Il Mondo Vino è un complesso apparato fluidodinamico costantemente in evoluzione, esigente e cangiante. Chi vi opera deve avere una grande vocazione, deve avere una profonda conoscenza della materia ed una forte volontà ad aggiornarsi costantemente e non soltanto in ambito vitivinicolo poiché, indipendentemente dalla propria specializzazione professionale, occorre essere dei bravi sensorialisti, conoscere il mercato ed il trend di consumo, la comunicazione ed i fondamenti del neuromarketing, la conoscenza delle lingue straniere, delle strategie di vendita e della più ampia cultura generale poiché il Vino è materia multidisciplinare in sé. Ambizione, task-oriented mindset, doti manageriali ed organizzative, certo! Ma occorre tanta sensibilità, umiltà e voglia di stare in mezzo alla gente perché più di ogni altra cosa il Vino ha bisogno di persone che si innamorino e facciano innamorare di lui.
Chiara Giorleo è una specialista del vino che lavora nel settore da oltre dodici anni ed è titolare dell’omonimo blog. Formatasi presso l’Associazione Italiana Sommelier fino a diventare Degustatore Ufficiale e Docente è anche membro dell’Associazione Donne del Vino, ha conseguito la certificazione Wset Level 3 ed è prossima ad acquisire anche il livello successivo, il Diploma in Wine & Spirits, per tramite della stessa associazione internazionale, inoltre ha studiato Wine Marketing and Sales presso il Napa College in California.
Esordio nell’ambito delle Pubbliche Relazioni e dell’Hospitality Industry con una particolare dedizione agli Eventi, nonché addetta all’Ufficio Stampa per aziende vinicole come la storicissima Mastroberardino, oltre che per enti come la Camera di Commercio di Toronto e staff member del Decanter World Wine Awards di Londra, Chiara oggi lavora da freelance in qualità di critico enogastronomico, vantando collaborazioni e pubblicazioni sia in Italia che all’Estero. Chiara è parte della giuria in concorsi nazionali del vino ed in competizioni come l’International Wine Challenge di Londra, è referente per il nostro paese del contest mondiale World’s Best Vineyards, un importantissimo riconoscimento nell’ambito dell’enoturismo e collabora con le più accreditate guide di settore, occupandosi inoltre di traduzioni per il wine cluster, dell’allestimento di tour, degustazioni guidate e corsi di avvicinamento al vino.
Di origini salernitane Chiara è socievole e diplomatica, discorsiva e riservata al tempo stesso, ama separare l’ambito personale da quello professionale, sostenendo che la sua immagine sui social media debba essere aderente più a quest’ultimo; è pragmatica, coerente, e non le piace scendere a compromessi, neanche con sé stessa, soprattutto ama il suo lavoro e crede che attraverso l’esercizio del lavoro ben fatto ciascuno possa esprimere al meglio sé stesso ed evolversi costantemente. Infatti una delle frasi che meglio contraddistinguono l’approccio professionale di Chiara è “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”: è metodica nella pianificazione di tutte le tappe che vanno compiute per poter conseguire il risultato ottimale, è resiliente nel superare le difficoltà e reputa che l’assertività sia certamente auspicabile ma senza perdere di vista le diversità caratteriali ed attitudinali di sé e dell’interlocutore per favorire un sano dialogo e una crescita constante.
Un film che ha apprezzato molto è quello su Modigliani, “I colori dell’anima”, con un grande Andy Garcia, tra l’altro uno dei suoi attori preferiti, ma potrebbe citare sia altre pellicole che interpreti; ama leggere tantissimo, è probabilmente uno dei suoi hobby preferiti, poiché la lettura la appaga, è un momento quasi meditativo, un appuntamento solo con sé stessa, capace di farla viaggiare ed utile per farle affinare il vocabolario. Ultimamente sta apprezzando tantissimo la letteratura giapponese.
