è un libro che offre una larga e densa panoramica del fenomeno in Sardegna. Edito nel dicembre 2016 da Lettera Ventidue, è costruito con l’apporto di diverse discipline.
Progettato e realizzato dal Collettivo Sardarch, professionisti che studiano i mutamenti sociali e urbanistici dell’isola, “un gruppo interdisciplinare di progettazione e ricerca, che studia fenomeni di trasformazione urbana e territoriale e propone strategie per l’ambiente urbano con la partecipazione attiva dei cittadini“.
La pubblicazione è curata nei minimi dettagli, eccellenti grafica e impaginazione, che aiutano la lettura dei vari approfondimenti. Gli interventi sono incastonati in modo da produrre un risultato finale di arricchimento per il lettore, uno stimolo poi ad approfondire ognuno dei campi di ricerca. Sono riusciti a rendere fruibile un argomento molto complesso.
Le conseguenze, dirette ed indirette del fenomeno spopolamento sono enormi, per capire meglio il progetto abbiamo intervistato il Collettivo Sardarch (Francesco Cocco, Matteo Lecis Cocco-Ortu e Nicolò Fenu).
La prima considerazione è di tipo metodologico, ma è la più evidente. Ossia, per parlare di un fenomeno complesso è necessario un approccio multidisciplinare. Come avete scelto i professionisti da intervistare?
Uno degli obiettivi del nostro lavoro è stato quello di rendere popolare un tema complesso come quello dello spopolamento in Sardegna. Per questo abbiamo richiesto a tutti i nostri collaboratori un approccio il più comprensibile possibile per un target generalista per raccontare in modo semplice il fenomeno dal proprio punto di vista di studiosi e ricercatori. Abbiamo individuato i professionisti da coinvolgere nel progetto SPOP partendo da chi, nei vari campi professionali in Sardegna si è occupato del tema dello spopolamento. Il primo che abbiamo coinvolto è stato professor Puggioni che con Bottazzi aveva lavorato alla ricerca commissionata all’Università di Cagliari dal Centro Regionale di Programmazione nel 2013. Il suo contributo scientifico come statistico e la sua passione sono stati il punto di partenza nell’affrontare la delicata questione relativa ai dati e ci ha fatto capire come sia importante parlare di “proiezioni” statistiche e non di previsioni come tanti erroneamente fanno. Gli altri ricercatori li abbiamo individuato all’interno dell’ambito accademico tra i giovani ricercatori che studiano il fenomeno. Nell’ambito urbanistico poi abbiamo tenuto a coinvolgere professor Maciocco che con la scuola di urbanistica di Alghero da anni lavora sul tema della “città di paesi”
La situazione dello spopolamento in Sardegna è così grave? L’indice dello Stato di Malessere Demografico non sembra sia peggiore di altre zone d’Italia. Considerando la morfologia del territorio nazionale è quasi normale osservare il fenomeno dello spopolamento, per diversi motivi: economico, sociale o a causa di eventi naturali. Quali sono le cause principali dell’abbandono dei piccoli centri, dalla seconda metà del novecento in poi?
Su 377 comuni dell’Isola sono oltre 280 i comuni che soffrono secondo l’indicatore del malessere demografico, con una distribuzione molto definita nel territorio che determina il cosiddetto “effetto ciambella”, con le aree interne (oggetto di studio della Strategia Nazionale Aree Interne di cui parliamo nel libro) che perdono abitanti e i poli urbani e i comuni costieri che aumentano il numero di residenti. Una caratteristica demografica particolarmente accentuata in Sardegna è l’indice di ricambio bassissimo, inteso come rapporto tra la popolazione potenzialmente in uscita dal mondo del lavoro (60-64 anni) e quella potenzialmente in entrata (15-19 anni), e, soprattutto, il progressivo invecchiamento della popolazione che rispetto alle altre regioni italiane è molto più rapido: la Sardegna invecchia più rapidamente delle altre regioni italiane.
