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Vedere nelle situazioni avverse il lato positivo, trarre i lati divertenti dell’ordinario, l’umorismo come fattore di resilienza sono stati gli spunti di Taccuini dall’immaginario un seminario non convenzionale, un corso di scrittura umoristica concluso il 28 maggio, che Andrea Meloni in collaborazione con Sabrina Mascia ha tenuto presso il Teatro Alkestis di Cagliari.

30 ore intensive, una full immersion di scrittura creativa, di scrittura divertente destinata a monologhi teatrali, a testi da leggere a voce alta. 10 i partecipanti dalle aree più diverse, dall’avvocato al naturalista, dal commerciante allo psicologo, nessuno o quasi fra loro si era mai cimentato in questo genere letterario. Un unico obiettivo: apprendere la difficilissima modalità di scrittura che è l’umorismo.

La scrittura per essere letta ad alta voce non è quella dei romanzi che non richiede una lettura espressiva. La scrittura per il teatro è spesso essenziale, ridotta al minimo e deve funzionare quando si mette in scena. E’ una scrittura che riguarda tutto il linguaggio teatrale, dal movimento al gesto, alle luci, alle musiche, alle pause alle azioni. Il corso si è tenuto in un’aula insolita e magica, il palcoscenico del teatro, dove attorno a un tavolo perennemente imbandito il maestro e gli allievi si sono messi in gioco fra amici. Un tavolo qualunque di Parigi o di Marrachech o di qualunque luogo immaginario dove gli artisti si incontrano, mangiano magari delle noci, del pane con ricotta, dei dolci, bevono buon vino e chiacchierano della scrittura, di cosa è comico e di cosa non lo è, di come tutto può essere visto con umorismo.

Il riso è nel quotidiano, forse è esclusivo degli esseri umani o forse no, ma tutti noi sperimentiamo continuamente situazioni comiche. Queste situazioni possono essere raccontate, possono riguardare tutti e allora diventano archetipi. La comicità non è approssimazione e Calvino diventa il modello di riferimento di leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità, qualità che ogni buon testo deve avere. Fra allusioni casuali, uso dell’inaspettato, cronache delle proprie inettitudini, flussi di coscienza, ma anche fra una barzelletta e l’altra i partecipanti hanno pian piano costruito i loro monologhi. Si sono ispirati tutti a vicende personali rivissute e trasformate in racconti divertenti, in storie inedite dal carattere umoristico. Il corso ha visto il suo apice con le letture sul palco dei monologhi scritti degli allievi. Un’esperienza nuova per la maggior parte di loro che il 28 maggio scorso si sono alternati al leggio, con microfono in mano, davanti al pubblico del teatro Alkestis.

Il seminario rientra in un nuovo progetto del teatro Alkestis e della Compagnia d’arte Circo Calumet che ha come obiettivo la produzione di uno spettacolo fatto di monologhi umoristici e canzoni di satira che vedrà anche la produzione di un CD per il prossimo autunno.

Andrea Meloni, ha voluto riprendere con il corso le sue le vecchie passioni, i ricordi dei suoi esordi da attore e trasferirle in un insolito percorso formativo, non solo per scrittori di teatro e narratori, ha voluto offrire un ampio spunto creativo per vivere meglio le vicende avverse della vita. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per Mediterranea.

meloniChi è Andrea Meloni?

Sono nato a Cagliari nel 1967, sono un attore di teatro legato a questo mondo dall’imprinting iniziale di carattere comico. Ho intrapreso la strada del teatro pensando di essere inetto, fragile, timido. Da giovane avevo fatto un’esperienza casuale di teatro comico con una buona risposta del pubblico e così mi sono scoperto comico. Ho voluto approfondire quell’esperienza e fare del teatro la mia formazione, la mia vita professionale.

Come nasce l’idea del seminario?

Nasce da un mio desiderio che ha iniziato a far capolino nel 2012, da uno studio fatto con Sabrina intorno alla figura di Giorgio Gaber in Sandro Luporini a cui sentivo di offrire un contributo attraverso una rassegna capace di declinare il pensiero e l’arte di Gaber. Una serie di interventi che hanno coinvolto anche la Fondazione Gaber e diversi artisti e studiosi. Nel 2012 per la regia di Sabrina abbiamo prodotto Il Bilico distratto, scritto e interpretato da me sulla figura di Gaber. Per tanti anni ho fatto ricerca teatrale spaziando e sperimentando diversi generi. Avevo abbandonato la linea strettamente comica, umoristica e satirica che aveva avuto il suo apice nel’93 con la vincita del concorso per scrittori umoristici di Comix, la partecipazione al dopo cena di Costanzo come autore di satira e gli articoli satirici per L’Unione Sarda. Dal 2012 sono tornato a far ridere le persone in teatro, in particolare con Ritorno allo sgabello del 2014, spettacolo fatto di brevi monologhi comici.

Volevi trasmettere questa tua passione a degli allievi?

No, ci sono arrivato pian piano. Dopo il 2014, dopo aver portato il mio spettacolo al Teatro Civico di Cagliari ho proposto a Sabrina l’idea di voler fare un nuovo lavoro umoristico. Da qui come facciamo ogni anno noi della Compagnia d’arte Circo Calumet, abbiamo costruito un progetto sull’umorismo che ha come obiettivo finale la produzione di uno spettacolo e un CD. Tra i vari appuntamenti di studio, ricerca e sperimentazione abbiamo incluso anche la formazione come divulgazione e stimolo per recuperare uno studio più approfondito di quella vasta materia che è l’umorismo. Ci siamo riferiti agli studi scientifici di Freud e a quelli letterari di Calvino.

