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Chiunque voglia o debba andare a Salonicco, per un breve o lungo periodo, non può fare a meno di leggere un libro che della seconda città della Grecia contiene storia e anima. Poco più di cinquecento pagine, che si possono leggere anche in vacanza, perché, più che di un trattato di storia, “Salonicco, città di fantasmi. Cristiani, musulmani ed ebrei tra il 1430 e il 1950” (Garzanti, 2007) si presenta come un romanzo. I protagonisti principali sono una città portuale, crocevia di popoli e storie, e i suoi diversi abitanti, che si sono susseguiti nei secoli. Una lettura fondamentale per capire non solo una città, ma l’intera cultura di un’area, quella della Macedonia, della Grecia e di una buona fetta di Europa. Senza di essa, una volta giunti a Salonicco, difficilmente si riescono a cogliere le sottili differenze che contraddistinguono la parte alta della città da quella bassa, la vivacità del mercato e la pace del porto.

L’autore del libro è uno storico e scrittore britannico che ha collaborato per diversi quotidiani occupandosi di affari internazionali, Mark Mazower. I suoi studi si sono indirizzati principalmente sulla Grecia, sui Balcani e, in generale, sulla storia europea del XX secolo. Tra gli altri suoi libri, importante quello sul nazismo hitleriano in Grecia e fondamentale quello sui totalitarismi europei. Per “Salonicco, città di fantasmi” ha vinto nel 2005 il National Jewish Book Award per la Storia, noto riconoscimento per i migliori libri sugli ebrei, e ha ottenuto ottime critiche da riviste internazionali, come The Guardian, The Times Literature Supplement, The Economist, The Indipendent. La sua prosa è scorrevole e riesce a raccontare la vita di una città regalandoci un prezioso insegnamento.

 

 

Salonicco è una città abitata dai fantasmi della memoria, tanto che, a differenza di Atene, è riuscita a conservare il suo passato ottomano senza difficoltà. Essa è stata però anche una città metropolitana ellenistica, romana e bizantina. In ogni suo angolo si celano i misteri del suo passato, che emergono dalla varie parti del libro a poco a poco, costringendo il lettore a non abbandonare le sue pagine. Dopo varie conquiste di popoli diversi, nel 1430 la città viene catturata dal sultano ottomano Murad II. Da questa data il libro inizia a raccontare il lungo dominio ottomano della città, che durò circa cinque secoli, esattamente fino al 1912, quando, durante la prima guerra dei Balcani, venne conquistata e inglobata dalla Grecia, seguendo il principio di nazionalità che ormai permeava tutta l’Europa sud orientale. Negli anni, cristiani, ebrei e musulmani, in misura diversa a seconda del periodo storico, convissero pacificamente. Da sempre Salonicco era stata abitata dagli ebrei, ancor prima che arrivassero i cristiani. Tuttavia, gli ebrei giunsero in massa nella città durante il XVII secolo, quando vennero espulsi da tutta l’Europa occidentale. E lì, accolti dalla città e perfettamente integrati, convissero con le altre religioni serenamente, fino al 1943, quando furono deportati ad Auschwitz. In quei lunghi anni nella città si potevano ammirare minareti, sinagoghe e chiese bizantine, e incontrare imam e rabbini, egiziani e schiavi ucraini. Mazower racconta tutto della città, dai bordelli, alle taverne, ai bagni turchi, riportandoci indietro in un mondo che fu piano piano distrutto dall’idea omologatrice di nazionalismo.

Un tempo a Salonicco i cadaveri degli ebrei venivano sepolti entro le mura delle città, esisteva anche un cimitero islamico e uno bulgaro: con le norme che imponevano il seppellimento fuori, con la grecizzazione della città e, soprattutto, con lo scambio di popolazioni del 1922 tra Grecia e Turchia, tutti quei morti furono dimenticati, le loro tombe profanate, costruendoci sopra edifici, strade e altri spazi urbani. Eccoli lì i fantasmi di Salonicco: questi morti strappati per sempre alla memoria per la necessità di costruire una città nuova, abitata dalla generazione dei nuovi arrivati, che doveva essere espressione di un mondo diverso, altro dal passato. Eppure c’è qualcosa di quel passato che non si deve dimenticare: l’armonia tra popoli e culture diverse che ha contraddistinto la città per secoli, soprattutto oggi che quell’equilibrio sembra infranto e non recuperabile per sempre.

Daniela Melis

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