Ha giocato a livello agonistico a pallavolo per tanti anni, uno sport che le è restato nel cuore anche perché sostiene che gli sport di squadra in generale creino una vera e propria magia grazie alla quale il team lavora insieme per un determinato risultato, lasciando tutto il resto fuori, creando complicità e sinergie tali da trasformare le persone. Più recentemente si cimenta però a provarne quanti più possibile, divertendosi molto col ping-pong e avvicinandosi di recente al golf. Ha provato la pesca sportiva dalla barca e considera il nuoto la migliore forma del desiderio ancestrale di volare.
Come diceva Jean-Claude Izzo “di fronte al mare la felicità è un’idea semplice” e per Chiara lo è anche guardando il milionesimo vigneto con nuovi occhi e rinnovato stupore.
Quali sono i primissimi ricordi che hai del profumo del vino e dei suoi sapori, quanti anni avevi allora?
Ero già abbastanza grande. In famiglia si è sempre bevuto vino ma non ho avuto veri esperti che potessero introdurmi con competenza tecnica a questo mondo. Ho incrociato con più consapevolezza questa passione tramite amicizie, mi affascinava e così ho iniziato ad approfondire. A quel punto, all’università ero io quella che doveva scegliere il vino al ristorante o per una festa… ed a pensarci adesso mi fa sorridere. È nato tutto un po’ così, quasi per caso.
È stato a quel tempo che hai realizzato il vino avrebbe costituito la via da percorrere?
Non ancora, non esattamente. È successo che una volta laureatami in Economia Aziendale, facendo seguito a questa mia nuova passione mi sono detta che avrei potuto occuparmi di marketing e comunicazione, la mia specializzazione, proprio in questo mondo e così ci ho provato. Mi è andata bene, ho avuto un paio di risposte e ho così avuto la possibilità di mettermi alla prova. Ma quanti CV si mandano a “vuoto”? Capita. E se non avessi avuto quelle risposte molto probabilmente avrei pensato ad altro. Non lo sapremo mai.
Una persona vicino a te, magari di famiglia o un maestro, piuttosto che un personaggio che ti ha ispirato in una qualche misura…
Oltre a mio marito e alla mia famiglia, i riferimenti sono diversi, ciascuno proviene da un periodo della mia vita diverso, sia in ambito personale che professionale, ma sarebbe limitativo citarne soltanto alcuni anche perché rischierei di dimenticarne altri. Senz’altro Luciano Pignataro è stata una presenza costante nel mio percorso professionale e quindi un riferimento apprezzandone l’approccio “ficcante” e i meriti per la valorizzazione del valore enogastronomico del Sud Italia.
Reputo indispensabile attingere da qualsiasi ambito o esperienza di vita. Siamo abituati a vivere per compartimenti stagni ma non è così che “funzioniamo bene”.
Quante e quali lingue parli e perché hai scelto di imparare proprio quelle?
Ho studiato inglese e francese sia a scuola sia all’Università. Ho dato priorità all’inglese perché faccio parte di quella generazione cresciuta a “pane, informatica e inglese”. Ho avuto quindi modo di praticarlo e perfezionarlo con esperienze di studio e lavoro all’estero, esperienze che ritenevo e ritengo indispensabili sia per una crescita personale che per padroneggiare una lingua in tempi relativamente brevi.
Il francese l’ho ripreso solo in un secondo momento con permanenze in Francia più brevi, quindi spero di riuscire a perfezionarlo presto per essere più fluente.
Il bilinguismo in Italia si è quasi sempre configurato in questo binomio quindi il francese è stata la mia seconda scelta un po’ per contingenza ma tanto, per quanto mi riguarda, le lingue vorrei parlarle tutte.
Come è cambiato il mercato del lavoro per gli addetti al settore del vino da quando è iniziata la tua avventura professionale? E la sommellerie?
Oggi, la possibilità di immaginare una carriera nel mondo del vino e nel mondo enogastronomico in generale, in tutte le diverse espressioni, esiste! Ecco com’è cambiato. Lo dimostra il trend dei corsi in costante crescita e, soprattutto, l’incremento del numero di iscritti alle varie associazioni e ai master formativi. Siamo agli inizi però, diamo tempo al tempo. Quello che è importante è che la cultura della tavola evolva, il resto verrà di conseguenza e ne beneficeranno sia il mercato del lavoro, che si arricchisce di nuove opportunità sia, indirettamente (ma nemmeno troppo), la qualità dei prodotti e delle preparazioni.