Rispetto alle altre regioni italiane poi la Sardegna è una delle più estese, con 24.000 kmq di superficie, superata solo da Sicilia e Piemonte, ed è una delle tre regioni con più bassa densità abitativa con meno di settanta abitanti per chilometro quadrato. Questo vuol dire che lo spopolamento delle aree interne dell’isola lascia un patrimonio di territorio vastissimo senza nessuno che se ne prenda cura costantemente, e il fenomeno non è distribuito in maniera omogenea nel territorio ma ci sono aree in cui è particolarmente concentrato. Una di queste, di un fascino particolare, è l’area intorno al lago Omodeo, su cui insistono due importanti unioni di comuni (Barigadu e Guilcer) in cui sono ricompresi sei dei 31 comuni oggetto del nostro studio, contando una superficie totale di 665 kmq e una popolazione di quasi ventiduemila abitanti.
La percezione del fenomeno è sempre negativa, i media in genere parlano del fenomeno solo in termini catastrofici. Ci sono esempi di ripopolamento dei piccoli centri come Sadali, anche grazie agli immigrati. Ma non sempre la quantità di residenti è sufficiente per considerare viva una comunità, come fa notare Francesco Bachis. Ci sono invece esempi positivi in Sardegna, che potrebbero somigliare all’esempio di Riace?
La questione dell’inserimento dei migranti è evidentemente delicata perché ha implicazioni non solo interne legate alla struttura del territorio ma, soprattutto, di solidarietà nei confronti di popolazioni in difficoltà che hanno necessità di aiuto in un periodo storico complesso nei loro territori di origine, che crediamo debba essere la base di discussione rispetto al tema. Oltre a Riace, che raccontiamo nel nostro libro ed è un modello virtuoso a cui guardare, esistono altri casi in Italia come quello del piccolo comune di Sant’Alessio in Aspromonte (357 abitanti) a pochi chilometri da Reggio Calabria che ha creato percorsi virtuosi a partire dall’accoglienza dei migranti attraverso 35 progetti SPRAR diventando un simbolo per l’intero mondo. A Sant’Alessio, grazie all’iniziativa del sindaco Stefano Calabrò, l’immigrazione è stata vista come un’opportunità un’occasione per mantenere le scuole aperte, per creare lavoro, sia per gli immigrati sia per la gente del posto ripensando in qualche modo il sistema di welfare locale. Il risultato è stato talmente sorprendente in termini positivi che ora molti dei comuni limitrofi hanno deciso di attivare degli ulteriori progetti SPRAR.
In Sardegna è molto interessante la proposta che coraggiosamente sta portando avanti l’ANCI regionale per spiegare ai sindaci e alle comunità le opportunità offerte dai progetti SPRAR che creano un indotto positivo sul territorio con esperienze di microaccoglienza diffusa.
Un futuro possibile è quello dell’unione dei piccoli comuni, o come li definisce Giovanni Maciocco “Città di paesi”. Ci sarebbe sicuramente un vantaggio economico per l’amministrazione pubblica, oltre a migliori servizi per i cittadini. Ma ancora più importante è il cambiamento dello sguardo degli abitanti verso il proprio territorio, ossia non solo rivolto ai confini del proprio paese ma a quello della micro regione in cui vivono, che accoglie in una geografia simile molti centri. L’occasione anche di creare legami nuovi, partendo da se stessi. Sarebbe una bella sfida culturale: non aspettare sempre un cambiamento dall’esterno che dia una scossa in positivo alla quotidianità. Ci sono novità in questo senso?
Già oggi la riorganizzazione amministrativa si sta orientando verso il rafforzamento delle unione dei comuni, nelle quali i servizi saranno sempre più gestiti collettivamente e che saranno alla base della programmazione territoriale, attraverso cui passeranno sempre più i fondi regionali e europei per i territori. Se a livello amministrativo la strada è iniziata occorre uno sforzo soprattutto culturale per fare in modo che i territori si riconoscano in una comunità sovraordinata che non cancella le identità dei singoli comuni, ma che aiuterà a migliorare i servizi e la attrattività dei territori. Sono ancora forti i cosiddetti “campanili” e i confini delle Unioni definite dalla legge non sempre corrispondono a effettive logiche storico, economico, sociali. Ma la direzione intrapresa è quella secondo noi corretta che dovrà essere accompagnata da esperienze di co-progettazione e collaborazione sociale e istituzionale tra comuni ancora troppo frammentati e poco collaborativi. Quello che vediamo dal nostro punto di osservazione è che i comuni dove le amministrazioni sono più giovani (fortunatamente sempre di più) sono spesso i comuni che hanno capito la necessità di questo cambiamento culturale e che stanno lavorando in questa direzione, e in questa fase un ruolo centrale lo avranno le istituzioni scolastiche.
