Sophia de Mello Breyner Andersen
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Articolo di Liliana Navarra

“He who sees a phenomenon wishes to see the whole phenomenon. It is simply a matter of attention, sequence, and rigor. And that’s why poetry is a moral act. And that is why the poet is driven to search for justice through the very nature of poetry. Like Antigone, the poet of our time, says: I’m the one who did not learn to yield to disasters.”

Sophia de Mello Breyner

«Recordo-me de descobrir que num poema era preciso que cada palavra fosse necessária, as palavras não podem ser decorativas, não podiam servir só para ganhar tempo até ao fim do decassílabo, as palavras tinham que estar ali porque eram absolutamente indispensáveis. Isso foi uma descoberta1»

Parole, parole che fluivano dalla sua penna solitaria, fiumi d’inchiostro riempivano le pagine dei suoi quaderni. Sophia era una poetessa e scrittrice portoghese di una personalità affascinante e complessa. Fu la seconda donna, dopo la scrittrice brasiliana Rachel de Queiroz, a vincere il Premio Camões (Salvador de Bahia, 1999) e la prima donna portoghese ad essere consacrata tra i maggiori autori lusitani della Storia della Letteratura.

Educata secondo i valori del cristianesimo fu leader del Movimento Cattolico dell’Università di Lisbona, dove intraprese, ma non concluse, gli studi nei meandri della filologia classica che marcarono profondamente la sua poesia.

Sposò il giornalista, politico e avvocato Francisco Sousa Tavares, accanito sostenitore dell’Europa Unita. Dal suo matrimonio nacquero cinque figli, tra cui lo scrittore Miguel Sousa Tavares.

Fu fermamente ostile alla dittatura che dominava il suo Paese impegnandosi in un’attività di opposizione non violenta, scrisse infatti numerose poesie di denuncia, la sua opera Livro Sexto (1962) ne fu l’apice, tanto da essere insignita, nel 1964, del Grande Prémio de Poesia dalla Sociedade Portuguesa de Escritores.

Dopo la rivoluzione del 1974 fu eletta deputato dell’Assemblea Costituente nelle liste del Partito Socialista, nonostante il marito sostenesse il Partito Social Democratico, impegnandosi così nella stesura della Costituzione e cercando di promuovere una rivoluzione culturale; tuttavia lasciò presto la politica per tornare alla letteratura.

Sophia non si dedicò solo alla poesia, scrisse racconti, testi per il teatro, articoli di opinione e saggi. Tradusse in portoghese Shakespeare, Paul Claudel, Euripide e Dante, di quest’ultimo tradusse il Purgatorio, per il quale ricevette una medaglia dal Governo italiano.

Profondamente mediterranea, il suo linguaggio denota, oltre la solida cultura classica, la sua passione per la cultura greca, la trasparenza delle parole e la musicalità con cui si armonizza la sua visione del mondo.

IL FILM

Sophia de Mello Breyner Andersen

(17’) prodotto tra il 1968-69, uscito nella sala dell’Apolo 70 solo nel 1972

Altra immagine di Sophia de Mello Breyner Andersen
Altra immagine di Sophia de Mello Breyner Andersen

Penso que o meu filme é, acima de tudo, a prova para aqueles que querem compreender e aceitar que a poesia não pode ser filmada, que é inútil tentar.2” João César Monteiro

La genesi cinematografica monteiriana è marcata dal tratto documentaristico: Sophia de Mello Breyner Andersen fu il primo film di João César Monteiro, firmato João César Santos.

Si tratta di 17 minuti di pura poesia cinematografica. Il progetto faceva parte di una serie di cinque documentari commissionati dalla Cultura Filmes dedicati ad alcuni personaggi del panorama artistico portoghese.

Il produttore Ricardo Malheiro decise, seguendo il consiglio di alcuni amici, di contattare Monteiro, il quale in un’intervista racconta <<era un’opportunità, ma non credetti che c’era un produttore disposto a credere ad una creatura che, totalmente inesperiente, fingeva male una certa avversione per i negozianti del cinema, oltre che i miei vestiti vecchi e quest’aria sottonutrita non ispiravano la minima fiducia. O meglio, Malheiro mi disse: Cavolo! Lei sembra più un senzatetto che un regista!>>.

Il cortometraggio Sophia de Mello Breyner Andresen non può essere etichettato come biografia, la stessa Sophia, che non crede nelle biografie, nel film afferma che:

«Più importante della vita di un artista sono le sue creazioni, le quali possiedono la capacità di rivelare la bellezza del mondo».

Il breve documentario, quasi prescinde dall’opera poetica, si concentra sulla forma che il regista sceglie per filmarla. Un’oscillazione tra la realtà e la sua espressione. Un film che fugge sicuramente dai canoni classici del documentario biografico.

