Intervista al Professor Gianni Lovicu, agronomo e appassionato di Cannonau, specializzato nel legame tra il vitigno e la longevità
All’ombra dei nuraghi, dal nord al sud dell’Isola, i Sardi intuirono le potenzialità della vite e combinando proficuamente fatica e saggezza scrissero l’inizio di una storia che dura da millenni. Una storia segnata dalle orme di popoli arrivati da lontano, come quello fenicio, che gradì il vino locale e non esitò a stivarlo nelle navi con le quali solcava i mari in lungo e in largo. Una storia che lentamente ha determinato il patrimonio di biodiversità di cui oggi si dispone. Una storia che deve essere analizzata con attenzione, se si vuole migliorare ulteriormente, anche a livello internazionale, la qualità della vitivinicoltura.
Per illustrare il quadro attuale della situazione e per capire come si coniugano produzione di eccellenza e rispetto per l’ambiente <<Mediterranea>> ha intervistato Gianni Lovicu, agronomo e da anni appassionato ricercatore di AGRIS, l’agenzia della Regione Autonoma della Sardegna che si occupa proprio di ricerca scientifica, di sperimentazione e di innovazione tecnologica nel settore agricolo, nel settore agroindustriale e nel settore forestale.
Fino a tempi recenti si è creduto che la viticoltura e l’enologia fossero nate in Asia Minore. Poi, però, questa certezza è crollata…
Si è avallata a lungo l’ipotesi classica, dedotta dalla Bibbia. In realtà i reperti rinvenuti in vari siti dimostrano che in Sardegna si beveva vino già in epoche remote poiché la vite selvatica produceva abbondantemente una risorsa alimentare importante per il territorio. Nell’Isola, infatti, sono state trovate le più antiche tracce della vite e del vino nel Mediterraneo Occidentale. Vino che oltretutto, come conferma il carico di una nave fenicia recuperata nel 2014 vicino a Malta, veniva commerciato ed esportato al pari di altri beni. Cartagine, a questo proposito, rappresenta un esempio emblematico. Il quaranta per cento della ceramica presente nel suo strato di fondazione, quello più antico, è costituito da anfore vinarie sarde. E possiamo affermare con certezza scientifica che i costruttori della città, edificata prima di Roma, bevevano vino sardo.
In Sardegna esiste un censimento dei vitigni autoctoni?
In questo momento in AGRIS, nell’ambito del Progetto AKINAS (Anticas Kastas de Ide pro Novas Arratzas de inu de Sardinna) e in collaborazione con alcune cantine, stiamo censendo proprio i vitigni autoctoni, anche nei casi in cui sono vicini a scomparire, li stiamo conservando, li stiamo valutando e li stiamo confrontando con i vitigni inseriti nelle banche dati europee e addirittura mondiali. Diversi, tra quelli esaminati, possono essere utilizzati in enologia e possono aiutare varietà un po’ deboli, andando persino incontro alle esigenze del consumatore moderno. Si spera, poi, che questo studio scoraggi i tentativi di pirateria genetica. Tentativi che non sono mancati per vini sardi come il Cannonau, derivante dal vitigno rosso più coltivato nel mondo.
Il Cannonau è uno dei vini isolani più rinomati
La sua fama è attestata da secoli. La prova documentale più antica risale al 1549, quando fu citato in un atto scritto a Cagliari in catalano dal notaio Bernardino Coni. All’epoca il Cannonau era catalogato perché poteva costituire merce di scambio. Il vitigno, già molto importante nell’Isola a metà del 1500, presumibilmente era coltivato però anche cento-centocinquant’anni prima. Lo si può evincere considerando i tempi di diffusione di una varietà.
Dai diversi testi, inoltre, emerge una singolarità tutta sarda: fin da periodi remoti il vino viene identificato con il vitigno e non con la località, come invece accade altrove. Si pensi, solo per fare qualche esempio, ai vini di Alicante, ai vini di Centola o ai vini di Bordeaux.
Sulla base di che cosa si misura la salubrità di un vino?
La salubrità di un vino è legata principalmente al contenuto di polifenoli. Per il Progetto AKINAS stiamo analizzando anche vitigni poco coltivati che hanno notevoli capacità di produrre tali sostanze, in alcuni casi in misura persino superiore al cannonau. Certi polifenoli, poi, sono più utili di altri nel prolungare la vita delle cellule e nell’esercitare un’azione antiossidante. Fra questi ci sono la cumarina, l’epicatechina e il resveratrolo. Comunque presto ci soffermeremo pure sui vini bianchi poiché secondo una ricerca recentemente condotta dall’Università degli Studi di Milano possiedono, come i vini rossi, costituenti molto interessanti.
