“In principio era il Verbo” (Gv 1,1)
“In finale sarà il bit”(?)
E’ probabile che così potrà finire, ciò che da qualche parte era iniziato, innalzando il Logos (nel suo significato assoluto, non meramente religioso) a momento fondativo, seguendo le parole del Vangelo di Giovanni.
Ma oggi, con un determinato trionfo delle nuove tecnologie, della connettività a tutti i costi, della comunicazione tramite web, molto di quel logos sembra essersi dissolto, in quella che viene definita “noosfera digitale”, perdendo spesso il senso della soggettività personale, e trasformandosi, altrettanto di frequente, in ciò che si definisce, psicoanaliticamente, un ‘sintomo’.
Come nasce questo ‘movimento’, questa ‘neolingua’ (citando l’Orwell di “1984”), che esalta maggiormente la digitalizzazione delle parole, piuttosto che l’analisi analogica del pensiero?
In principio, ossia nei primi anni ’80 dello scorso secolo, esistevano solo strumenti e/o media di tipo analogico, quali: la Tv, la radio, il telefono, con una portata senz’altro meno globalmente ‘connettiva’ rispetto a ciò che esiste oggi
Poi, successivamente, dopo all’incirca una decina d’anni, mentre erano comparsi i primi pc da tavolo (desk-top pc), di provenienza statunitense e giapponese, si cominciò a parlare di ‘generazioni’ seriali di hardware/software (con l’idea di sviluppare qualcosa che facilitasse la comunicazione tra e con uomini, con interfacce più gradevoli e amichevoli (user-friendly)) e la ‘battaglia’ tra majors della grande elettronica per accaparrarsi un mercato completamente vergine.
Nei primi anni ’90 sono cominciati ad apparire i veri oggetti ‘must’ del secolo, ossia i telefoni cellulari, ed è sorta la possibilità di comunicare, con tutto il mondo, mediante una ‘rete’ (Web) di computers collegati, abbattendo così frontiere e lingue differenti, dando anche l’origine alla possibilità di ‘globalizzare’ anche il settore delle telecomunicazioni. Nasce anche il concetto di ‘chat’ (diminutivo di ‘chit-chat’, ossia un ‘luogo’, virtuale, dove molti utenti collegati simultaneamente potessero scambiare una ‘chiacchierata’ su disparati argomenti, scelti all’inizio, o decisi in seguito).
Negli anni dopo il 2000, c’è stata una più massiccia ‘invasione’ di altri strumenti interattivi, quali i Blogs, i Messengers, e poi ciò sul quale ci soffermeremo maggiormente, ossia i Social Networks, come My Space, Meetic, ma soprattutto, Twitter e Facebook (per quanto riguarda il lato di comunicatività ‘spinta’) e Second Life (per quanto riguarda il lato della ‘riproduzione’ del Reale in ambiente artificiale).
Ciò ha fatto sì che si potesse cominciare a parlare, a ragion avveduta, di una nuova ‘dipendenza’, pari a quelle che erano già note (alcol, droghe, etc), annoverando tutto ciò nei cosiddetti ‘nuovi sintomi’ (ossia, le forme contemporanee della psicopatologia, dove il sintomo esprime, nel soggetto, un disagio rispetto al proprio reale, che non gli è estraneo ma nemmeno familiare, e quindi, per ‘affrontarlo’, ‘sceglie’ delle forme del sintomo alquanto destabilizzanti).
Infatti, il mondo della contemporaneità cerca di manifestarsi ricorrendo non più all’idea di un dio trascendente ed onnisciente, ma mettendo al proprio centro l’idea delle ‘technè’ (l’idea data dall’insieme di strumenti tecnologici, utilizzati per l’avanzare di un certo progresso, ed il pensiero razionale che gli corre di fianco) che, anzi, si produce come ‘svuotamento’ dell’idea di un dio, poiché riesce a riempire un soggetto di un altro tipo di fede, quella nella iper-tecnologia, nel mercato liberalizzato (ed anche più globalizzato, sempre più condivisibile indifferenziatamente, dove tutto è presente dovunque, indipendentemente dalla originaria peculiarità del prodotto o del manufatto in questione), nel ‘culto’ di oggetti che restituiscono la sensazione di un controllo sull’ambiente, mediante l’egida di un ‘feticcio’ iper-reale, una sorta di “Dio-gadget-tecnologico”.
