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Chi sta bene non si muove e chi non si muove è finito

Nell’ambito del tema “Io valgo, storie positive del Mediterraneo” abbiamo voluto soffermarci sui giovani che scelgono di affrontare l’attuale momento di crisi economica con tenacia, senza lasciarsi travolgere da essa, con l’obiettivo di trovare una risposta positiva e di essere gli artefici di nuove idee e progetti imprenditoriali da concretizzare grazie alla reciproca collaborazione. Nello specifico, abbiamo provato a riflettere sui mutamenti che stanno maturando nelle imprese del Made in Italy, in particolare artigiane, e sulle risorse che possono consentire loro di andare “oltre” la crisi: creatività, talento, lavoro e imprenditorialità giovanile.

L’attuale momento di recessione rappresenta una sfida complessa per il nostro sistema imprenditoriale. Tuttavia, nonostante il preoccupante quadro mostri un’economia stagnante, capace di raffreddare qualsiasi entusiasmo, pare sia ancora possibile “fare affari”, purché si abbia l’idea giusta. In altre parole, i nuovi terreni della competizione globale e immateriale, a differenza di quello che si crede, pare non siano impraticabili per le micro-imprese artigiane, legate a modelli di business con dimensione prevalentemente locale. Al contrario, il futuro sembrerebbe suscettibile di valorizzare il talento personale, i saperi tradizionali e quelli raffinati e sofisticati delle nuove tecnologie, meglio se ecocompatibili, come i diversi know how e le abilità operative, tratti strettamente legati fra loro e caratteristici proprio dell’artigianato e della piccola impresa. Il “nuovo artigiano”, e più in generale il “nuovo imprenditore”, potrà acquisire un ruolo importante e difficilmente sostituibile nello scenario competitivo, laddove non da solo, ma insieme alla filiera, il territorio e la comunità, riuscirà a potenziare ulteriormente questo suo talento.
La crisi costringe le persone ad agire, ad essere creative per colmare la voragine in cui la società sta sprofondando. Senza necessità l’uomo non ha lo stimolo a produrre idee, nella “vita pubblica” come in quella “privata”.

Bisogna essere pronti a cambiare, a re-inventare. Re-inventarsi e andare oltre devono diventare i nuovi imperativi categorici. Trovare una soluzione non è sempre possibile, ma arrendersi senza provare ad aprirsi all’ignoto equivale a rinunciare a un parte del nostro essere umani, a quello straordinario strumento che ha permesso all’uomo di sopravvivere, evolversi e progredire.
La creatività, se fondata su un solido sapere, permette d’immaginare realtà nuove. Non sbagliano coloro che sostengono a gran voce che senza crisi non può esserci cambiamento, quasi che la crisi fosse un fattore positivo per la società. Riteniamo possa diventarlo, a patto di imparare a leggerla come un’opportunità che può portare ad un miglioramento, non come una sciagura che ci colpisce inesorabilmente e senza possibilità di ripresa.
In quest’ottica, è importante e utile stimolare i giovani a pensare autonomamente, anche lasciando andare l’immaginazione; è responsabilità di tutti investire su chi è in grado di formulare relazioni di pensiero ed associazioni inedite, sui giovani artisti e le loro visioni, per esempio. Anche la creatività, infatti, può rappresentare, in parte, la soluzione a questo problema.

Sono moltissimi i giovani che scelgono di dare sfogo alle loro passioni e al loro talento, inventandosi un lavoro creativo. Giovani eclettici per lo più, inclini al rischio, votati alla sfida, molto spesso orientati all’internazionalizzazione. Giovani che credono nell’artigianato e nelle arti manuali in controtendenza alla globalizzazione e alla produzione in serie. La loro realtà è prevalentemente locale e sono consapevoli di come le condizioni economiche spingano più il massificato dell’artigianale, più il prodotto dell’idea. Puntano, perciò, ai processi di glocalizzazione, mettono al centro della loro”filosofia” l’individuo e il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza. Non ignorano la dialettica che deriva dall’incontro-scontro dei vari gruppi all’interno della logica sistema-sottosistema ma non perdono mai di vista il micro nella sua relazione con il macro.
Considerano importante il libero mercato ma ritengono che non lo si debba considerare un “primum”. Attribuiscono importanza alla comunicazione tra gli individui e i gruppi definiti nello spazio e nel tempo e a come le nuove tecnologie abbiano favorito e possano contribuire ad una accelerazione nei processi di trasformazione.
Il loro motto è “l’unione fa la forza”: sono giovani del resto, poco conosciuti, quindi, poco visibili.

