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Di Gianfranco Cordì

Il mondo si è ridotto a un punto. E’ la seconda rivoluzione copernicana dopo quella messa in campo dall’astronomo e matematico polacco nel XVI secolo. Se Copernico infatti aveva ridotto il mondo ad essere non più il centro dell’Universo, la globalizzazione in atto ha ridotto il mondo a diventare, da esteso a tutto il Pianeta, un singolo punto.

E’ quanto Salvatore Natoli in questo suo Il fine della politica. Dalla «teologia del regno» al «governo della contingenza» (Bollati Boringhieri, Torino, 2019) afferma innestando delle analisi di tipo politico su alcune considerazioni che hanno carattere prettamente religioso per giungere infine al mondo attuale dominato dalla tecnologia, dalla comunicazione, dallo spettacolo e dal consumismo. Intanto il filosofo di Patti parte da una determinazione concettuale: quella dell’éschaton. Egli infatti afferma che questa rappresentazione: «E’ un’idea giudaica che, attraverso il cristianesimo e i suoi vari riadattamenti, segna per intero la storia dell’Occidente dal medioevo alla Modernità, fino alle soglie della sua estinzione». Abbiamo da una parte la storia che, come afferma ancora Natoli: «Ma ogni storia, proprio perché tale, non può non essere politica». Se siano nel regno del tempo – considerato in termini teologici e politici quindi di teologia della storia e di teologia politica – allora siamo in grado di fare scendere in campo almeno tre tempi. L’éschaton, infatti, è un’idea del tempo «nel segno della promessa e del compimento: in mezzo, inevitabile, l’”attesa”». In questo senso «Si tratta di una temporalità vissuta, non di un’astratta elaborazione concettuale, che pure seguirà».

Questa teologia politica ha a che fare con almeno sette immagini. Si tratta di sette passaggi di tempo che si intersecano con la filosofia politica e con lo spirito delle religioni. Per quanto riguarda la concezione del tempo suddivisa in promessa, attesa e compimento, essa: «Passerà dal giudaismo nel cristianesimo e da questo sarà veicolata nella modernità. Qui, a suo modo secolarizzata, diverrà una categoria dell’Occidente nella forma del progresso e della rivoluzione. Fino al suo svanire». La categoria dell’ éschaton, dunque, si rappresenta e si configura come perenne, continua, unidirezionale pur cambiando di denominazione e di struttura nel corso di quell’unico tempo che, come ci insegna la scienza, è una freccia che va dal passato al presente al futuro. Sette immagini per tre tempi, nel mezzo la categoria dell’ éschaton e uno stesso sbocco – passando attraverso il Katéchon – che è quello di «Garantire la giustizia, moderare i conflitti, mantenere la pace, provvedere al pubblico benessere: infine, permettere a ognuno di perseguire la propria felicità». Vediamo adesso come si realizzano questi transiti che poi non sono solo passaggi di tempo in senso stretto ma anche cambiamenti di clima storia, di cultura, di antropologia culturale e di teoria politica.

All’inizio c’è un «patto» tra l’uomo e Dio. «L’eternità del patto può essere mantenuta solo rinviando al futuro la sua piena realizzazione. Soltanto così si aggira la delusione e si evita la smentita. Che sempre patisce la politica, tranne che non la si legga alla luce dell’escatologia. O che non patisce mai perché ha aspettative escatologiche: poco si ambisce e meno ci si delude». Questo «patto» tra Israele e Yahvé istituisce due elementi: nasce un «popolo» che «ha bisogno di una guida». La prima «guida» fu Mosè. Poi attraverso altri passaggi si transita verso Davide. Attraverso l’esempio di Israele in realtà Natoli vuole mostrare «Che nesso c’è tra monarchia ed escatologia e quindi tra quest’ultima e la politica». Il «patto» è sì statuito con David ma tramite lui con il suo intero popolo. Dio stipula con David un «alleanza eterna» che va ben oltre la «persona» di David. «L’alleato non è lui, ma la sua casa e il suo regno». Nasce a questo punto la «teologia del regno»: da semplice fatto politico l’istituzione monarchica si trasforma per Israele – in virtù del «patto» – in una fede nell’ «avvento del regno». Il «patto» con Jahvé è un «patto» eterno: «E’ si con i re, ma in vista della salvezza del popolo ed è per sempre».

La «teologia del regno» consiste nel fatto preciso che «L’eternità del patto può essere mantenuta solo rinviando al futuro la sua piena realizzazione». E’ l’aspetto «messianico» del giudaismo. Per cui con il «patto» si istituiscono un popolo, una politica, una religione e un «attesa». Gesù, dal canto suo, appartiene alla «casa di David». Il cristianesimo, nella sua essenza più profonda, consiste «nell’annuncio del regno di Dio». Che, come si sa: non è di questo mondo, non è di questo mondo così com’è e non avrà mai fine. C’è una questione che non è marginale.

Le prime comunità cristiane ritenevano «Imminente il ritorno del Signore». Si genera un «tempo intermedio». C’è, da una parte, «l’uomo dell’iniquità» e c’è, dall’altra parte, qualcosa che lo trattiene: tò Katéchon. Ne nasce un «Frattanto». Il Katéchon: «Prolunga il tempo del mondo». E quindi prolunga, negli uomini, il senso dell’attesa. In fondo il Katéchon «Dà continuità e giustifica, sia pure indirettamente, i poteri mondani». A questo punto vediamo le sette «immagini» natoliane: éschaton, Katéchon, la politica, la teologia-della-storia e la teologia-politica, «Il potere secolare resta subalterno a quello religioso», la modernità e infine la contingenza. «Con l’entrata in ciò che usiamo chiamare “modernità”, i rapporti di potere tra Chiesa e Stato si modificano radicalmente». «A un certo momento della storia il cristianesimo è divenuto meno credibile, ciò è accaduto perché la sua promessa fondante – il ritorno del Signore – si è allontanata fino alla dimenticanza». Dalla «teologia del regno» – attraverso il «patto», David, Gesù Cristo, il Medioevo e infine l’età moderna – si transita adesso in una temperie culturale nella quale «Il futuro, mano a mano, viene configurandosi come l’orizzonte per eccellenza dell’operatività umana, la quale per i moderni coincide sempre di più con la dinamica stessa del cambiamento.

