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Grande successo per la seconda serata del festival Passaggi d’Autore: Intrecci mediterranei

Il festival sulcitano è una occasione importante per godere di capolavori che difficilmente possono essere visti in altri circuiti. I temi non sono facili: c’è bisogno di passione e partecipazione, mettere in discussione le nostre credenze e convinzioni per godere di un punto di vista più ampio sulla realtà che ci circonda. Per vedere la realtà si possono adottare diverse lenti, obbiettivi nel caso del cinema. Il documentario di Gianfranco Pannone “Lascia stare i Santi”, (Prima assoluta in Sardegna), proiettato nella seconda giornata del festival, racchiude in se molti aspetti della vita del “paesaggio umano italiano”, come il regista ama descrivere l’oggetto della sua ricerca. Un lavoro che si inserisce nel cinema antropologico tradizionale (quello di Ernesto De Martino, Vittorio De Seta, Fiorenzo Serra), nell’intento di ritrovare, con uno sguardo laico, chi siamo e chi siamo stati, attraverso le abitudini, i riti, gli sguardi dei nostri avi, recuperati da riprese attuali e tra le immagini d’archivio di documentari del passato dell’Istituto Luce. Prodotto da Cinecittà, che distribuisce anche un dvd, arricchito con altri spezzoni non pubblicati nel film. Un film che racconta senza finzioni o eccessivo distacco, l’Italia attraverso le sue credenze religiose: la devozione verso i santi come autentica prova della relazione con il sacro, e insieme la prova dell’esistenza della comunità stessa che si unisce in queste occasioni superando divisioni sociali o politiche.

Intervistato da Felice Tiragallo, docente di antropologia e etnografia visiva dell’Università di Cagliari, il regista ha dialogato sul senso della devozione religiosa ripresa nel film in molte città, diverse manifestazione religiose che si tramandano da secoli, a volte millenni, con pochi cambiamenti rispetto alla tradizione originaria. “Mi scuserà il pubblico se faccio una domanda da antropologo”, avverte Tiragallo. “Intanto complimenti per il tuo lavoro, che eguaglia o forse supera i tuoi precedenti. Vorrei capire se alcune feste religiose popolari, riprese nel tuo film in documenti d’archivio e in parallelo ai nostri giorni, hanno qualcosa che le accomuna, o il tuo sguardo ha qualcosa che vuole mettere in luce il passato rispetto al presente?”

Il regista, non prima di aver ammesso di essere un “credente laico”, come l’occhio che guarda la cinepresa, dice di non credere che “ci sia un cambiamento dal punto di vista del sentimento religioso, della devozione o partecipazione. C’è un cambiamento del paesaggio umano, come normale che sia. Alla Festa di Sant’Agata di Catania si vedono forse più cellulari che riprendono, che mani che pregano. Ma questo non pregiudica la devozione verso i santi, rimane sempre una fortissima prova di legame religioso con il cristianesimo originario”.

“Il tuo film sembra smentire la profezia per cui un intero mondo di credenze, usi e costumi popolari sarebbe stato spazzato via dalla rivoluzione industriale del dopoguerra. Tanti registi e ricercatori si sono affrettati a registrare un mondo quasi medievale per certi versi, con la paura che scomparisse insieme all’avvento della televisione. Ma al contrario, dal tuo lavoro si nota una certa continuità con il passato. La devozione popolare evidentemente è più forte del progresso tecnologico”.

Pannone dice di essere cresciuto con una certa idea di cultura popolare, attraverso lo studio di maestri dell’antropologia, ma soprattutto nella collaborazione con Ambrogio Sparagna, musicologo e raffinato ricercatore delle culture popolari di ogni angolo d’Italia. Sono tante italie quelle che Pannone descrive, dal Friuli alla Calabria, dal Lazio alla Sardegna di Orgosolo. Ogni paese festeggia il proprio santo, in processione o di corsa, a piedi nudi o a cavallo. “I santi sono come noi, sono il sacro che si fa umano” fa dire a Enzo Bianchi in conclusione del film. I santi sono uomini e donne che si sono avvicinate al divino, una speranza per superare le disgrazie terrene. Nel suo film parlano Pasolini, de Seta, Serra e molti altri registi che rimarranno nella storia del cinema.

Il documentario è stato preceduto dalla visione dei film della sezione Intrecci mediterranei, da segnalare il cortometraggio “A casa mia” di Mario Piredda che ha vinto il David di Donatello come miglior cortometraggio. Il regista, classe 1980, è nato a Sassari da una famiglia originaria di Badesi.

Era presente anche Cyril Aris, regista libanese di The President’s visit, presentato in diversi festival quali Arab/Middle Eastern premiere at the Dubai International Film Festival, Germany at the 33rd interfilm Berlin e al Bosphorus International Film Festival.

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