Nella epoca post-moderna (Lyotard, 1979), che si spinge oltre in quella iper-moderna (Recalcati, 2010), ciò che non si pone più come ‘questione’, ma come necessità, come Ananke contemporanea, è quella del desiderio, che viene sostituito da una continua ricerca di un godimento (nella sua accezione lacaniana, ossia di ‘jouissance’, dove rispetto al soddisfacimento pieno di un soggetto che desidera, c’è un rapporto differente, fatto di tensione, struggimento, ripetizione, dolore, che non lo fanno assimilare ad un piacere che abbassi la tensione psichica, ma a qualcosa che investe il campo simbolico del linguaggio), godimento che diviene assoluto, che non fa si che il soggetto si stacchi dall’oggetto che glielo procura, anzi, viene da questo ‘controllato’, immobilizzato, in una sorta di ‘freezing’ olofrastico (dal concetto di ‘olofrase’, ossia di una parola-figura retorica che indica, in una sola frase, un intero concetto).
E’ il caso, appunto, dei ‘nuovi sintomi’, che si costruiscono su continue dipendenze da ‘oggetti’ (anche intercambiabili), che diventano una sorta di ‘partners inumani’ (Recalcati, 2010) come il computer (o anche l’alcool, le droghe, il cibo, il gioco d’azzardo), nel suo utilizzo mediante quei social networks o la ‘seconde vite’ citati precedentemente, rispondenti in maniera perfetta alla necessità di un godimento a-simbolico, o, talvolta, eccessivamente ‘cristallizzato’, e quindi non facilmente modificabile, benché soddisfacente.
Essi stanno a rappresentare la ‘mancanza della mancanza’, lo slittamento del desiderio verso uno stato di necessità, che si oppone alla possibilità di una costruzione della dimensione amorosa, ricevendo in cambio la possibilità di forme di ‘nuova erotizzazione’ di tutto ciò che non è (e non ha) parola, che non è ‘bersaglio’ di un transfert, che non crea un valido legame sociale.
La tecnologia diventa così una sorta di ‘protesi’ di tale godimento, che non passa attraverso il ‘non cedere sul proprio desiderio’ (Lacan, 1959), ma che passa tramite l’imperativo di tale godimento, della dis-soluzione della propria soggettività, indicata dalla ‘liquidità’ (Bauman, 2000) dei legami che intercorrono tra coloro che ‘delegano’ la loro possibilità di espressività (di un’idea, di un pensiero, di un affetto) UNICAMENTE a tali ‘protesi’ che si fanno ‘soggetto’ della propria ‘coazione a ripetere’ (Freud, 1920) amplificando nel virtuale ciò che nell’Attuale (la nozione di ‘attuale’ contrapposto al virtuale la si deve a Gilles Deleuze, in luogo della presunta opposizione classica reale/virtuale) già non ‘funziona’ più.
Una sorta di ‘technè’ amplificante, quindi, i sintomi soggettivi, che troverebbero una sorta di pseudo-catarsi attraverso il ‘mascheramento’ di ciò che quel soggetto dovrebbe/potrebbe inserire nel campo dell’Altro (Lacan; il ‘luogo’ dove ciò che, precedendo il soggetto, lo determina) condividendo un proprio stato di verità, invece di scegliere uno stato di ‘passione per l’inautenticità’, di svalutazione del proprio ‘Erlebnis’ (vissuto esperienziale), a favore di una ‘modellizzazione’ attraverso il vissuto collettivo.
Quindi, seguendo ancora Deleuze, tutto ciò che è in-attuale può trovare spazio nella dimensione della virtualità, che diventerebbe così la ‘configurazione’ odierna della technè.
La dipendenza dalle nuove tecnologie, dalla ‘rete’ che si pone come ‘presenza’ costante, si fa addirittura ‘corpo’, nel senso che, mentre il corpo umano proprio si concepisce come un prodotto di varie operazioni (simboliche, linguistiche) della quali l’Altro è garante, il computer si presta ad essere ‘corpo assoluto’, reificato, restituendo quindi la possibilità di essere ‘con-diviso’, senza ‘tagli’, senza ‘macchie’, senza la possibilità di procurarsi delle cicatrici che rammentino il ricordo di un dolore vissuto.
