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Il chorizo è tra i salumi più famosi di Spagna, condiviso col Portogallo e presente in tutti quei paesi influenzati dall’ispanica cultura che hanno contribuito a renderlo internazionalmente diffuso tanto da essere apprezzato persino in Italia, entrando di fatto tra gli insaccati idonei a comporre taglieri sfiziosi ed assortiti, diventando persino uno degli ingredienti per la preparazione di diverse tipologie di pizza.

La storia degli insaccati nella Civiltà Mediterranea è antichissima: già nell’Antica Grecia e sulle tavole imbandite della Roma repubblicana erano presenti i prodotti artigianali frutto dell’essiccazione e salagione della carne suina il cui consumo era così ben radicato in queste culture, viste le numerose testimonianze, che apparivano in manifestazioni sociali come le commedie di Aristofane, il quale mandava in scena teatranti con orci colmi di salsicce… ma per arrivare al chorizo così come lo conosciamo oggi ne dovrà scorrere ancora di acqua sotto ai ponti.

Per quanto l’origine di questo salume, nella sua versione non definitiva, abbia una collocazione storica incerta, viene universalmente riconosciuto, almeno per convenzione, che l’etimo abbia a che fare con sauriciu, parola del latino volgare a sua volta derivante dal vocabolo salsicium del latino classico; ciò verrebbe però messo in discussione osservando proprio che salsicium abbia dato vita prima al termine italiano salsiccia, il quale avrebbe dato a sua volta origine al moderno termine spagnolo salchicha, accreditando dunque l’ipotesi che chorizo provenga, con buona probabilità, dalla parola portoghese souriço.

Quel che sappiamo è che un tempo veniva prodotto come un insaccato di carne trita di maiale sia dal colore bianco e rosaceo che dall’aspetto di una salsiccia scura, antesignana della morcilla, quando vi si aggiungeva anche il sangue di maiale; in effetti il chorizo acquisirà il suo caratteristico colore rosso vivo soltanto in piena era coloniale, grazie alla diffusione della paprika, figlia appunto del peperoncino giunto in precedenza grazie alla scoperta delle Americhe e che gli spagnoli chiamano pimentòn. La paprika entrò infatti nella cucina spagnola attraverso la comunità di Comarca de la Vera in Estremadura, che ne accolse il culto gastronomico appena arrivata dal Nuovo Mondo

Tale introduzione del peperoncino è risalente al XVI secolo, lo stesso periodo in cui appare un ricettario di autore ignoto, intitolato “Manual de Mujeres”, che così descrive il procedimento dell’epoca per fare i primi chorizos:

Carne suina magra e grassa macinata, farina molto setacciata, aglio sbucciato, chiodi di garofano macinati, vino bianco, sale e sale quanto basta. Mescolare il tutto con il vino e, dopo aver mescolato, lasciarlo in un recipiente coperto per un giorno di calendario. E poi riempite le budella di mucca o di maiale, come volete, con questo impasto e mettetele ad asciugare al fumo”.

Enrique Sepúlveda narra nel suo libro “La Vida en Madrid en 1886” che il re Carlo IV durante una battuta di caccia incontrò, attanagliato dai morsi della fame, un norcino o un contadino locale che gli offrì del chorizo; per quanto la vicenda non sia stata mai accertata, l’autore tramanda che al re cacciatore quel salume piacque così tanto da nominare il buon uomo fornitore ufficiale della Casa Reale; la fama di quel dispensatore di bontà, noto come “el tío Rico”, ebbe tale diffusione che Ramón Bayeu, cognato di Francisco Goya, gli dedicò un arazzo dal titolo “El Choricero José Rico da Candelario”.

