Bolotana (ITALIA)
Una band mitologica, orfana da quindici anni di un cantante che ha lasciato un segno, stilistico, impareggiabile. Il calo di vendite, il baratro del “gruppo di supporto” dal podio della celebrità mondiale, il parziale rialzo. Un pubblico pagante 18 euro a cranio, in attesa. Uno staff invadente. Un manager invisibile. Un’ organizzazione inesistente. Cinquantamila euro – si dice, anche se la cifra è dura da confermare – buttati, per trenta minuti di palco.
Sono gli ingredienti del flop agghiacciante della seconda tappa italiana del tour dei Sepultura, seconda di tre, è bene ricordare. Lo scenario è Bolotana, entroterra sardo, e il Rock’ n’ Bol (Bol sta per l’ abbreviazione del paesino), manifestazione arrivata al quarto compleanno, il 22 Luglio 2011.
Mai fidarsi di un’ organizzazione priva di ufficio stampa. È la regola.
Alla resa dei conti. I Sepultura, in 27 anni suonati di carriera, ancora non hanno imparato su chi fare affidamento. Evidentemente, la “lezione” di Max (fondatore, assieme al fratello Igor, del gruppo) non è bastata ai nostri.
Sono brasiliani, iniziano a suonare all’ età di 15 anni, sono poverissimi. Il successo è immediato. Mondiale. Arrivano i soldi, non è facile, per chi si dedica al metal più estremo, ma ce la fanno: disco d’ oro, con variante platino, per gli album della consacrazione. Siamo a metà anni Novanta, adesso i Sepultura di anni ne hanno 23, c’è chi si sposa, chi si separa dagli altri. Il successo, lente d’ingrandimento della personalità, a volte stronca, a volte fiacca.
Eppure loro sono i bravi ragazzi del metal: senso di giustizia sociale, lotta alle imposizioni del potere, tematiche, che in un Brasile reduce da una grave dittatura militare (gli anni Ottanta, quelli dell’esordio) sono difficili da affrontare: arrivano a vendere 20 milioni di dischi. E sono appena quarantenni.
Ma torniamo a Bolotana.
Un camerino blindatissimo, i brasiliani latitano: ah, le pene dello star system!
E tu, in mezzo alla folla che nel frattempo tenti di tollerare le prove strumenti dello staff di servizio: a un certo punto cesseranno. O no?
I gruppi di supporto, gli Arythmia e i Gods of Gamble (band sarde, beninteso, quindi doppiamente ospiti) non autorizzate a sfiorare neanche con lo sguardo gli strumenti dei divi. Batteria, amplificatori Mesa, vegetano sul palco da ore. Danno il meglio di loro i sardi, con sonorità finalmente aggiornate. Gli Arythmia, come si direbbe in gergo “spaccano”, il cantante, un fuscello d’uomo, riporta alla vita mortale zombi e compagnia bella a suon di acuti. Non strilla, semplicemente si fa sentire.
I due gruppi terminano le performance, l’ accoglienza è meritoria. La notorietà, a volte, si fa attendere. Letteralmente, perché i protagonisti della serata, non ne vogliono sapere di farsi vivi.
Te li immagini in questo benedetto hotel del mistero, a scaldarsi: Derrick Green (il nuovo cantante), con quella mole, starà facendo gargarismi a base di creatina, Kisser, il chitarrista, a scaldarsi le dita doppiando la scala ottofonica, chi lo sa.
I padroni di casa, tra Kuntra l’ associazione che “organizza” l’ evento, e Rock’ n’ Bol, non sanno niente. E si vede. Un’attesa estenuante, la stessa che a Dublino 2010 costò ai Guns’n Roses il lancio di bottiglie sul palco e una intro di fischi a scena aperta, prima della ritirata.
Lo scenario, ancora, è invalicabile. Il manager dei Sepultura fa sapere, all’ ultimo minuto, che non saranno concesse interviste. E le foto, da bordo palco, dovranno limitarsi ai primi tre pezzi. Roba da sfiancare anche il più morboso dei fan.
Con le dovute eccezioni. Molto, troppo italianamente, il parentado dell’organizzazione è ammesso ai camerini presidiati. Le foto-ricordo da esibire sul sito internet, valgono la figura pietosa. Non ne possiamo più. Tutti: i poveri vigilantes, il servizio d’ ordine, persino i vigili del fuoco: fateceli almeno sentire, ‘sti Sepultura.
Escono in veste trionfale. Scaletta attaccata a bordo scena. Pezzi facili facili. Si inizia con Arise, platino nel ’91, ma non vale: l’ ha scritta Max, che se n’è andato, come molti fanno, per una donna. Si continua con estratti dei tempi d’oro. Kairos dall’ultimo album. E basta. Il declino nelle vendite pesa come un macigno. Con Troops od Doom, Derrick cerca di dare il meglio, e ci arriva anche, nel titanico sforzo di librarsi oltre il vento. Già, il vento. Il maestrale spazza letteralmente via i nostri a suon di frustate. E siamo solo al quarto pezzo. Una pausa per testare ancora la pazienza dei 600 sardi. Qualcosa non va. Nelle note di Roots Bloody Roots, il cantante è ormai sfinito. Facciamo tutti in tempo ad accorgercene. Si fa presto a prendere baracca e burattini e defilarsi. Il pubblico, stoico, ringrazia, e mestamente incredulo torna a casa. Non hanno nemmeno avuto il coraggio di alzare la testa, questi sardi, che in sette pezzi eseguiti, non riescono a vedere quello che gli sbandiera ferocemente sotto il naso: elemosina, pagata però.
Possibile che questi quattro uomini, di cui l’ultimo acquisto appena 33enne, fautori di un metal muscolare, eroi in patria quanto Pelè e Ronaldinho, si abbattano per quattro raffiche di vento?
Esatto. Escono dai camerini in evidente imbarazzo. Io ripeto al chitarrista le sue parole preferite: “amazing” e “good job”, mentendo, ma a chi interessa? L’ abbattimento generale li spinge verso il pulmino. E’ finita, per l’ associazione Kuntra, per i Sepultura forse, in Sardegna.
E già, gli addetti ai lavori, rimpiangono Gloria. Quella manager licenziata, per cui Max perse la testa e abbandonò il gruppo, che fece dire al proprio uomo, microfoni aperti: “viaggiare in treno, venire pestati dai poliziotti, dormire dietro il palco, è parte di una crescita: la nostra”. Umiltà femminile. Utile ripasso per una discesa dal podio meno frastornante