Mario Faticoni, decano del teatro in Sardegna.
L’uscita del suo nuovo libro Un delitto fatto bene. Misfatti, applausi, utopie del teatro in Sardegna, è stata l’occasione perfetta per incontrarlo. Una pubblicazione che racconta le storie e i protagonisti di cinquant’anni di teatro in Sardegna arricchita da un interessante apparato fotografico. Il volume, a cura di Aldo Brigaglia, è corredato da una Ouverture con testi di Vito Biolchini, Walter Porcedda e Maricla Boggio e si conclude con una postfazione di Giulio Angioni.
E’ un susseguirsi denso ed intenso dei 30 capitoli. Si parte dal Teatro universitario e dal Teatro di Sardegna con la lunga sosta al Teatro dell’Arco e la nascita del Crogiuolo in compagnia di Brecht e Gaber. Ma si può anche saltare tra le pagine alla ricerca di personaggi noti al grande pubblico o solo agli addetti ai lavori, perché un po’ tutti sono passati sotto il vigile, attento, paterno e a volte severo sguardo di Mario Faticoni. Si possono visitare spazi remoti e non più esistenti, diventati una casa per lui e per molti giovani e respirare ancora la polvere che si alza dalle tavole di quei palcoscenici. Leggiamo titoli e titoli di testi sacri o di intuizioni d’avanguardia. Si sentono gli applausi che il pubblico sardo e non solo gli ha tributato e continua a tributargli, ma anche le critiche alle quali non si è mai sottratto. Ci sono i suoi colleghi, i suoi allievi e i suoi collaboratori, che poi sono quelli che con lui sono il teatro in Sardegna. Si spazia dalla musica e dal canto passando per il giornalismo, e la politica, dal teatro di tradizione al teatro politico sino a quello sperimentale. Si capisce quanta storia c’è andando alla fine e sfogliando le diciannove fittissime pagine con l’indice dei nomi, delle opere e delle compagnie, dei luoghi e dell’editoria. Una storia del teatro che mancava.
Mario mi accoglie indaffarato nella sua casa piena di luce all’interno del quartiere di Stampace, dalle cui finestre si gode una vista spettacolare sul porto di Cagliari, città che lo ha adottato dopo il suo arrivo dalla natia Verona: libri ovunque, spartiti sul pianoforte, foto di scena e di famiglia alle pareti in compagnia di locandine di spettacoli indimenticabili e una scrivania con altri libri e una miriade di copioni e di fogli di quella che sarà, forse, la sua prossima fatica letteraria e un computer aperto sulla sua pagina Facebook, perché la novità comunque lo attrae.
Un’intervista con la quale vorrei raccontavi il legame indissolubile tra l’uomo e l’artista, che col teatro oramai è cosa unica; mostrarvi l’uomo con le sue fragilità e le sue timidezze, e l’attore con la sua consapevolezza, la sua voglia di applausi e la sua riservatezza, entrambi caratterizzati da curiosità, irrequietezza ed onestà intellettuale. Non solo teatro, ma tanta passione civile politica.
Cosa è per te il teatro oggi?
Oggi il teatro per me è un problema, una pena, una tristezza, un qualcosa che mi crea dolore, sofferenza perché non si può più fare teatro.
Quando è che diventato una pena?
Credo da quando Reagan ha preso il comando in America quarant’anni fa e poi con la Thatcher e Bettino Craxi e Berlusconi: sono cambiati i valori della società, nuovi modelli di comportamento e il teatro e la cultura hanno preso colpi in testa.
Cosa ti ha fatto avvicinare al teatro?
Il bisogno di farmi riconoscere, perché da bambino mi ero messo in testa che io ero…….non dico brutto, ma insomma…..non degno di attenzione. Allora per mettermi in attenzione ho fatto il pagliaccio!
Ti sei pentito di questa scelta?