Con o senza aloni di leggenda quel che è certo è che dal periodo in cui i vascelli provenienti dalle Indie Occidentali iniziarono le importazioni di spezie sino agli inizi del 1700 il chorizo ebbe tutto il tempo di assumere la connotazione odierna, espressa dagli ingredienti che generalmente definiscono il suo identikit…

Generalmente perché a considerare la produzione di questo insaccato nella sola Spagna, gli ingredienti impiegati, le loro percentuali e tutta una serie di altre variabili danno vita a diverse tipologie di chorizo che, al netto dei tratti comuni, dovrebbe essere classificato secondo specifici criteri, come qui di seguito…

A seconda della carne di maiale impiegata si ottengono:

il chorizo ibérico de bellota, prodotto con carne di maiale di razza iberica nutrito con le ghiande, possiede una complessità gustolfattiva di grande impatto che lo rende molto ricercato dagli intenditori;

il chorizo ibérico prodotto con carne di maiale di razza iberica con alimentazione variabile;

il chorizo tradizionale, sovente fatto in casa, prodotto con carne di suino bianco a cui, una volta inserito nel budello, viene data la forma di ferro di cavallo oppure legato a catena.

A seconda della tipologia di carne si distinguono:

Il chorizo di mucca, il quale vede l’impiego di carne bovina unitamente ad una certa percentuale di carne suina, pancetta di maiale o entrambe;

il chorizo di cavallo, che viene fatto con carne equina e grasso suino, presenta profumi delicati e sapore tendenzialmente dolce con un contenuto di ferro che lo rende idoneo per i soggetti anemici;

il chorizo di cervo si produce con le carni di questa selvaggina da pelo unite ad una minima percentuale di grasso suino, generalmente è molto tenero e dal profumo e sapore caratteristici; inoltre possiede un buon bilanciamento proteico con presenza di ferro e basso apporto di colesterolo;

il chorizo di cinghiale è un salume fatto con carne di cinghiale mista a carne magra suina, pancetta iberica, aglio e prezzemolo, che presenta un odore marcato, tipico di questa selvaggina ed ha un colore più scuro.

A seconda dell’area geografica di produzione:

il chorizo de Léon è un ingrediente fondamentale in diverse preparazioni culinarie di quest’area geografica, è molto richiesto dai visitatori e presenta una caratteristica forma a ferro di cavallo alle cui estremità vi sono delle legature che ne consentono il processo di affumicatura e stagionatura a bassa temperature per un gusto finale molto deciso;

il chorizo gallego, proveniente dalla Galizia ha una presenza minore di grassi dovuto all’impiego di carni suine più magre, vede nella sua preparazione l’aglio, ingrediente ricorrente in tante varietà, e può essere fatto sia nella versione dolce che piccante a seconda della paprika impiegata; viene consumato crudo, bollito, fritto e alla griglia, rientrando in tantissime pietanze di questa regione ed esiste una versione con l’impiego di cipolla detta “chorizo cebollero”;

il chorizo Extremeño è prodotto nella regione dell’Estremadura e vede versioni come il chorizo ibérico cular oppure chorizo ibérico cular de bellota le cui carni sovente provengono dalla Dehesa Extremeña, un ecosistema naturale che vede la presenza di alberi di quercia e sughero, tipico habitat della razza suina pata negra, e che vengono insaccati in budelli più spessi. Nell’area nord dell’Estremadura è giusto menzionare un salume tra il chorizo e la morcilla per via della presenza di sanguinaccio: la Patatera estremeña, detta così perché tra gli ingredienti vi è anche la patata bollita al 50% del composto con tagli magri suini al 10% e grassi al 40%, tutti di razza iberica, in versione dolce o piccante; presenta una forma a ferro di cavallo e quando consumato fresco può essere consumato spalmandolo sul pane;

Il chorizo de Salamanca proviene dalla regione della Castilla y Léon ed è tipico della provincia di Salamanca, famosissima soprattutto per l’jamón ibérico Chacinas de Salamanca, l’androja, simile alla morcilla e tipica della parte montuosa orientale di Léon, e per el farinato. Quest’ultimo è un insaccato prodotto anche in Portogallo, conosciuto col nome di farinheira, e nella provincia di Zamora ed è prodotto con lo strutto oppure con lardo di maiale, pane e farina, cipolla ed aglio, anice e l’aguardiente; veniva considerato il chorizo del povero ma oggi è un prodotto riconosciuto per la grande perizia artigiana che serve a produrlo ed è indispensabile per molte preparazioni culinarie salmantine;