Per tutti questi motivi, e in maniera spontanea, un gruppo di artisti, designer e stilisti bergamaschi hanno deciso di unirsi in un gruppo: il “Made in Bergamo”. Non un’associazione, ma un sito web, un network di progetti e realtà imprenditoriali, in cui il variegato gruppo di “creativi” si racconta. Un modo per uscire dai confini del locale e proiettarsi nel mondo, con la loro professionalità, la loro passione e le loro idee, consapevoli dell’importanza di essere online in questo delicato momento di evoluzione e transizione. Il problema per questi giovani è essere piccoli, avere atelier e laboratori poco conosciuti e magari in quartieri o zone poco frequentate di Bergamo e provincia, non essere abbastanza pubblicizzati e scomparire a causa delle vendite promozionali, sconti e svendite che le grandi catene propongono di continuo.

“Made in Bergamo” nasce perciò col presupposto di creare una rete e rimarcare il concetto che uniti si è più forti. Lasciare che le idee e i rispettivi progetti circolino liberamente, si innestino e siano oggetto di confronto può rivelarsi uno strumento efficace nell’affrontare la crisi e le difficoltà. Soprattutto può portare nuove idee.
Promotore e mente del progetto è Giacomo Cavalleri, rientrato in Italia dopo un soggiorno a New York dove faceva l’art director free lance. Cavalleri arriva dal mondo creativo della moda e ha maturato una lunga esperienza nell’allora azienda di famiglia “I Pinco Pallino”, conosce, dunque, molto bene le dinamiche che sottendono questo settore ed è consapevole delle enormi difficoltà che quotidianamente si trova ad affrontare chiunque voglia provare a combinare insieme arte, creatività e imprenditoria.
L’obiettivo di “Made in Bergamo” non è solo quello di far nascere un prodotto, quanto, piuttosto, la voglia di implementare uno scambio di idee e di confronto tra “creativi” e la volontà di rafforzare l’identità locale per renderla più forte sul territorio e fuori dai confini locali e nazionali.

Giovani artisti, dunque, la cui mission consiste nel mostrarsi con la loro arte e il loro talento su un territorio che come altri necessita di stimoli nuovi. Un territorio che può e deve sfruttare la creatività che viene messa a sua disposizione.
La voglia di local e l’orgoglio orobico hanno prodotto due progetti: da una parte la presentazione di un’identità commerciale e la creazione di una vetrina dove mostrare e vendere i propri prodotti, dall’altra la creazione di una rete creativa, una fucina di idee dove progetti di design, musica e arte possano unirsi, confrontarsi e prendere forma.
Per il primo progetto è nato un temporary store aperto in Città Alta a fine dicembre 2011 e attivo fino allo scorso 8 gennaio, in via Gombito, presso la fascinosa Bottega del Gombito: uno spazio suggestivo dove i prodotti di design, ecosostenibili, innovativi e di qualità pensati e tutti made in Bergamo sono stati messi in vendita.
All’iniziativa hanno partecipato una ventina di creativi bergamaschi, tutti selezionati da Cavalleri, che hanno proposto alcune loro creazioni, presentandole commercialmente a un pubblico più vasto rispetto a quello che avrebbero potuto avere in atelier, in azienda o in laboratorio
L’altro filone di “Made in Bergamo” ha riguardato, invece, non tanto la commercializzazione del prodotto, ma la voglia di mettere in atto e favorire lo scambio di idee e il confronto sul territorio.
Ai marchi già noti, si sono uniti altri designer, artisti, installatori, fotografi e grafici che si sono presentati alla città anche attraverso la video-installazione che, sempre fino allo scorso 8 gennaio, ha colorato le vetrine sotto i portici del Sentierone, al civico 48: da Athos Mazzoleni a Francesco Chiaro, da Monica Nossa a Emanuele Gorgoglione, Andrea Gualandris, Elena Fodera e Gioia Greco.

Con la consapevolezza delle difficoltà e contestualmente la necessità di mostrarsi al territorio i giovani del “Made in Bergamo” si sono fatti conoscere attraverso il temporary shop e hanno fatto in modo che la “voce” girasse. Il tutto sfruttando anche il web, sempre più forte nel mondo della creatività e giocando su vetrine on line che sfruttando la rete raccolgono e mettono insieme nuove idee, ricostruiscono e raccontano le storie originali di chi vuole uscire dal territorio e allargare i propri orizzonti, creativi ed economici.
Il gruppo attende nuovi partecipanti e nuove idee. Nei progetti c’è anche l’ipotesi di unirsi in associazione facendo rete con quelle già esistenti. Il messaggio è chiaro: questi giovani rappresentano il territorio, lavorano, fanno e consumano cultura, dunque, vogliono essere e sentirsi presenti, vogliono darsi e trovare un obiettivo comune capace di cambiare l’economia e soprattutto la cultura del territorio in cui operano. Mostrano tutti la tipica esaltazione dei giovani artisti ma sono altresì consapevoli della complessità del momento. Tuttavia, ritengono che questa fase statica richieda, esiga una nuova rivoluzione delle arti: una sorta di rinascimento creativo, da affrontare con sforzo ma anche puntando sull’estro e sul nuovo.