C’è uno spazio (anche quello virtuale) denso, iper-abitato da oggetti, tutti inclini a porre in rilievo la possibilità di un godimento reiterabile, che fa sì che nell’utilizzabilità (Heidegger, 1927) di questi, si attuino delle ‘difese’, proiettate esteriormente, per nascondere ciò che internamente è ‘crollato’, che non fa più da supporto al pensiero, cosicché resta solo da agire, incessantemente, anziché reinvestire su un momento di pura ri-flessione.
Dove si ‘nasconde’ il sintomo in tutto questo?
Si nasconde proprio nell’imperativo che si origina da questa ‘amplificazione’, ossia un “DEVI GODERE!”, che, tradotto in un ‘comandamento’ adatto all’iperuranio della connettività, diventa “DEVI DISSOLVERTI!”, finché il soggetto si possa re-identificare in una sorta di ‘de-coscienza’ immateriale (e di inconscio ‘zero’), tale da garantirgli quel godimento assoluto ed anonimo (o mascherato), che non lascia nessun campo per l’attivazione di un progetto pensato, ma solo la dis-soluzione in un ‘pacchetto’ di atomi-bits, che si possano fondere con quelli provenienti da altri soggetti interconnnessi.
Ciò porta anche a quella che si può definire una ‘dimensione paranoica’, anche nel campo del virtuale.
Infatti, spesso, si assiste, all’interno dei ‘movimenti’ che si creano in quei ‘supporti’ connettivi su menzionati, di singoli e/o gruppi, per i quali ‘tutto si fa segno’, si esclude la possibilità del dubbio a favore della ‘certezza’ di una verità (lasciando così in ‘apnea’ il soggetto dell’inconscio), che ‘caricano’ la loro angoscia verso un eventuale ‘nemico’ (è il caso di molti gruppi, formati sui social networks, che tentano di restituire una ‘dignità’ ed una verità ad idee, quali la xenofobia, il razzismo, l’avversione verso i disabili, che altrimenti, nell’attuale sarebbero più fortemente contrastate, lasciando che alcune pulsioni aggressive vengano messe in Rete, scatenando spesso delle accese discussioni con chi, parimenti, sostiene l’altra ‘metà del cielo’ con altrettanta veemenza).
Qui, è abbastanza facile ravvedere come si origini la tematica del ‘persecutore’, poiché il/i soggetto/i che ‘rivendicano’ le loro idee, temono, paranoicamente, la ‘introiezione’ del diverso che si presenta come ‘alterità’ da contrastare (non riconoscendolo, dunque, come presenza dell’Altro), restando così fermi in quella dimensione che Freud nominava con il termine “Austossung”, ossia l’espulsione, l’evacuazione, di un ‘organismo’ non riconosciuto dagli ‘anticorpi’ del pensiero paranoico.
Esiste, dunque, anche una ‘fascinazione’, proposta dalla perfezione del virtuale (concernente sempre di più la tecnologia futura), con le relative ‘questioni’ di come l’incedere possibile del desiderio, nell’attuale, possa essere sostituito (e sostenuto) da un ‘mondo’ fatto di connettività artificiale, che rasenti la perfezione, restituendo, anzi, imponendo, la possibilità di un godimento ‘egarè’, smarrito, di una sorta di ‘Nirvana contemporaneo’ (Lacan, Recalcati, 2010).
In questo, si può rinvenire la dipendenza, dall’uso sempre più compulsivo dei Social Networks e/o delle ‘vite artificiali’, che, nella fattispecie, oltre alle ‘questioni’ già espresse, porta un surplus di tipo cognitivo, una ‘perversione’ dell’affettività con conseguenti difficoltà comportamentali e relazionali, e nei soggetti più giovani, una possibile riduzione del rendimento scolastico.
Ovviamente, qui non si desidera ‘offrire’ delle soluzioni, che, comunque, in alcuni ambiti vengono proposte (ambulatori, comunità, etc.), che, però, possono sembrare anche molto eccessive verso un soggetto dipendente, ma, porre il problema di ciò che la tecnologia ha portato a latere dell’evidente miglioramento ambientale/personale nell’odierna società, nella quale però i soggetti che sappiano ciò, possano, se lo desiderano, re-introdurre in se stessi la logica del dubbio, l’idea di una soggettività differente, e, soprattutto, la possibilità di un recupero della dialettica del desiderio, preferendo la ‘ripulitura del godimento’ alla perpetua ‘euforia del divertissement’ (Recalcati, 2010; Bruckner, 2000).