Clessidra
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di Laura Zimbardo

“Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perché stretti da mille interdetti. (…) Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada”.

da “Il pensiero meridiano”, di Franco Cassano

La vita dei popoli del Mediterraneo, il più delle volte, è scandita da tempi politici, economici e religiosi differenti che spesso possono rappresentare un impedimento per la visione di quello che è il “mosaico mediterraneo” in cui ciascun pezzo, unico e prezioso, contribuisce alla magnificenza dell’opera.
In realtà, il concetto del tempo in sé e della sua durata è un elemento che accomuna l’esistenza del e nel Mediterraneo. Così preciso e misurato altrove, nel Mediterraneo è vago, estensibile, a volte malinconico e poetico. È una concezione generosa, come i suoi popoli che tendono ed estenderne la portata, per gustare la vita e per paura che il tempo stesso non basti, sfugga dalle mani. Riferimenti oggettivi del tempo che si mischiano con affettività, impulsività, riflessione. Il tempo qui é un modo di vivere ma soprattutto un modo di essere.

Franco Cassano nel suo “Il pensiero Meridiano” parla della lentezza del Mediterraneo, lentezza – che come definisce anche Kundera – è una dimensione dei luoghi, non un difetto.
La “lentezza” tipica dei luoghi mediterranei deve essere considerata come una risorsa: perché proprio su questa linea del tempo è possibile ritrovare quella forza essenziale che scaturisce dalla scoperta delle proprie origini e dalla identificazione delle proprie radici: elementi indispensabili per ancorarci dalla frenesia della “modernità”.
Ecco che quindi che il tempo, da visione mediterranea comune, può trasformarsi in volontà comune anche sul piano della cooperazione euromediterranea e del dialogo interculturale.
Oggi la necessità di un dialogo interculturale euro-mediterraneo emerge fortemente da un’analisi del contesto attuale, in quanto base necessaria per una concreta cooperazione tra i diversi paesi dell’area. In questo scenario, il volano delle iniziative concrete ed operative è rappresentato dal coinvolgimento “attivo” della società civile essenziale per la realizzazione di un ponte di collaborazione tra realtà geo-politiche e socio-culturali ancora “distanti”.

Con la creazione del Partenariato Euromediterraneo (PEM), sono numerose le politiche perseguite e tantissimi i Programmi di cooperazione istituiti incentrati sui temi dell’allargamento, dell’assistenza ed integrazione reciproca, della tutela dei diritti umani e del rispetto delle diversità culturali e religiose con l’obiettivo di porre le basi per la creazione di un quadro multilaterale di dialogo e di cooperazione. Ma soprattutto, con il PEM, l’aspetto commerciale ed economico, viene ad essere integrato da una dimensione sociale, politica, culturale e di sicurezza. L’aspetto sociale, culturale ed umano di questo processo diviene fondamentale per il ravvicinamento, la comprensione tra popoli e una migliore percezione reciproca. Il partenariato si fonda, così, da un lato, sul delicato compromesso tra l’esistenza, il riconoscimento e il rispetto reciproco di tradizioni, di culture e di civiltà diverse su entrambe le sponde del Mediterraneo e dall’altro, sulla valorizzazione delle radici comuni. L’evoluzione del Processo di Barcellona nelle sue priorità e nei suoi strumenti dimostra l’importanza che assume l’individuo come titolare di diritti inalienabili e quindi motore del cambiamento e dello sviluppo.

Nel delicato contesto politico e socio-economico in cui vivono alcuni paesi del Mediterraneo, l’interazione e il confronto tra le società e i diversi modelli culturali è cruciale. A fianco delle reti istituzionali nate in seguito al Processo di Barcellona, si sono create in maniere spontanea dei network di attori sociali che, attraverso il dialogo ed azioni concrete, hanno dato vita ad un vero e proprio interscambio tra culture mediterranee. Ed è proprio da qui che i popoli del Mediterraneo devono partire: è tempo di passare dalle parole ai fatti, dalle Dichiarazioni alle azioni e ai progetti concreti di cooperazione e dialogo. Quel che serve oggi è recuperare quell’approccio bottom-up, che si ispiri cioè, ad un modello di sviluppo umano integrale e sostenibile, uno sviluppo delle persone, promosso dalle persone e per le persone.

Per fare questo è necessario ridefinire e reimpostare il nostro rapporto con il tempo.
Ciascuno di noi può operare da “attore della cooperazione” attraverso i Forum Civili EuroMed, i programmi EuroMed, progetti ENPI e le varie reti tematiche basate sullo scambio e il dialogo. Per il successo di questa cooperazione è necessaria la partecipazione attiva di tutti i soggetti della società civile, sia nell’individuazione dei problemi e delle strategie di soluzione, sia nella realizzazione degli interventi specifici, nella conoscenza ed il rispetto della cultura, dei bisogni e delle aspirazioni delle comunità locali, nell’interscambio e nella condivisione di esperienze.
La cooperazione nasce dalla domanda quotidiana di vita e di pace delle persone e delle comunità e a essa deve rispondere.

Sulla base di queste riflessioni, potremmo scandire un tempo nuovo, unico e peculiare, quello di un Mediterraneo basato su comuni interessi e comuni origini, in cui le diverse tradizioni culturali vanno intese come fonte di arricchimento reciproco. Una sintesi tra unità e diversità, tra cooperazione e conflitto, un vero e proprio compromesso tra il rispetto delle diverse tradizioni culturali e la valorizzazione delle origini comuni che permetta il dialogo e la costruzione nel lungo periodo di una comunità di sicurezza nel Mediterraneo legata a un’identità mediterranea, senza minimizzare le difficoltà che questo processo incontra.

E’dalla nostra “lentezza meridiana” che ci fa assaporare il vero gusto e significato della vita, dei valori e dei legami che bisogna ripartire, ripartire dal “basso”, promuovendo una cultura che non ammazzi o velocizzi il tempo ma che ci abitui ad usarlo, e ad usarlo bene, per costruire un’architettura del Mediterraneo nella quale ciascuno di noi possa fare la sua parte passando dalla condizione del “dire”a quella del “fare”.

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