Tanti sostengono che il Cannonau sia un elisir di lunga vita. È davvero così?
È corretto parlare, più che di Cannonau, di vini a base di cannonau. Nell’ambito del Progetto BALAKeA (gemmazione di AkeA, A Kent’Annos, da cui ha preso il via uno studio sulle componenti salutistiche degli alimenti presenti nelle diete dei centenari sardi) è infatti emerso che questi vini hanno un maggior contenuto di polifenoli, derivante non solo dalla varietà e dalla zona, ma anche dalla tecnologia di vinificazione.
Qual è la sfida che il produttore di vino deve affrontare?
I prodotti sardi sono generalmente di buonissima qualità, ma per migliorare costantemente è bene ritenere di non aver mai raggiunto il massimo. Un aspetto fondamentale da curare è quello commerciale perché la veicolazione corretta delle informazioni spesso risulta problematica. Oggi la vera sfida, anche per chi propone vini, sta nella capacità promozionale. I maestri pubblicitari, in grado di lanciare messaggi accattivanti, sono sempre più indispensabili.
In che modo il consumatore può capire se un vino è veramente salubre?
È difficile dare un’indicazione che sia valida in assoluto. La comunicazione che passa, tra l’altro, non di rado è artificiosa. Comunque il consumatore, per restare alla Sardegna, va sul sicuro se si serve di vini rossi, a base di cannonau, caratterizzati da lunga macerazione. Vini rossi come tanti di quelli del Mandrolisai e delle Barbagie.
Perché in Sardegna è possibile parlare di vini sostenibili?
Perché in diverse aree, in particolare di alta collina, il numero dei trattamenti effettuati è molto basso o è pari a zero. Caso, questo, più unico che raro. In Sardegna alcuni prodotti che non ricadono nel biologico subiscono meno trattamenti di quelli considerati biologici in realtà viticole differenti. I vitigni, inoltre, come da tradizione si vinificano in purezza, vale a dire senza essere associati ad altri. Si pensi per esempio al vermentino, da cui ha origine un vino che possiede per natura un profumo fruttato con sentori di banana.
Ultimamente le strategie di mercato sembrano puntare sul legame tra vino e identità territoriale. È stata individuata, pertanto, la strada giusta da percorrere?
In realtà la strada giusta non è stata ancora imboccata completamente, ma valorizzando i territori tramite i vitigni locali si favorisce lo sviluppo del turismo. Sarebbe opportuno, quindi, far conoscere le zone che si contraddistinguono per significative peculiarità. Non le cito perché sono tante. Ci si ricordi, però, che ogni area vitivinicola della Sardegna ha qualità da vendere.
Nell’Isola, considerata la presenza di non pochi vitigni endemici, un itinerario archeo-vitivinicolo sarebbe realizzabile?
La realizzazione di un itinerario archeo-vitivinicolo, tale da interessare l’intera Sardegna, è davvero auspicabile. La base per progettare qualcosa del genere, tra l’altro, è solida poiché sono stati già censiti circa centocinquanta vitigni autoctoni.
Quali potrebbero essere le tappe principali?
Potrebbero far parte dell’itinerario Cabras (Sa Osa e i suoi vinaccioli) e il sito di S’Abba Druche a Bosa (i palmenti), i vigneti eroici del Mandrolisai, delle Barbagie, dell’Ogliastra e del Sarrabus e i vigneti su sabbia del Sulcis. Per non parlare delle viti selvatiche monumentali presenti in molte parti dell’Isola. Meriterebbero di essere viste, inoltre, le vecchie cantine e le botti dimostrative con vetro in cui matura la Vernaccia, che è veramente unica. L’osservazione ravvicinata del processo di formazione del lievito flor, che protegge il vino dall’ossidazione, potrebbe destare molta curiosità nel consumatore. Basta riflettere sul fatto che nel caso in questione, dopo tre anni di invecchiamento, si ottiene la Vernaccia. A parità di condizioni il novantanove per cento degli altri vini, invece, diventa aceto.
Il futuro della Sardegna passa dunque anche per una raffinata cultura viticola ed enologica e, come il dottor Lovicu insegna, non può prescindere dalla competenza di figure esperte. Ad maiora.
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