Ospitalità sincera
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Si può parlare di ospitalità in tanti modi e perfino con parole apparentemente differenti. Si può parlare di ospitalità di un ambiente costruito. Spesso, entrando in un luogo sconosciuto lo percepiamo accogliente o inospitale, rispetto ai profumi che percepiamo, alle forme dello spazio, oppure ai colori delle pareti e degli arredi; oppure ancora rispetto agli sguardi ed agli atteggiamenti delle persone che già “abitano” quello spazio le quali, a loro volta, possono assumere un atteggiamento poco accogliente se ci percepiscono come intrusi o ancora venirci incontro a braccia aperte per includerci in quello spazio che si scalda e si arricchisce.

Esiste l’ospitalità verso il forestiero intesa come accettazione dello “straniero” in quelli che consideriamo spazi nostri, come le nostre città o le nostre case. L’ospitalità può essere offerta all’estraneo, sia esso un turista, un pellegrino, un profugo oppure ad un conoscente più o meno intimo. Il viaggiatore fa esperienze di ospitalità diversificate e continue, trova popoli che ad un primo impatto sono diffidenti e quindi poco inclini ad ospitare e a condividere i propri spazi con lo sconosciuto, per poi spalancare le porte delle loro case ed includerlo come un familiare.

Come ci comportiamo con un estraneo che ci chiede ospitalità? Forse la prima e lecita reazione è la pura e semplice diffidenza.

Subito dopo o in caso di un imminente evento critico, invece, cosa cambia nel nostro atteggiamento? Molti Gigliesi, nella indimenticabile notte della Costa Concordia, hanno aperto le proprie case senza remore. Durante i bombardamenti delle grandi città, le famiglie di provincia davano ospitalità agli sfollati in cerca di rifugio. Una costante dell’ospitalità più sana, e non è difficile immaginare che da esperienze come queste possa capitare, è che nascano relazioni profonde tra ospitanti ed ospitati che tal volta si trasformano in amicizia e quindi ricchezza per la società.

L’ospitalità offerta alle persone che già appartengono alla cerchia più intima di familiari o amici, ha un sapore molto diverso anche nel momento in cui ritualità, formalità e confidenza ne disegnano i contorni. Basti pensare al semplice benvenuto che, da solo, potrebbe raccontarci come andrà quella serata con i diversi ospiti. Uno strano mix, mai uguale, di sentimenti contrastanti ci potrebbe accompagnare in una stessa serata, quando ospitiamo a casa nostra in un’occasione non troppo formale, sia un amico con cui abbiamo grande confidenza oppure un parente, che magari non ci è particolarmente simpatico. Immaginiamo l’entusiasmo spontaneo con cui accogliamo con un abbraccio, ancora sulla porta, un amico che non vediamo da tanti anni e con cui abbiamo condiviso momenti felici della nostra vita, piuttosto che con un contenuto e cortese “Ciao, come stai? Da quanto tempo…” mostrato invece al parente che vediamo non troppo raramente ma che “abbiamo dovuto” invitare. Per il primo, il nostro atteggiamento è totalmente rivolto all’interesse per l’ospite perché lo vogliamo ricoprire di attenzioni, notizie e calore; mentre per il secondo, qualche volta, siamo più preoccupati che non trovi qualcosa in disordine perché altrimenti già sappiamo che, quando salirà in macchina per tornare a casa, starà elencando le mancanze nei suoi confronti o le imperfezioni nella casa che solo lui poteva scovare. Quando i due differenti ospiti vanno via, il nostro atteggiamento è di tirar due differenti sospiri. Per l’amico gradito un sospiro di appagamento, come dopo aver gustato un sublime e piacevole pranzo da cui ti alzi senza nessuna pesantezza e pienamente appagato nel palato e nello spirito; mentre per il secondo il sospiro è di liberazione, paragonabile al togliersi un paio di scarpe strette che hai dovuto portare per tutta la sera o allo slacciarsi la cinta dopo una di quelle pesanti abbuffate che ti riprometti di non ripetere mai più.

Uno degli aspetti forse più interessanti dell’ospitalità è l’accoglienza, anch’essa con le sue innumerevoli sfumature.

Ospitalità sinceraUn atteggiamento utile a godere dell’ospitalità, o accoglienza, potrebbe essere quello del rispetto dell’altro, inteso come quel sentimento da cui non dovrebbero prescindere né l’ospitante, nel ricevere l’ospite con i comportamenti propri della sua storia e tradizioni e né il bravo ospite può esimersi dal rispetto dei modi e dei mezzi offertigli come gesti di ospitalità, anche se molto diversi da quelli propri della sua cultura o delle sue abitudini.

Accogliere le diversità non è certo cosa semplice. Il nostro ambiente o gruppo sociale può essere più o meno ospitale rispetto alle varie diversità. Pensiamo a quelle caratteriali, alla presenza di visioni politiche o religiose contrapposte, all’ingresso di un nuovo membro nel nostro gruppo storico o nella nostra band musicale, all’inclusione di portatori di disabilità fisiche o psichiche.

Il proprio io può essere ospitale, o anche non esserlo, verso le novità che possono scombussolare la nostra vita abitudinaria e rassicurante.

La società individualistica fatica ad accettare il diverso, perché, al di là dei buoni propositi enunciati dai suoi diversi esponenti, la parte più ampia della nostra società non ha realmente compreso che ospitare in seno alla società le diversità non può che essere una ricchezza, e ciò si può fare attraverso l’educazione delle giovani generazioni e la sensibilizzazione di quelle più adulte già protagoniste di questa società.

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