Un itinerario archeologico culturale, è costituito dall’asse Macchione-Sava-Cologna-Fratte.
Fino a qualche decennio fa, solo qualche toponimo dava indicazione incerta, compreso il nome che dà il nome alla Valle.
Elementi osco-sanniti, lucani, greci, etruschi si sono sovrapposti prima di quelli latino-romani, con i caratteri di instabilità delle civiltà di transito, in un territorio che non offriva possibilità di insediamento stabile, con il vantaggio di offrire traffici verso il mare.
Lo sbocco sul mare, era il fattore di vantaggio per il commercio e per le milizie, lo dimostrano alcuni reperti archeologici dell’epoca etrusca, nel complesso di Fratte[1].
Dalla campagna di scavo del 1879, furono riportate alla luce alcune tombe etrusche, durante i lavori che prevedevano l’ampliamento delle cotoniere svizzere, sul lato sinistro del fiume.
Nel 1927 iniziarono gli scavi sistematici, nei quali vennero alla luce altri sepolcri, poco più di cinquanta, riconfermando l’ipotesi etrusca, così come scrivevano Strabone (V. 251 ecc.) e Plinio (Hist. Nat. III, 70).
Successivamente ai lavori di sterro per la costruzione di case popolari nel 1947, fu confermata l’influenza di civiltà mediterranee, soprattutto quella greca.
Vasi, anfore, coppe di fattura greco-corinzia, la presenza di oggetti in oro e argento, significativi a chiarire l’opulenza raggiunta da quelle popolazioni e il grado di civiltà raggiunto[2].
I reperti di Acquamela, riguardano il periodo in cui gli etruschi, perdendo il dominio del mare ad opera dei Greci di Siracusa, con le sconfitte navali del 525 e del 447 a. C., furono costretti a ristabilire i contatti con i commerci meridionali, attraverso vie interne.
Lo splendore di Fratte, coincide con quello di Capua.
Seguendo il corso del Clanio (i Regi Borbonici per la maturazione della canapa), verso il Nolano attraverso la Valle del Sarno, gli etruschi avrebbero raggiunto il nodo di Rota, facendo ingresso nella Valle dell’Irno, oppure nella Metelliana, raggiungendo il sinus paestansu.[3].
Presentano caratteristiche comuni con la civiltà pestana e con quella Picentina di Pontecagnano, per il carattere composito, testimoniato da alcune tombe del IV-III secolo a. C., rintracciate in località Acquamela di Baronissi nel 1968 ed altre rinvenute nella stessa zona a monte del fiume.
Un caseggiato sorge sulla statale dei Due Principati all’interno del quale, fu rinvenuta una tomba bisoma, con copertura a tolos, in tufo locale, perfettamente squadrato in blocchi, alta un metro e sessanta centimetri.
All’interno della tomba, presente suppellettile fittile, con decorazione stilizzata, policroma[4].
La forma delle tombe, richiamava le sepolture di Paestum, soprattutto quelle collocabili al IV-III secolo a.C., mancano però degli affreschi interni.
Nel 1963 altri reperti furono scoperti in località Fusara.
Le frane provocate dall’alluvione del 24 ottobre 1963, portarono alla luce alcune tombe disposte a cerchio a colombario, sette tombe con copertura in tufo locale squadrato.
Non è stata rinvenuta nessuna suppellettile all’interno delle tombe di Fusara, rivelando una civiltà poco evoluta, fondata sulla compattezza etnico-religiosa, conservata anche nella morte.
Un’altra tomba sempre a Fusara, nei pressi della Chiesa di Santo Antonio lascia supporre la presenza di altre sepolture sovrapposte a colombario.
[1] Notizie degli scavi d’Antichità, Roma 1879, pag. 348
[2] A. MAIURI, Studi etruschi, 1929, III, 91
[3] P. PEDUTO, P. NATELLA, Il castello di Mercato San Severino, Napoli 1965, K. MILLER, Itineraria romana, Stoccarda 1936, pag. 371
[4] Le tombe furono abbandonate e distrutte, furono prima affidate alla Sovrintendenza alle Antichità e Belle Arti di Salerno, la tomba poi venne rimossa e i resti umani dispersi
2 thoughts on “Archeologia della Valle dell’Irno”