Scrivere in maniera umoristica può diventare un genere per tutti? Esistono tecniche? O serve una predisposizione, un talento?

Secondo Freud l’arguzia non è una facoltà mentale di tutti. La scrittura è qualcosa ancora di più, è un atto volontario deliberato soprattutto se intendi rivolgere il tuo lavoro a un pubblico. Non so dire se occorra un talento particolare, penso di si, occorre una predisposizione di base. Però, come abbiamo visto nel seminario, persone che si ritenevano incapaci, inadeguate da questo punto di vista sono riuscite a portare un risultato molto dignitoso con un attraversamento tecnico che è andato a contattare parti nascoste in ciascuno di noi. Il talento, quando è disciplinato, può fare la differenza. La disciplina, il metodo, le tecniche ti fanno fare un salto di qualità, se hai talento lo esaltano, se non ce l’hai ti fanno fare un buon lavoro.

Perché taccuini? Un po’ un ritorno al passato?Quando scrivi un testo lo scrivi a mano su un taccuino?

Il taccuino è qualcosa di artistico per antonomasia, mi ricorda gli artisti europei del primo ‘900, soprattutto in questo tempo in cui il tablet è subentrato normalmente. Ho uno spirito romantico e per certi versi decadente. Ho nostalgia di qualcosa che in realtà non ho conosciuto, però nel mio immaginario gli artisti di caffè parigini che si incontravano mi colpiscono ancora. C’è però un paradosso: io non amo la mia scrittura grave e pesante. Ho un sacco di taccuini che compro perché mi chiamano per la loro bellezza. Spesso li lascio bianchi perché ho paura di riempirli, come il pittore davanti a una tela bianca. Ho paura di imbrattare il bianco, l’abisso. Sul computer il foglio è virtuale, non sento un’affezione particolare e allora posso buttare giù delle cose organizzando e riordinando con velocità. Molte cose le ho in testa, in una sorta di taccuino mentale e che ancora non sono pronte per essere scritte.

taccuini3Che effetto ha ascoltare i propri allievi da spettatore?

Ogni volta che mando in scena qualcuno mi sento sempre addosso una grande responsabilità. E’ un po’ un rapporto che si potrebbe avere con dei figli. La sera del 28 maggio ero in ansia per loro, perché doveva essere un’esperienza significativa fino in fondo come io chiedevo di viverla. Volevo che fosse un processo di continuità del lavoro fatto con loro e che il pubblico fosse testimone in platea. Ci siamo riusciti. Sono contento perché il lavoro è arrivato. Ero preoccupato per le consegne del tempo, il pubblico era attento dall’inizio alla fine. E’ stato molto bello sentire che gli appuntamenti comici risuonavano nel pubblico. Il livello è stato buono tenuto anche conto che il gruppo si avvicinava a un lavoro di questo tipo per la prima volta.

Quali confini esistono tra umorismo e comicità?

Il confine tra umorismo e comicità non è molto stretto, è largo, sfumato.L’umorismo crea in noi un pensiero empatico, parte da qualcosa di comico, particolare, grottesco che inizialmente fa ridere, ma poi porta a dimensioni di reflessione. La comicità è immediata, non necessariamente comprende una riflessione, alle volte non comprende neanche un’empatia.

Come vedi la satira anche alla luce del caso Charlie Hebdo?

La satira non ha né limiti né confini. Chi scrive di satira colpendo ad esempio un dio, un’idea razziale, un’idea sociale deve assumersene le responsabilità. Chi legge ha tutto il diritto di sottolineare la propria contrarietà o il proprio favore con le modalità tipiche di una democrazia fondata sulla pace. L’episodio degli scrittori satirici francesi è stato strumentalizzato. Si è confusa la libertà con l’autorizzazione a compiere dei crimini.

C’è un’età nella quale si riscopre il piacere di scrivere?

E’ una questione molto personale. Per me la dimensione della scrittura viaggia di pari passo con la dimensione dell’espressività. Non so se in me nasce prima l’autore o l’interprete. Per me non c’è stata un’età, ma un processo continuo a fasi altalenanti. Il processo creativo non è continuo, ogni tanto ritorna il bisogno di indagine su qualche argomento, di poterne parlare, elaborare, scrivere, esprimere. Per me il ritorno alla scrittura è fatto di ciclicità costanti nel tempo.

Il corso verrà replicato? Con la stessa formula? Rivedremo i tuoi allievi sul paco?

Non ho deciso. Mi interesserebbe poterne dare continuità, una replica o uno sviluppo. Mi piacerebbe poterlo ripetere migliorandone alcune criticità che ho notato in questa prima versione. Vorrei fare più incontri. Non ci sono programmi, è possibile che il tutto si ripeta, forse non con le stesse persone o forse con alcune di loro se faremo un percorso avanzato.

Lasci a Mediterranea un tuo aforisma sull’umorismo?

Il pensiero umoristico è un pensiero che non ti preme sulla testa, ma ti fa sollevare da terra.

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