In questo film riusciamo già a scorgere quelli che saranno i futuri tratti distintivi del cinema di Monteiro, come la chiara influenza della Nouvelle Vogue, il suo egocentrismo artistico e la sua propensione a difendere il Cinema Novo.

Maria e Miguel, figli della poetessa, raccontano in un’intervista rilasciata nel 2009:

<<Nel 1968 Sophia disse: “Mi ha telefonato un signore dicendo che vuole fare un film su di me e arriverà in settimana”. Passata una settimana, eravamo riuniti in spiaggia e Miguel correndo verso di noi dice: “Venite a vedere, un uomo molto magro dice che è venuto a fare un film sulla mamma!” Era João César Monteiro con cappello di paglia, una sigaretta in bocca e immerso nell’acqua fino alle ginocchia. Fu quel giorno che Sophia conobbe JCM e si piacquero subito. Mia madre disse: “Affittiamo una barchetta per andare a vedere le grotte di Ponta da Piedade.'” [Le stesse grotte citate nel suo Livro Sexto].

César Monteiro filmava in una barca al lato [racconta Miguel] era tutto vestito, con un Panamá, e per farci ridere si buttò in acqua. Il nostro barcaiolo, José Afonso, disse: “Sta affogando!” E realmente, César si era dimenticato che non sapeva nuotare e José Afonso dovette andarlo a prendere. Mia madre lo trovò divertentissimo.

Quando filmò a casa [racconta Maria] João César organizzò con mia sorella Sofia di mettere una ‘rockata’ alta e mia madre diede un salto. Lei non si lasciava filmare, ogni volta che guardava verso la cinepresa s’irrigidiva, e João César era disperato tentando di farla cedere, [continua] si rassegnò a questo silenzio e la trasformò in una cosa poetica. Filmò la lotta corpo a corpo di questo rifiuto3. >>

Durante le riprese João César Monteiro si avvicina a Sophia con lentezza visuale, come una carezza che scivola sull’acqua, elemento predominante nel film.

Le immagini si susseguono dettate da una sinfonia poetica: il chiaroscuro della mano della poetessa che scrive i suoi versi al liminale del mondo esterno che si schiude tra i vetri della sua finestra, la frutta sul tavolo come una natura morta di Caravaggio e l’immenso oceano che ispirò gran parte della sua opera poetica.

La voce di Sophia nel film sovrasta maestosa in un idilliaco incontro tra poesia e cinema:

“La cosa più antica di cui mi ricordo è una stanza di fronte al mare dentro la quale stava posata in cima di un tavolo una mela enorme e rossa. Dal luccichio del mare e dal rosso della mela si sprigionava una felicità irrifiutabile, nuda e intera. Non era nulla di fantastico, non era nulla d’immaginario: era la propria presenza del reale che io scoprivo. Più tardi l’opera di altri artisti confermò l’obiettività del mio sguardo. In Omero riconobbi questa felicità nuda e intera, questo splendore della presenza delle cose. Anch’io la riconobbi, intensa, attenta e accesa nella pittura di Amadeu de Souza Cardoso. Dire che l’opera d’arte fa parte della cultura è una cosa un pò scolastica e artificiale. L’opera d’arte fa parte del reale ed è destino, realizzazione, salvazione e vita.”.

La camera che filma quasi perturba, è un occhio indiscreto che rompe gli equilibri privati nel conforto delle pareti domestiche.

Il film termina con la firma di Sophia, ma come afferma João César Monteiro, il vero finale è il mare, o per meglio dire il suono delle onde, che accompagna la dissolvenza in Bianco.

Bibliografia

Luís de Pina. Histórias do Cinema Português. Ed. Europa-América, col. Saber, 1986

Nicolau, João. João César Monteiro. Lisboa: Cinemateca Portuguesa, 2005.

Lourenço, Eduardo. Retrato de Sophia. Lisboa: Moraes Ed., 1985.

Alcune poesie tradotte in italiano: http://www.filidaquilone.it/num005semprevivo.html

1 “Ricordo di scoprire che in una poesia era necessario che ogni parola fosse necessaria, le parole non possono essere decorative, non potevano servire solo per guadagnare tempo fino alla decasillaba, le parole devono stare lì perché erano assolutamente indispensabili. Questa fu una scoperta.” (JL 468, 25/6/91)

2 Penso che il mio film è, prima di tutto, la prova per chi vuole capire e accettare che la poesia non può essere filmata, che è inutile tentare.

3 Alexandra Lucas Coelho in Jornal Público, 23 giugno 2009.

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