Share

Di Sergio Massa

Quando nel Marzo 2014 iniziammo a ragionare su cosa si poteva fare in un reparto di psichiatria per pazienti acuti per coinvolgere gli stessi, solitamente in rapida transizione, cosi da impegnarli nell’arco del tempo trascorso durante la degenza in genere della durata di qualche giorno, si penso’ di utilizzare un “vantaggio” che I reparti di psichiatria hanno rispetto agli altri reparti ospedalieri: lo spazio verde, il “giardino” come lo chiamiamo noi .

Questo grande spazio, di fatto utilizzato esclusivamente come spazio in cui è permesso fumare, si prestava perfettamente all’idea che era “germinata” nella mente di noi altri, psichiatri, infermieri e l’educatrice.

Fui molto contento di accettare l’incarico di occuparmene perché da sempre ho avuto attrazione per il verde e le piante. Avevo un’innata propensione a far crescere qualsiasi cosa entrasse in casa. Pensavo che occuparsi del verde fosse davvero un’arma potente contro lo “stress”, o perlomeno su di me funzionava.

Ma realizzare cosa? E partire da dove?

Era iniziata, in quel periodo, l’attività di un’associazione che si occupava della realizzazzione di cosidetti “Orti Sinergici”.

Già la parola ci solletticava alquanto: sinergia.

La sinergia (dal greco συνεργός, che significa “lavorare insieme”), in generale, può essere definita come la reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente. Il concetto è applicato in tutte le discipline, dalla biologia alla sociologia. il lavoro di squadra ottiene risultati superiori a quelli derivanti dalla somma del lavoro dei suoi singoli componenti.

Il rapporto tra elementi o forze operanti al conseguimento di uno stesso fine. La combinazione operativa a fini organizzativi, economici, produttivi.

Significati piuttosto interessanti per una realtà come la nostra.

Mettere insieme degli sconosciuti, con realtà di vita diverse, con lo scopo di realizzare un progetto comune.

Fu cosi che contattammo lAssociazione Agri Culture e strutturammo il progetto.

Ora, per chi non è a conoscenza di cosa si tratta, l’orto sinergico è una struttura costituita da dei “bancali”, ovvero accumuli di terra a formare una sorta di terrazzamento piano in cima e con I due lati inclinati, in cui vengono seminate, con un criterio specifico di “tolleranza e opportuna convivenza”, vari tipi di vegetali, in particolare ortaggi, escludendone alcuni non compatibili e seguendo una specifica stagionalità, senza grandissimi interventi esterni, se non quelli dovuti alla necessità di irrigazione e sfruttando la capacità e le proprietà di alcune piante di allontanare parassiti ed insetti nocivi ed avvicinarne altri utili, in modo da non utilizzare alcun tipo di composto chimico.

Si tratta quindi di un tipo di agricoltura “verde” alla cui base vi è la gestione da parte di tutti i partecipanti al progetto.

Articolammo la costruzione dei bancali in tre giornate, tre pomeriggi in particolare dove, smessi il camice e le divise che solitamente portiamo in reparto, lavorammo tutti insieme: medici, infermieri, pazienti, volontari, familiari. Ciascuno portava la sua seppur piccola esperienza, confrontandoci, discutendo, ma sopratutto divertendoci e “alleggerendoci”.

Nel nostro caso decidemmo di coinvolgere non solo gli operatori e I pazienti del reparto ma anche le associazioni di volontariato e gli UFE (l’associazione di familiari di utenti esperti).

La cosa di certo più interessante fu vedere come, anche i pazienti più gravi, parteciparono alla realizzazione e trasformazione di quello spazio verde in “orto sinergico”.

Quindi avevo in qualche maniera avuto ragione: l’effetto che occuparmi del verde faceva su di me si poteva generalizzare anche ad altri individui. La scoperta dell’acqua calda! Visto che prima di me, teorizzatori molto più influenti e in tempi meno facili del nostro c’erano arrivati.

In poco tempo vedemmo anche i risultati di questo lavoro: iniziammo a raccogliere ciò che avevamo seminato e devo dire anche con ottimi prodotti con l’entusiasmo di tutti noi.

Furono giornate che ricordo bene: in termini clinici si assistette ad un drastico calo delle terapie estemporanee, quindi in definitiva in quel periodo utilizzammo meno farmaci; vennero meno molti dei comportamenti scomposti che spesso accompagnano il disagio mentale come comportamenti aggressivi o ritiri autistici; il tempo trascorreva con minor lentezza in un posto dove, in genere, lo scandire dello stesso è segnato dai pasti e dalla televisione.

Credo che ognuno di noi partecipanti, operatori inclusi, abbia avuto occasione di riappropriasi di una parte di se.

Questa esperienza è durata circa sei mesi. Durante tutto il periodo si seguiva una sorta di turnazione per coordinare gli interventi che quotidianamente potevano rendersi necessari: eliminare le erbacce, in realtà problema molto ridotto dalla presenza della pacciamatura dei bancali (trattasi della copertura degli stessi bancali con della paglia); togliere qualche parassita; controllare che l’irrigazione non dilavasse la terra; per finire la raccolta dei prodotti (bellissimi cavolfiori, cipolle, lattughe di varie specie, piante aromatiche).

Questa nostra esperienza, con risultati simili è stata riprodotta anche in altri contesti, sempre nell’ambito della salute mentale, sopratutto in quelli in cui l’urgenza degli interventi cosi come la vive un reparto d’emergenza-urgenza ospedaliero, non rappresenti l’esclusiva modalità di intervento degli operatori coinvolti.

Leave a comment.