Di tutti e diciassette i comuni del distretto del Taurasi menzionati nel relativo disciplinare, Montemarano è quello in cui le uve da cultivar Aglianico, occorrenti per questa storica denominazione, maturano piuttosto tardi, oltre a presentarsi complicate tanto da allevare che da vinificare, avendo quel carattere austero che si trasferisce di conseguenza nel vino e che tende ad addolcirsi con le buone pratiche di cantina e con il tempo.
Storia di un borgo del Taurasi
Il piccolo borgo di Montemarano è abitato da meno di 3000 abitanti, sorge alle propaggini del Massiccio del Tuoro, verso la riva sinistra del fiume Calore, vicinissimo al torrente Chionzano, e rientra nell’area sismica dell’Irpinia. Si narra che la città sia stata fondata dal generale sannita Mario Egnazio il quale, stando alle notizie tramandate dallo storico Appiano d’Alessandria, pare sconfisse l’esercito romano nei pressi del monte Toro e che all’epoca, sulla sommità del colle dove oggi sorge la cattedrale cittadina dedicata Santa Maria Assunta, vi fosse un tempio dedicato al dio Giove.
La tarantella montemaranese è altrettanto antica: dopo ben 2800 anni di tradizione, pare non abbia perso il senso mistico di estasi collettiva ed apotropaica, neanche con la contaminazione carnevalesca, qui molto sentito e davvero caratteristico. Nei secoli la cittadina ha saputo fronteggiare i tentativi di conquista anche da parte di Bizantini e Longobardi, sia grazie alla sua posizione che all’ardimento della popolazione, diventando dapprima sede vescovile nel 1059 e successivamente contea nel 1082, con a capo Riccardo Caracciolo detto il Rosso, per poi vedere un lungo periodo di declino e pestilenza tra il 1600 ed il 1700 ed infine la soppressione della diocesi nel 1818.
A testimonianza di un glorioso e nobile passato, tra gli episodi della vita di San Francesco raccontati nel ciclo di affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, c’è quello intitolato “La morta di Montemarano”, che ricorda il miracolo che vide protagonista una donna del paese, resuscitata secondo la tradizione dal santo d’Assisi, accadimento citato sia nel “Trattato dei Miracoli” che in “La Leggenda Maggiore di San Bonaventura di Bagnoreggio” di Tommaso Celano.
A Montemarano il Taurasi sposa cultura e Folklore
Il centro storico cittadino risalente al Medioevo è davvero mirabile e la cattedrale cui si è fatto precedente cenno, tra le poche ad esprimere l’arte normanna in provincia di Avellino, è un vero scrigno di tesori: conserva le reliquie di San Giovanni, il museo dei Parati Sacri, il museo etnomusicale e, naturalmente, il museo del Vino; tutti questi luoghi sono parte della cultura montemaranese e sono visitabili per tutto l’anno, ma ancora più apprezzati dal visitatore durante le atmosfere di folklore che si creano proprio durante la Sagra del Vino, il Carnevale Montemaranese, le cui origini furono riprese e divulgate da Giambattista Basile, e la Festa del Bosco.
Giovanni Molettieri: Cantina e Territorio
Con un’escursione altimetrica media fissata attorno ai 640 metri sul livello del mare, i cui picchi massimi e minimi sono rispettivamente di 976 e 336 metri, la viticultura montemaranese, anche grazie alla vicinanza dei monti Picentini, è influenzata da un clima continentale con decise escursioni termiche che rallentano la maturazione delle uve, conferendo loro una maggiore carica tannica ed acida. L’antico ricordo del mare e la vicinanza alla Fossa Bradanica rendono i terreni montemaranesi molto complessi ed eterogenei con presenza di pietrisco calcareo, sabbie fossilifere e lapilli vulcanici ben integrati nella tessitura di matrice prevalentemente argillosa.
La Cantina Giovanni Molettieri ha iniziato il suo percorso produttivo nel 1999, fondando la propria sede a Montemarano, nel cuore dell’Irpinia, tra le colline sinuose e gli impervi declivi di un territorio di grande storicità, oltre che altamente vocato per la viticoltura. Durante quasi trent’anni di attività il fondatore, Giovanni Molettieri, persegue un’attività che nell’esperienza della cura delle viti è ad impronta familiare, in quanto pratica tramandata di padre in figlio, diventando quindi un’eredità preziosa accumulata nel tempo attraverso la vinificazione, fatta sì di duro lavoro e sacrifici, ma anche in passione e fiducia, tanto nei propri mezzi che nel territorio. Oggi Giovanni, giunto alla sua venticinquesima vendemmia, può affermare di essere diventato un fedele interprete del terroir di Montemarano, perseguendo come obiettivo la giusta interpretazione dell’annata anche attraverso il monitoraggio sui fattori qualitativi del prodotto finale, avvalendosi di laboratori enologici accreditati e tecnici esperti, dando vita a vini coerenti, piacevoli ed equilibrati.
San Giovanni, perché il Taurasi è come un Rock
Il Taurasi San Giovanni evidentemente è un tributo al patrono, San Giovanni di Montemarano, ed un’ulteriore attestazione di appartenenza territoriale da parte della Cantina Molettieri, oltre che il ricordo del nonno, di cui Giovanni porta fieramente il nome. Le uve, allevate a doppio cordone speronato, concorrono mediamente ad una produzione stimata attorno alle 3500 bottiglie annue, provenienti dai vigneti di Aglianico di Contrada Iampenne, nei pressi di Chianzano di Montemarano, con rese complessive di 50 quintali per ettaro e di poco più di 1,5 kg per pianta; a maturazione completa, avvenuta nella terza decade dell’ottobre del 2019, dopo la diraspatura e la pigiatura, le uve vengono fatte fermentare, macerando lungamente. A seguire la fermentazione malolattica e la maturazione in barriques di rovere francese per un periodo di 18 mesi e, successivamente, affinamento in acciaio per circa 2 anni ed altri 12 mesi in vetro prima della commercializzazione.
Ben lungi dall’aver raggiunto la piena maturazione, il San Giovanni Taurasi Docg 2019 di Giovanni Molettieri è un vino che ha saputo dare una gran prova di sé all’assaggio, nonostante i suoi appena 5 anni di affinamento, dimostrando la natura tradizionale, lungimirante ed innovativa dell’azienda stessa ed una capacità di beva complessa ed intrigante al tempo stesso.
Questo Taurasi sfoggia un colore rosso rubino compatto, profondo e inscalfibile che alla rotazione lascia segni di grande consistenza. Il bouquet si presenta di grande intensità olfattiva e si apre complesso, principalmente nei riconoscimenti fruttati: la freschezza della mora, della marasca e del cassis si fonde alla composta di ciliegia, con un filo teso e delicato di china che li assiema alla vaniglia, più evidente, e a note sottili di radice di liquirizia e tostato da caldarrosta poi. Il tannino ancora giovane, ma non invadente, si accompagna alla sapidità e induce alla succulenza ben prima dell’arrivo di una acidità che, per quanto evidente, passa in secondo piano, per ora. Con una persistenza che si conta in minuti, in bocca torna la frutta rossa con note di scorza d’arancia candita e giusto un’idea di tè nero e di sigaro alla vaniglia. Sarà piacevole scoprire come sarà tra altri 5 anni, nel frattempo lo si può abbinare ad Heartbreaker dei Led Zeppelin e, poiché questa canzone mette fame, rigorosamente con la maccaronara con il ragù alla montemaranese.