Inizio la recensione di alcuni lavori dello scrittore José Saramago, un portoghese nato ad Azinhaga, il 16 novembre 1922, premio nobel per la letteratura. Tardivamente arrivato al successo internazionale ma da sempre molto amato in patria. Nel 98’ ero a Lisbona in trasferta da Coimbra, città dove passavo il mio anno di borsista Erasmus. Lisboa festeggiò l’avvenimento del suo primo premio nobel con una festa che blocco tutta la città, era veramente una vittoria per il Portogallo. Persona molto simpatica e ironica, ne ha dato prova alla presentazione del suo Saggio sulla lucidità in un teatro di Milano nell’inverno del 2005. La storia è il naturale proseguo di Cecità, pubblicato in Italia da Einaudi nel 96’, oggi acquistabile in edizione tascabile ET.
Parliamo appunto di Cecità, tradotto ottimamente da Rita Desti. La storia si svolge in una città senza nome, in un paese qualsiasi.
Fermo ad un semaforo rosso, l’autista di un’auto si trova improvvisamente a non vedere più nulla. Riesce a distinguere solo “un biancore accecante”. Rimane li, senza sapere che fare e cosa succeda intorno a lui. È l’inizio di un’epidemia di cecità che colpirà tutto il paese. Nessuno sa spiegarne le cause, il governo mette in quarantena tutti coloro che sono stati colpiti dal virus. Solo una donna rimane inspiegabilmente immune all’epidemia. Costretta, suo malgrado, a vedere le atrocità che gli uomini riuscivano a compiere in quella situazione di emergenza. In ordine crescente aumentavano i disastri, si fermava tutto. Non si lavorava più, non si produceva più nulla, non si trovava più da mangiare. Tutti si trovano a vivere nella stessa condizione di animali in cerca di cibo. La descrizione della vita in quarantena è angosciante, tutti hanno paura e cercano di conquistare il potere organizzandosi in diversi gruppi, gli uni contro gli altri.
Il libro è un’ipotesi, un incubo in cui si potrebbe cadere se ci mancassero all’improvviso tutte le sicurezze, vanificate dal fatto di non poter vedere con i nostri occhi. Il romanzo è una metafora della dittatura cui sono stati costretti i portoghesi per alcuni decenni. Il ritmo del racconto è dettato da una scrittura senza uso di punteggiatura. L’esperimento funziona e appassiona.