E certo! Perché io ero predestinato alla musica, avendo due genitori musicisti e avendo io una natura musicale formidabile! E poi anche allo studio. Io sono uno studioso….. solitario. A meno che poi non vengano le Stefanie a rompermi (sorride benevolo). Quindi sono solitario, curioso. Dovevo sviluppare queste cose, invece ho finito con il laurearmi in legge anche se non mi è servito a nulla! Dodici anni di altri lavori, che è meglio ti risparmio…….mi vergogno. Insegnante e soprattutto teatro come organizzazione, azienda e rotture varie!!!!!!
Torniamo però al tuo teatro, c’è un attore con il quale avresti voluto lavorare?
Carlo Cecchi
E invece chi avresti voluto dirigere come regista?
Ma io non sono un regista, non sono in grado di dirigere grossi nomi. Ragazzi si, ho fatto spesso regie con loro.
Tu infatti hai creato anche una sorta di scuola di teatro da cui sono passati molti allievi. Questa esperienza ha valore?
Ecco questa si, è tra le poche cose che hanno valore. Anche perché a parte le tecniche della recitazione, io insegno, come tu ben sai, i sentimenti. Non solo a interpretare personaggi. Ma a recitare attraverso la comprensione dei sentimenti. Tenuto conto che il sistema che hanno costruito ci impedisce di sviluppare i nostri sentimenti. Tutti hanno dei sentimenti sepolti. Sai quando cerchi? Uno strato, poi un secondo strato, hai voglia di metterti a scavare! Quando mai verranno fuori questi sentimenti! Perché la società non ha nessun interesse che si sviluppi questo interesse. Perché se si sviluppa, si fa politica e si mette il re col culo per terra!
Dopo questa citazione non posso non chiederti cosa pensi del Premio Nobel per la letteratura che Dario Fo ha ricevuto.
Credo che ci sia un pizzico di esagerazione. Ma il bello è che mi fa ridere…. e poi che c’entra la letteratura. Perché Dario Fo, che io ho visto recitare più volte e col quale ho anche mangiato la pizza, è un attore straordinario! Cosa c’entra il Nobel per la letteratura!? Ma perché il mondo è così cretino, ma onoratelo come attore! Mistero buffo e tutto il resto che ha fatto…. e non c’è bisogno che lo dica io!!!!!
Qual è l’opera preferita nella quale hai recitato?
L’ultima che ho fatto: La mia ragazza dall’occhio nero tratta da Il comunista di Guido Morselli.
Come vorresti essere ricordato?
Per quello che sono, una persona onesta e generosa che non ha fatto altro che fare del bene a tutti, meno che a se stesso. Nel teatro, nel giornalismo e come insegnante.
Hai ripianti o rimorsi?
(Sospira e riempie l’aria con la sua inconfondibile risata) I rimpianti di solito sono amorosi. Uno ce l’ho, perché avrebbe dovuto durare, invece che finire! Questo è il rimpianto! Qualcosa che avrebbe dovuto durare….. Per ciò che riguarda i rimorsi: no. Non è che mi hanno puntato il fucile. Ho fatto tutto quello che volevo fare. Anzi, mi rammarico di non avere avuto il coraggio di andare fuori. Perché a uno come me che ha difficoltà ad essere capito in questa città, rimane il rimorso di non essere fuggito via. Forse l’imbambolato che sono stato, a Ferrara per esempio, non sarebbe stato così imbambolato. Qui tutto congiura a favorire gli imbambolati: il vento di scirocco, due stagni, e purtroppo le donne belle! Quindi tutto porta a sedersi e io invece che correre mi sono seduto!
E la Sardegna ringrazia che il vento di maestrale non abbia soffiato così forte da portare via un’intelligenza così vivace che è stata e che continua ad essere protagonista della cultura negli ultimi cinquant’anni.
Mario Faticoni
Un delitto fatto bene. Misfatti, applausi, utopie del teatro in Sardegna
Carlo Delfino editore
352 pp., 25 euro
Veramente un bell”articolo!Bravi Mario e Stefania Cotza.