di Ouejdane Mejri Associazione Pontes dei Tunisini in Italia
La generosità è tra le qualità più conosciute tra gli arabi, che già nel periodo pre-islamico ha fatto scrivere poesie, racconti e storie vere di personaggi che si contendevano il primato del gesto più altruista e più prodigo. Questo tema meriterebbe a lui solo più di un articolo e approfondimento.
Parlare del dono invece nelle società arabo-musulmane ci rimanda per forza alla zakat (it. carità) uno dei cinque pilastri dell’islam. Questo precetto chiama ogni credente a destinare una percentuale del proprio guadagno annuo e del proprio patrimonio alla carità. Ogni anno queste quote vengono ufficialmente aggiornate e trasmesse ai fedeli per attuare la carità. Questo dono “minimo” non deve essere offerto solo da chi è ricco ma da tutti coloro che possiedono e detengono qualsiasi tipo di ricchezza creando una catena di solidarietà all’interno di ogni comunità.
Il dono, pecuniario oppure in natura, come potrebbe essere una parte del raccolto del contadino oppure della merce di un commerciante, dovrà essere offerto a chi si conosce. Infatti, il principio primo della carità musulmana è di dare ai più vicini in parentela o conoscenza, mantenendo la massima discrezione. È infatti, il passaggio successivo quello di cercare un bisognoso tra quelli che non si conoscono. Le associazioni caritative esistono ma sono organizzate in modo diverso da quelle che possiamo trovare all’intero del mondo cattolico, per esempio. Non esistono reali infrastrutture ma reti di conoscenze. All’imam non si chiede solitamente di portare un dono a una famiglia bisognoso, ma esso la indica al donatore e gli chiede di farlo personalmente. La creazione o l’estensione dei legami sociali diventano in questo modo una conseguenza naturale della carità.
Se siamo abituati a sentire parlare di adozione a distanza per bambini che abitano in altri paesi, nel mondo arabo si riscontra spesso l’adozione a “poca distanza”. Non sono le istituzioni ma un’altra famiglia, che senza l’adozione o l’affido, prende in carico le spese di vitto e di studio di un piccolo vicino o conoscente. Il dono si trasforma in un aiuto per costruire un futuro.
Il mese di Ramadan, mese santo e sacro per i musulmani, rappresenta un momento clou per il dono e la carità musulmana. Infatti, dietro al digiuno, altro pilastro dell’islam, esiste un significato che va oltre il sacrificio individuale. La religione musulmana ci insegna che durante il giorno, in cui tutti smettono di mangiare e di bere, in realtà siamo tutti uguali. Poveri e ricchi sono indistinguibili. Il dono dei propri privilegi diventa una sorte di momento di condivisione, delle sofferenze di chi non ha e non possiede. Si potrà ribadire che però la differenza si noterà dopo il tramonto, quando i ricchi si siederanno davanti a tavole bandite e i poveri davanti al solito misero piatto. L’islam, a tale proposito, tramite la parola lasciata dal profeta Maometto, ci chiama ad accertarci che i nostri vicini abbiano abbastanza da mangiare, e non solo durante il mese di Ramadan, e questo fino al settimo vicino. Ogni credente dovrà quindi tentare di colmare laddove può, i bisogni di chi gli vive attorno, fino a un grado di separazione pari a sette. La teoria dei “small world” ipotizza negli anni sessanta, che qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari. La teoria oggi verificata come “la teoria dei sei gradi di separazione” asserisce che fra due persone appartenenti a un unico mondo ci sono esattamente 6,6 gradi di separazione. Se ognuno di noi dovesse quindi donare entro l’ambito del suo settimo “vicino” il nostro “piccolo mondo” sarebbe sicuramente più grande.