Motori trainanti di tutto questo diventano la scienza e la tecnica. E la politica, che comincia essa stessa a essere concepita come una tecnica. All’attesa subentra il progetto: quale deve essere il futuro da costruire». Torniamo alla configurazione orizzontale dell’éschaton: avevamo l’equazione lineare promessa-attesa-compimento. Adesso ci accorgiamo che uno di questi tre tempi è cambiato. Si apre anche qui lo spazio di una nuova equazione che ci riporterà pienamente nei tempi della globalizzazione. All’attesa subentra il progetto e, in età contemporanea, a questo il subito. La dinamica più tipica del moderno coincide «Con l’autoaffermazione dell’uomo». Con la Rivoluzione francese inizia un altro intervallo di tempo (il secondo, dopo quello del Katéchon) quello «Della politica come destino». «Messianesimo, apocalittica, escatologia sono nozioni distinte, ma tutte convergono in un punto: hanno, infatti, in comune l’idea di una “risoluzione finale” e “di un nuovo inizio». Da questo punto di vista il percorso, che ci porta all’età contemporanea, è caratterizzato dalle varie accezzioni che questo tempo del futuro ha assunto nel corso della storia. Quale è stata nei tempi la «risoluzione finale»? E quale il «Nuovo inizio»? Ora prosaico vuole dire «Privo di poeticità». Ovvero tipico di chi «Manca di idealità e pensa solo alle necessità della vita». A questo punto Natoli, parlando dell’oggi, dice: «Si è passati dall’epica alla prosa, dalla tragedia – perché tale fu la prima metà del Novecento – alla prosa». Oggi viviamo tutti il tempo delle mere necessità di base; oggi siamo tutti schiacciati sul necessario; siamo tutti immersi nello strettamente necessario: all’attesa e al progetto abbiamo sostituito il bisogno. Ecco che siamo arrivati al «punto».

Il terzo tempo, che sostituisce attesa e progetto, è quello dell’immediato, dell’utilizzazione finale o iniziale di quello che c’è: è il tempo del subito. Si passa in fondo dal largo allo stretto. Il tempo dell’attesa è un tempo dilatato; il tempo del subito è un tempo ristretto. E questo passaggio è un rimpicciolimento della promessa (primo tempo dell’éschaton) e dell’éschaton stesso. Viviamo in un momento storico nel quale appare un éschaton quasi invisibile. Questo vuol dire che non c’è più salvezza? Citando Micheal Foucault si può dire che oggi la politica investe i «corpi». Ma la salvezza dell’antico «patto» tra Yahvé e David non investiva solo i «corpi»: era globale. Ma come si salva il corpo? Natoli risponde: «Alla salvezza è insomma subentrato il perseguimento del benessere e ciò ha migliorato le condizioni di vita e ne ha prolungato la durata». Col «perseguimento del benessere» siamo passati dall’eternità del patto al fitness di un’esistenza condotta nel consumo e solo per il consumo.

Ma Natoli ha la pillola; ha la soluzione per tutte le problematiche che si aprono nella nostra età. Egli dice: «Per la politica c’è, dunque, ancora un tempo: suo compito non è quello di indicare destini, ma quello di fronteggiare emergenze, dal momento che non si intravedono stadi finali, ma viviamo sempre in un “continuo transitare». La politica passa da essere decisa da Yahvé a «fronteggiare emergenze». Si trascorre da una politica che sa che cosa è giusto a una politica che sa solo ciò che è necessario. E ciò che è necessario in questo particolare momento storico. In questa particolare circostanza e situazione. Da affrontare, ancora una volta, con i mezzi che si hanno a disposizione in questo momento. Dal giusto al necessario il passaggio, attraverso la modernità, è quello da uno stato di cose ordinato a uno stato di cose disordinato. La politica passa dall’ordine al disordine: dalla legge al rimedio (per quello che serve). La teologia passa dall’attesa – grazie al secondo tempo del progetto – al subito. La politica: dalla legge al rimedio. Il mondo contemporaneo si localizza, diventa un semplice «punto».

Copernico, come giustamente scrive Nietzsche, aveva tolto al mondo il suo «centro»: Natoli lo fa «rotolare» e raggomitolare in una infinitesima porzione di spazio. Siamo in un panorama globale che è legato alla contingenza: il che vuol dire che tutto è «Suscettibile di revoca». Ed eccoci al «fine della politica». La politica ha sempre dei fini ma la politica non è giunta alla sua fine (sia pure esemplata e configurata in un mondo oramai ristretto).

Natoli dice: «Per questo non c’è bisogno di alcun èschaton; basta aderire al presente. Che vuol dire? Non appiattirsi su di esso, non la pura istantaneità, ma, anzi, affermarlo prendendolo controtempo, ossia distaccandosi da esso per porsi sulla soglia tra passato e futuro». Alla fine di questo percorso fatto di suggestioni e di flashbacks si ha come l’impressione che Natoli, in un libro bellissimo e profondo, giochi sul senso del rapporto tra comunità, destino e politica. Passando attraverso la religione, in fondo, il filosofo di Patti ci sta dicendo: questo è quello che è avvenuto e questo è quello che avverrà. Se si infrangono i «patti» …

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