Reputi la penetrazione di mercato da parte del vino italiano sia diventata più incidente all’estero?
La varietà che la produzione italiana riesce a offrire è unica nel panorama internazionale. Questo è il nostro più grande punto di forza in un’epoca in cui si cerca il vino territoriale, esclusivo, di nicchia. La difficoltà, piuttosto oggettiva, è raccontarla questa diversità, il valore di vitigni sconosciuti e territori remoti.
Dove e come si potrebbe far meglio sia da parte del comunicatore che del produttore?
Continuiamo ad essere troppo tecnici e chiusi nel nostro ambito. Lo sentiamo ripetere spesso, io stessa rischio la retorica nel tornare su questo aspetto. Ma davvero crediamo di coinvolgere un lettore scrivendo la scheda di degustazione di un vino? Il linguaggio deve cambiare drasticamente e con esso l’approccio al racconto delle produzioni senza perdere di vista, però, l’intento informativo perché altrimenti si cade nell’improvvisazione. È un equilibrio sottile.
Non solo, serve maggiore lavoro di squadra. Il lavoro dei consorzi e di tutti gli enti associativi deve essere potenziato.
In generale, il vino ha assunto un valore che va molto oltre la qualità della “bevanda”: racchiude il potenziale di un territorio, i valori che lo custodiscono anche per la tutela dell’ambiente, una tradizione, un potenziale enoturistico. Ecco su cosa dovrebbero basarsi tanto il racconto dei comunicatori che gli investimenti da parte del produttore, con una visione nuova e più ampia.
Il byob diventerà consuetudine anche in Italia? Quanto la pandemia modificherà le nostre abitudini di acquisto e di consumo tanto nei ristoranti che a casa a parer tuo?
È sempre difficile fare previsioni mentre si è dentro un’epoca, dentro un fenomeno che viviamo nel presente, ma sono certa che la pandemia cambierà alcune delle nostre abitudini. Molte delle scoperte e delle pratiche che abbiamo adottato in questo periodo potrebbero perdurare e consentire lo sviluppo nuovi modelli di business.
Sicuramente hai seguito la vicenda che vede il Mipaaf levare la blindatura ai disciplinari concernenti vitigni di grande territorialità per adeguamenti alla normativa dell’Unione Europea. Esporresti il tuo pensiero a riguardo?
Sono tendenzialmente contraria poiché la nostra forza è tutta sulla territorialità e determinati adeguamenti costituiscono quantomeno una controtendenza. Premesso ciò, trovo sempre limitativo fermarsi ad un solo punto di vista. In generale, credo che le esigenze commerciali e comunicative di una Paese produttivo e di un produttore siano troppo spesso sottovalutate. Occorrerebbe un approfondimento da parte di tutti gli operatori per una più esaustiva valutazione dei pro e dei contro.
Sono tanti i ragazzi che a conseguimento del diploma di sommelier, pur avendo maturato una certa esperienza professionale e raggiunto una buona padronanza dell’inglese, non riescono a trovare impiego e questo poiché il recruiter non riconosce nei nostri attestati una certa valenza. Si tratta di una sostanziale discrepanza tra la didattica delle associazioni nostrane a vantaggio della Wset o si tratta più semplicemente di un maggiore riconoscimento internazionale di quest’ultimo?
