di pasta di semola e farina farcita, per tradizione e consuetudine, con carne, pesce e verdure. Una specialità quella artigianale sostenibile, buona (per la qualità dei prodotti adoperati), pulita (per l’uso di ingredienti che rispettano l’ambiente e le pratiche agricole), giusta (in quanto riconosce il giusto valore a ciascuna fase della filiera che realizza il prodotto che poi gustiamo). Considerate un piatto unico completo in grado di dare un apporto nutritivo soddisfacente, al di là della farcitura e della forma, ciò che accomuna le panadas in Sardegna è “sa cosidura”, la cucitura ornamentale che come un ricamo unisce sapientemente a mano i due dischi di pasta che formano il contenitore, quasi a formare una corona. Modellata sapientemente, essa non è solo “buona da mangiare” ma diventa anche “buona da comunicare”, per rinsaldare i rapporti sociali, instaurarne di nuovi o rendere sacre unioni, legami, facendosi oltre che un prezioso dono, una vera e propria arte. Sa panada in Sardegna ci offre un’opportunità di ragionare su un aspetto molto importante della salute che permette una qualità di vita importante perché propedeutica alla lunga vita, alla longevità. Perché per arrivare alla lunga vita bisogna essere sani. Oramai solo due persone su dieci seguono la dieta mediterranea, questo significa che la cultura dominante alimentare ci sta portando da un’altra parte. Ecco perché è importante riunire le fila del modo di alimentarci che è oggi oggetto di invidia e di studio da tutto il mondo. La Sardegna (Ogliastra) è una delle cinque zone blue a maggior concentrazione di centenari, insieme a Okinawa, Ikaria in Grecia, Nicoya in Costa Rica, e il villaggio di Loma Linda in California. Il dna, lo stile di vita e l’alimentazione dei sardi sono oggetto di studio a livello internazionale e i dati che i gruppi di ricerca stanno sfornando sono molto interessanti.
Cucinare ci rende umani, è un segno d’amore che gratifica chi lo pratica.
In una società che cerca di trasformare ogni momento in un’occasione da consumare, dedicare il nostro tempo libero alla preparazione de sa panada, per il puro piacere di farla è una dichiarazione di indipendenza o di libertà.Forse non ci avevi pensato, ma nel 2019 la tua panada fatta in casa, il tuo minestrone, le verdure grigliate e la tua gallina ripiena sono rivoluzionari. Cucinare ci rende umani, è un segno d’amore che gratifica chi lo pratica. Perché l’atto di cucinare comporta un processo ampio, un atto d’amore per noi stessi e per quelli che nutriremo. Dal momento in cui scegliamo cosa comprare, perché siamo attratti dall’aspetto o perché vogliamo mangiarlo, anche nel progettare come lo elaboreremo: lavarlo, tagliarlo, condirlo, cucinarlo, impiattarlo e consumarlo. Molte emozioni intervengono in cucina. La stessa trasformazione del cibo genera, in coloro che lo stanno manipolando, infinite sensazioni. Per non parlare quando si tratta di ingredienti freschi. Di quelli che qualche tempo fa erano in giardino o nell’orto di famiglia. Il cibo trasmette energia. Ad un certo punto, tutto viene toccato: lavandolo, tagliandolo, impastandolo, cucinandolo …; viene toccato con le mani o con gli utensili, ma viene toccato. E lì sentiamo la sua nobiltà. Odoriamo il suo profumo. Godiamo del suo colore. Sentiamo il suo suono. Si assapora nel suo stato intermedio durante la cottura. Cucinando esercitiamo i sensi, godendo di ogni emozione che viene presentata in quel momento. E poi l’ingrediente più importante è nascosto: l’amore. Questa è la differenza tra una parte e l’altra. Il cibo esce come un banchetto privilegiato. La fatica, i problemi, lo stress giocano spesso a suo sfavore, rendono il risultato del cucinare un’esperienza da non ripetere. E chi lo consuma lo sente: la carne è bruciata, la pasta è scotta, il riso è crudo, ha troppo sale, è insipido e tante altre cose. Manca amore. Manca passione. Manca l’ispirazione. Per qualsiasi motivo dobbiamo ancora sentire la magia di ciò che offriremo al tavolo. È necessario trasmettere rispetto verso la sua essenza. Quel rispetto che si ottiene solo con i sensi attenti e la passione. Perché l’amore è l’unico e più importante ingrediente di ogni pasto.