Tutti gli interventi sono molto autorevoli, ma sono curioso di avere un parere tecnico del collettivo Sardarch. Ossia, si può e si deve desiderare di vivere in un luogo bello: un territorio urbano curato è sicuramente più appetibile per conservare e attirare nuovi residenti. Rendere più belli i paesi, cercare di conservare uno stile architettonico coerente, ma anche semplicemente trovare soluzioni per le migliaia di facciate non finite o di ruderi nei centri storici. Mostri urbanistici che danno l’idea di abbandono, ancor prima che il fenomeno inizi. Il vantaggio sarebbe enorme: per la qualità della vita dei residenti, per il turismo di qualità, per il recupero del costruito, limitando il consumo del suolo. Avete delle proposte concrete da presentare al mondo politico?
C’è uno dei comuni che descriviamo nel nostro libro, Nughedu Santa Vittoria, che ha lanciato una guerra contro il cosiddetto “non finito sardo” finanziando i privati che ridanno decoro alle proprie case lasciate spesso all’esterno senza finiture, non intonacate e con i blocchetti di costruzione a vista. Dobbiamo fare i conti con la realtà dei nostri paesi, che spesso sono brutti a causa della febbre edilizia degli ultimi 40 anni che non ha risparmiato molti centri storici e ha creato zone di espansione con scarsa qualità. Uno dei temi centrali dei nostri paesi è oggi quello del riuso e del recupero di un enorme patrimonio, pubblico e privato, attualmente inutilizzato presente al loro interno. Sarà questo uno dei temi che affronteremo a settembre nel Campus che terremo nei territori intorno al lago Omodeo dal 5 al 9 settembre. Saremo ospitati nella affascinate cornice del Novenario di San Basilio a Nughedu Santa Vittoria dove si svolgerà “SPOP – CAMPUS OMODEO” un workshop di discussione e progettualità sul tema dello spopolamento rivolto a 20 studenti universitari, neo-laureati, ricercatori e giovani professionisti e sarà organizzato attraverso gruppi di lavoro la cui finalità sarà la creazione di proposte in grado di riattivare il tessuto economico e sociale del territorio intorno al lago Omodeo nelle due unioni dei comuni del Barigadu e del Guilcer. Rivolto a 20 studenti universitari, neo-laureati, ricercatori e giovani professionisti e sarà organizzato attraverso gruppi di lavoro la cui finalità sarà la creazione di proposte in grado di riattivare il tessuto economico e sociale del territorio intorno al lago Omodeo nelle due unioni dei comuni del Barigadu e del Guilcer.
La filosofia di base dei laboratori, coordinati da Sardarch e da Desilab Elisava – Desis network (Arianna Mazzeo) della Escuela Universitaria de Diseño e Ingeniería de Barcelona, sarà quella della co-produzione e co-design dei servizi attraverso gruppi multidisciplinari composti, provenienti da formazioni diverse (architettura, scienze politiche, economia, geografia, design, sociologia, ingegneria, progettazione europea). Le tematiche a cui lavoreranno i gruppi dei partecipanti riguarderanno: cooperative di comunità e servizi per l’invecchiamento attivo; riuso dei materiali e del patrimonio architettonico; economia locale, agricoltura e slow food; turismo morbido e accoglienza diffusa. Le attività dei gruppi saranno supportate da tutor di grande esperienza professionale e ricerca nelle tematiche affrontate e da una equipe della associazione Clabber Unica che curerà gli aspetti della comunicazione e delle dinamiche di gruppo.
Il progetto è patrocinato e sostenuto da Fondazione di Sardegna, Comune di Nughedu Santa Vittoria, Sardegna Teatro, ANCI Sardegna, Università degli studi di Cagliari, Università degli studi di Sassari e Regione Autonoma della Sardegna