A mio avviso, il problema principale è che mentre la cucina italiana si è imposta a livello mondiale, la sala e i relativi servizi sono ancora un po’ indietro: non sono ancora garantiti la giusta selezione e il giusto riconoscimento delle figure che si occupano della sala come il sommelier stesso. Per fortuna ci sono ormai scuole e corsi specialistici con questa missione, mi viene in mente Intrecci ad esempio, che quindi possono invertire questa rotta e indirizzare meglio chi vuole intraprendere questa strada. Nello specifico, per quanto riguarda la formazione da sommelier o “esperto” di vino e degustazione trovo che l’impostazione delle nostre associazioni rispetto ai corsi WSET sia differente: personalmente ho imparato cose diverse da entrambe, si sono rivelate complementari. Certo, il Wset essendo in inglese e riconosciuto a livello internazionale consente di acquisire un approccio e un linguaggio più largamente accolti; al di là di quello si potrebbe ragionare su due aspetti: il primo è l’adozione di un approccio più. Infine, elemento ancor più importante, è la separazione dei percorsi. Nel mondo anglosassone, che indiscutibilmente ha detenuto e detiene ancora un grosso magnetismo in termini di critica e formazione (si pensi all’ambitissimo titolo di Master of Wine), esistono percorsi più specializzanti per Sommelier e altri, a parte, per chi vuole approfondire tutti i temi legati al vino ma non è interessato a lavorare in sala. Un giornalista, un produttore, un addetto all’enoturismo, può scegliere quello più adatto alle sue esigenze. Io lavorerei su questo tipo di diversificazione per rendere i due percorsi più mirati per ciascuna figura.
Il piacere di essere membro valente di un’associazione come le Donne del Vino, la sua evoluzione negli anni e la tua personale evoluzione in essa. E l’universo Donna rapportato al mondo del vino?
Addentrarsi nelle questioni di genere è sempre delicato e, a mio avviso, rischia a volte di essere controproducente. Temo, però, che purtroppo ci sia ancora molta strada da fare, molto su cui lavorare e dunque serve tutto.
L’associazione nazionale donne del vino è la più grande organizzazione femminile nel settore a livello mondiale. Basta questo per riempirci di orgoglio e spronarci a fare sempre di più. Ma non è questione di numeri, i numeri sono una misurazione del successo e dell’interesse a farne parte.
La presidenza di Donatella Cinelli Colombini è stata di enorme impulso: Donatella è capace di proporre e gestire iniziative multiple e di grande valore con un’energia e un entusiasmo che le invidio.
Per quanto riguarda, più in generale, la figura della donna nel mondo del vino, non c’è dubbio che ormai siamo abituati a confrontarci con figure femminili in tutti i settori: critica, sommellerie, produzione, marketing etc. Si è appena chiusa una serie condotta in collaborazione con Luciano Pignataro, incentrata su un ciclo di interviste alle critiche di vino italiano pubblicata sul suo blog per indagare proprio su eventuali differenze rispetto all’approccio alla degustazione e alla comunicazione del vino tra uomo e donna. Sono emersi degli spunti molto interessanti.
Una sintesi sugli spunti emersi per favore…
Svolgere delle interviste in serie, prima sulla critica in generale con interviste a critici italiani e internazionali e poi, più specificamente, a donne degustatrici è stato un approfondimento notevole dato proprio dalla “serialità” se mi è consentita l’espressione. In particolare, rispetto all’approccio in degustazione ed eventuali differenze uomo-donna le visioni, come sempre e com’è giusto che sia, sono diverse. Ci sono state colleghe che hanno voluto sottolineare come non sia il genere a influire sulla capacità di analisi di un vino quanto competenza e studio. Altre, invece, ritengono che non si possa prescindere dalla propria attitudine e che le donne sono spesso più “empatiche”, più sensibili ai meccanismi che vanno oltre l’aspetto tecnico e quindi riescono a cogliere elementi aggiuntivi, o quantomeno diversi, sulla base della propria natura. Su questo si potrebbe andare avanti a lungo perché, ovviamente, sono punti di vista dettati anche dalla propria esperienza. Non c’è una visione unica e io stessa ho notato, per mezzo delle interviste così come in occasione di degustazioni, che ciascuno adotta un approccio frutto di così tanti fattori che non si può badare solo al genere. Quello che però ho potuto osservare è di carattere generale. Quando ho intervistato delle donne queste si sono rapportate in modo molto più attento, più puntuale, ci siamo spesso soffermate più a lungo e con più attenzione sui diversi aspetti e argomenti posti all’attenzione. Ecco, mai una volta che abbia notato superficialità di pensiero, disinteresse. E questo già solo nell’affrontare un’intervista, figuriamoci in degustazione.