Più tempo libero, a quale prezzo?
Se da un lato abbiamo lasciato che altri producano il nostro cibo, permettendoci di avere più tempo libero, dall’altro lato i costi di questa evoluzione sono alti, in primo luogo, per la salute. Pensiamo al cibo industriale ottenuto al termine di un processo produttivo di natura diversa rispetto a quello artigianale e destinato alla commercializzazione con l’aggiunta di zucchero, grassi, sale e più additivi per prolungarne la durata. Diversi studiosi collegano direttamente l’abbandono della cucina casalinga con l’aumento dell’obesità negli Stati Uniti e all’aumento di numerose malattie. Ma anche in Italia nonostante si cucini ancora e si mangi in modo più sano, ci stiamo dirigendo verso il modello americano, con un tasso di obesità infantile agghiacciante e un abbandono generalizzato della dieta mediterranea.
Ma poniamoci delle domande. Oggi abbiamo la necessità di cucinare per nutrirci? Vale la pena complicarci l’esistenza quotidiana preparando sa panada, se posso prendere un prodotto congelato dal freezer da riscaldare al microonde o prendere il telefono ed avere cibo pronto all’istante senza sforzo, e quasi allo stesso costo? Cosa facciamo nella vita di tutti giorni per affrontare quel sentimento di impotenza, di dipendenza da altri, di ignoranza e mancanza di responsabilità nei confronti di una catena alimentare industriale che consumiamo e che ci consuma? E se cucinare fosse un correttivo contro questo modo di vedere il mondo?
Sono la prima a riconoscere che a volte cucinare mi rende pigra e richiede un certo sforzo che non sempre desidero. E forse molti preferiscono dedicare il proprio tempo non in cucina ma in modo “più intelligente” lasciando ai professionisti del settore il compito di cucinare per loro. La cura de sa panada è la cura di noi stessi. L’atto stesso di cucinare e non piegarsi al consumismo è un atto di cura verso di se. La cura per liberarsi dalla malattia del consumo sfrenato, patologico. Pensate di preparare una panada di agnello o di anguille. Sminuzzare la carne di un animale ci ricorda che stiamo per mangiare un essere che è vivo, e potrebbe incoraggiarti a pensare in quali condizioni è stato allevato. La stessa riflessione accade con la scelta delle verdure e delle materie prime quali le farine: la familiarità con la consapevolezza della loro origine e provenienza in cucina ci spinge a riscoprire una natura che se rispettata è capace di produrre miracoli, come sa panada.
La sacralità de sa panada, tra fede e simbolismo
Sa panada rappresenta un cibo sacro che può senza dubbio essere considerato come qualcosa che va oltre il semplice soddisfacimento di un bisogno fisiologico, come un fatto di cultura nel senso totalizzante, antropologico del termine. Che poi esista la Madonna della panada è emblematico. Naturalmente la si invocava per chiedere protezione, salute. La vocazione della Vergine Maria divenne un vincolo che unisce tutti coloro che invocano Nuestra Señora de la Panada come Madre, patrona e protettrice, a Palma di Maiorca, nell’Ermita de San’Honorat nella montagna sacra di Randa, luogo in cui riceve la venerazione dei fedeli, in modo speciale nel periodo pasquale: la mano destra della Madonna, mostra una panada che ricorda una delle tradizioni più radicate nel nobile popolo maiorchino: la sana abitudine di degustare per Pasqua la tipica panada elaborata con pane azzimo e con carne di agnello. È curioso quanto il simbolismo riveli sulle origini di un cibo. Il formato della panada maiorchina ebrea ricorda, come ha rilevato lo studioso Pinhás, nella sua ricostruzione un frutto sacro per gli ebrei, la melagrana. Oltre la somiglianza condividono il significato, i frammenti di carne rappresentano i chicchi della melagrana e questi i 613 precetti che deve compiere un ebreo ogni anno prima della distruzione del Tempio.
Il cibo inteso come alimento dell’anima, parla all’uomo, inseparabile da Dio, nello stesso modo in cui il profano e il sacro, la carne e lo spirito, l’antropologia e la teologia, sono inerenti. Come il pane, la panada è cielo e terra. Se il corpo è il Tempio dello Spirito, di esso dovremmo prenderci una grande cura e l’alimentazione fa parte fondamentale di essa.
Bibliografia
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