Il chorizo de Navarra vede la forma tipica detta “vela”, ossia candela nella lingua spagnola, insaccato in budello grasso, con peperoncino ed aglio, dal diametro di circa 4 centimetri e la cui peculiarità è di vedere anche la presenza di carne bovina. Generalmente viene consumato crudo, ha una consistenza soffice e non riscontra grande acidità al gusto, grazie anche alla maturazione lenta, simultanea ad un’essicazione naturale. L’insaccato più famoso di questa regione è il Pamplonica, insomma il chorizo della città di Pamplona, città che vanta il primato nella produzione del primo chorizo industriale poiché è qui che è sorto il primo stabilimento spagnolo per la lavorazione delle carni destinate ai salumi. In quest’area è nota anche la chistorra, preparata con un misto di carne sia suina che bovina con presenza di prezzemolo, condivisa con la città di Aragona dove viene chiamata choriceta, e consumata fritta o arrosto. La chitorra di Navarra e la choriceta aragonese probabilmente traggono entrambe origine dalla birka, nella cui preparazione rientra anche il polmone suino da cui prende il nome dalla lingua basca… nelle Asturie una tradizione vuole si prepari assieme al sidro.

Il chorizo de Segovia è denominato Cantimpalos che annovera tra gli ingredienti l’origano e vede un processo di essicazione e maturazione simultaneo; inoltre questa denominazione, che porta il nome del monte che domina l’area, è protetta dal marchio IGP dal 2008;

Il chorizo de Cantabria è un prodotto altrettanto interessante la cui versione più tipica è detta Potes, fatto con carne magra suina, pancetta, pepe, paprika, aglio, origano ed anche timo. Fattore determinante per la produzione del chorizo cantabrico è la sua stagionatura in ambiente naturale e l’affumicatura con legno di quercia per ben 25 giorni. Generalmente ha forma a ferro di cavallo, viene legato con una corda alle estremità e viene consumato crudo, fritto o bollito.

Il chorizo de las Islas Canarias viene prodotto nell’arcipelago delle Canarie dove questo salume e la morcilla sono i più diffusi. Le varietà presenti sono il chorizo de Teor, el chorizo de Chacón di Lanzarote ed il chorizo palmero, così chiamato per la razza suina impiegata, proveniente dai distretti di Las Palmas e Telde. Nella formazione del trito è presente l’aglio, è ammesso l’uso del vino e, a seconda dell’impiego del peperoncino o meno, otterremo chorizos rojos o chorizos blancos (come la Butifarra Catalana ad esempio) ;

Il chorizo de Rioja è stato il primo tra i sopraelencati salumi ad ottenere il marchio di Indicazione Geografica Protetta a partire dal 1990.  L’altitudine ed il clima di questa regione spagnola, famosissima per i salumi e per i rinomati vini, consente una perfetta essicazione del prodotto. Qui, coi primi freddi autunnali, si è sempre festeggiato il sacrificio dei suini con la moranga o semplicemente festa della mattanza, ricorrenza durante la quale erano tantissime le famiglie che si occupavano della produzione artigianale di questo insaccato, almeno fino alle soglie del XIX secolo per il sorgere dei primi salumifici. La tipica forma del chorizo di Rioja è la sarta o la herradura, entrambi a ferro di cavallo, per un calibro tra i 3 ed i 4 centimetri, mentre gli elementi distintivi sono la compattezza e la decisione dei sapori in cui primeggiano l’aglio ed il peperoncino. Tra i diversi formati disponibili sono noti in regione i chorizo extra cular dal peso di 1,5 chilogrammi.