Ed è appena partita la serie di interviste sulle donne produttrici, ne vedremo delle belle.
Molti esperti tendono ad imputare a Robert Parker, James Suckling. Wine Spectator e compagnia cantante l’omologazione del vino… d’altronde non è forse vero che per essere il più oggettivi possibile in una valutazione sono in molti a dimenticare che gusti personali, pregiudizi, provincialismo ed interessi personali dovrebbero essere banditi dal cuore dell’assaggiatore?
Argomento complesso. Il corpo umano resta ancora oggi lo strumento più adatto e completo per l’analisi gusto-olfattiva anche perché, seppur si dovessero perfezionare le macchine per la captazione di profumi (ricordo, ad esempio, un progetto di naso elettronico proprio a Salerno), sappiamo bene che la degustazione è molto di più che un’elencazione di profumi. Nonostante ciò, una degustazione piuttosto oggettiva può esistere. Un minimo di condizionamento può esserci ma ci sono anche molti modi per aggirarlo come si fa nella formazione di panel di degustazione dei concorsi che assegnano premi e medaglie. Poi c’è la cattiva fede, ma quella è un’altra storia.
Qual è la componente più piacevole della tua attività professionale e quella un po’ meno?
Il vino è un prodotto meraviglioso così denso di storie e significati e così generoso di sensazioni. È appassionante ascoltarne l’evoluzione e quindi, per me, un privilegio avere l’occasione di provare così tante sfumature diverse. Mi spiace che sia spesso ancora un mondo molto chiuso in sé stesso: guarda al suo interno e non all’esterno per apprendere da mondi diversi e rubarne qualche “segreto” soprattutto sul piano comunicativo.
La regione vitivinicola che ti è rimasta più impressa e perché…
Al di là della ricchezza dell’Italia che non mi stancherò mai di raccontare, sono particolarmente legata alla California dove ho trascorso alcuni mesi di studio e ricerca e che ha rappresentato una svolta nel mio percorso lavorativo, lanciando la mia carriera da libera professionista. Evidentemente è un legame affettivo molto legato ad un’esperienza importante di vita e professionale; poi nel cuore sono tante le regioni e i relativi vini che porto con me: suonerà retorico ma, per fortuna, i territori e i vini di qualità sono innumerevoli.
Il vino e l’abbinamento che ti fanno letteralmente impazzire?
La vita è troppo breve per… ripetere la stessa “cosa”: lo stesso viaggio, lo stesso sport, la stessa degustazione. Chiaramente è un’esasperazione ma mi piace cambiare spesso anche perché ci sono troppi vini nel mondo – così tanti da rischiare di non riuscire a provarli tutti nel corso di una sola vita – per concedersi di bere sempre gli stessi. Quindi no, non ho un solo vino o un solo abbinamento che preferisco. Sai, dipende molto anche dal momento.
Rispetto al cibo credo sia una delle più grandi e immediate fonti di felicità e soddisfazione che abbiamo, siamo d’accordo in tanti. E mi piace molto cucinare. Cucinare per me è un modo per prendermi cura di me stessa, cucinare per gli altri significa condividere una ricetta tramandata o un prodotto che appartiene a un territorio cui sono affezionata. La cucina è cultura e senza condivisione non c’è divertimento. Il mio piatto preferito è senz’altro la pizza, un prodotto del cuore è il pomodoro: lo mangio quasi tutti i giorni, tutto l’anno. Sugli abbinamenti con i vini sono molto poco rigida. Seguo, ovviamente, un principio di massima ma poi vince l’istinto e il desiderio di quel momento.
E cosa ti piace cucinare di più?
Mi diverte cucinare i biscotti, sentire come il loro profumo si propaga dal forno in tutta la casa, ma a me piace cucinare di tutto e farlo come si conviene poiché mi piace mangiare con gusto.
Ci racconteresti la cosa più bella che ti sia capitata durante una tua lezione?
Per quanto banale, spiegare qualcosa a qualcuno ti costringe a riordinare le idee ed esporle ordinatamente. Questo non può che consolidare una conoscenza. Mi succede sempre, è realmente e altamente stimolante.