A seconda della forma e della legatura otterremo:

il chorizo ristra, ossia a forma di catena costituita da tanti chorizos;

Il chorizo vela, dalla forma allungata di circa 40 centimetri e che va leggermente a restringersi verso una estremità il cui nome è dovuto al fatto che somiglia ad una candela;

il chorizo sarta o chorizo herradura, ossia il diffusissimo metodo di insaccare a ferro di cavallo, senza e con lo spago per poterlo appendere.

Il chorizo cular, ossia insaccato in budelli suini la cui dimensione supera i 38 millimetri e dalla forma cilindrica irregolare, tipica del budello naturale. Questa varietà di chorizo iberico viene prodotta esclusivamente dal prosciutto di maiale iberico. Quando il peso della salsiccia supera una determinata grammatura parliamo di chorizo extra cular e quando invece parliamo di carne non trita ma tagliata a cubetti la dizione è chorizo Ibérico recebo extra cular.

A seconda del metodo di conservazione e maturazione invece si ottengono chorizo che vengono affumicati con legno di quercia piuttosto che rovere, oppure dei chorizo che affrontano il processo di asciugatura grazie al freddo ed alla ventilazione all’aria aperta piuttosto che in apposito ambiente.

A seconda delle spezie aggiunte i chorizo si distinguono principalmente in chorizo dolci e chorizo piccanti a seconda della tipologia di paprika impiegata.

Insomma, si fa presto a dire chorizo…  non trovate?

Il mondo del chorizo è decisamente vasto proprio grazie alle tante differenze e sfumature che ne caratterizzano le tantissime tipologie e lo rendono un prodotto della tradizione a seconda della zona di produzione; a questo proposito meritano una menzione anche altre tipologie di chorizo provenienti da altre aree del mondo oltre alla Spagna.

In Portogallo si chiama chouriço e quello classico viene preparato con carne e grasso di suino, a cui va aggiunto il vino ed il peperoncino. La gastronomia portoghese contempla l’uso del chorizo in piatti come la feijoada à transmontana, il caldo verde, chouriço de cebola e le favas guisadas; in Germania ed in Austria abbiamo diverse tipologie di paprikawurst che vedono anche l’uso di pepe nero, mentre in Ungheria viene prodotto il chorizo di Gyula, meglio noto come gyulai kolbász in cui il cumino ha un ruolo determinante: questo tradizionale salume prende il nome dalla città stessa in cui è nato attorno al XIX e le razze suine ammesse sono l’autoctona mangalica ma vengono impiegati anche maiali hampshire, duroc e pietrain purché abbiano raggiunto i 135 chili di peso. In Messico e più precisamente a Toluca, considerata la capitale centramericana dei salumi, si produce il chorizo toluqueño che per certi versi è considerato un sinonimo della longaniza, che ovviamente in altre aree tra i Caraibi e l’America Latina costituisce un insaccato a sé stante… nella cosiddetta tradizione “chorichera” messicana viene consumato principalmente assieme alle tortillas. Se ne producono insomma delle tipologie diverse in Venezuela, Colombia, Brasile, Bolivia, Cile ed anche in Uruguay, Paraguay ove, per distinguere la produzione nel Nuovo Mondo dal salume che lo ha ispirato chiamano quest’ultimo semplicemente chorizo spagnolo; in Argentina è famosissimo il chorizo criollo de puro cerdo, fatto con quattro diversi tagli anatomici del maiale, la stessa pancetta, la noce moscata, l’origano, il finocchietto ed il vino, mentre il choripan è il tipico sandiwich con chorizo alla griglia e che viene generalmente consumato per guardare le partite di pallone in famiglia, costume condiviso un po’ a tutti questi paesi.

Insomma con tutte queste versioni che incontrano altrettante culture e tradizioni gastronomiche c’è solo l’imbarazzo di scegliere come mangiarlo: che sia crudo, bollito in piatti come le patate della Rioja e le lenticchie, piuttosto che nello stufato di Madrid e nel cocido maragato, accompagnato con le migas o protagonista per tapas fantasiose, piatti a base di verdure, frittate o panini come il preñao asturiano, l’hornazo castigliano e il pringá sivigliano… a ciascuno il suo chorizo!

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