La musica è quella di Decibel Haus, ventenni che mixano musica elettronica con tromba e trombone, il progetto video è di Giacomo Cavalleri, mente di “Made in Bergamo” e del progetto “Creative” (www.madeinbergamo.com/creative). A questa idea hanno collaborato altri giovani, spinti e motivati dall’entusiasmo e dall’esuberanza tipica di un’età in cui la sperimentazione è la cosa più importante. Tra questi, per esempio, c’è l’Atelier Moki, di Monica Silva, con la sua collezione fluttuante e Cartunia, progetto dell’architetto Mario Mazzocchi che si è inventato il mobile di design realizzato con il cartone; Dedalab, giovane studio di architettura di Cisano Bergamasco che crea pezzi di design con materiale di recupero ed EcoDario di Dario Vecchi, designer che dall’antiquariato e dal restauro si è lanciato nella creazione di nuovi oggetti di arredamento partendo sempre da materiale di recupero. Ancora: Manzoni Design con Giacomo Manzoni che restituisce nuova vita ai progetti di design più noti del padre Pio; Ricrearte di Sabrina Locatelli, architetto e designer che propone lampadari e tappeti, specchi e sedute in modo innovativo; Katrin Arens, tedesca ma residente da molti anni a Villa d’Adda dove è passata dalla moda per l’infanzia ad oggettistica di design e la signora Agnese, casalinga che prepara gessetti profumati per i cassetti contestando il made in China; la mamma designer che ha pensato a delle magliette per vestire e far giocare i bambini. Ma anche stilisti fatti e finiti con dei laboratori e una collezione alle spalle.

Tra i partecipanti al progetto “Made in Bergamo” anche alcune aziende: Casa dei sogni, ditta tessile della Val Seriana che realizza biancheria per la casa; Filo di fate, camiceria di Nembro e Piumino Orobico che presenta la sua collezione di piumini. Nel mondo moda anche Lym/Lab, tre ragazzi giovanissimi che puntano sulla creazione/sperimentazione di capi quali t-shirt e maglieria; i Pigro, giovani creativi che dal tessuto di recupero della Honegger realizzano sciarpe e t-shirt; Maison Noir di Sara Mano che privilegia accessori ricercati e lussuosi e Pret a Jouer di Francesca Hausser, la mamma designer che ha pensato a delle magliette per vestire e far giocare i bambini: una linea di t-shirt versatili e creative che i più piccoli possono personalizzare di giorno in giorno, attraverso l’uso di semplici asole e bottoni e infinite combinazioni di forme in stoffa colorata.
“Made in Bergamo”, lo scorso maggio, è approdato anche a Londra nell’ambito del Clerkenwell Design Week, una tre giorni – dal 22 al 24 maggio – dedicata al design con tanto di eventi, mostre e workshop. Una fiera che nel panorama internazionale si è tagliata un ruolo di rilievo come scouting di giovani talenti, lancio di nuove tendenze e luogo privilegiato d’incontro tra grandi nomi del design e nuove proposte.
Una vetrina che quest’anno ha visto protagonista anche la realtà imprenditoriale bergamasca attraverso i progetti di otto “creativi”. A promuovere la partecipazione di queste otto realtà, “Made in Bergamo”, un’unione generata, come abbiamo visto, dallo slancio creativo del singolo (Cavalleri), ma cosmopolita quel tanto che basta per comprendere le potenzialità della creatività made in Bergamo al punto da volerla valorizzare con una realtà dedicata: identità locale sì ma sempre improntata a una visione universale. Una doppia natura, dunque, radicalmente territoriale ma dalla vocazione internazionale, con la quale affacciarsi con successo al mondo, certi delle proprie potenzialità e caparbi nelle proprie intenzioni, a dimostrare come alla base dell’affermazione vi sia una semplice idea, motore trainante di un processo virtuoso di operatività innovativa.

Ad unire questi giovani è la passione per la moda e la capacità di creare oggetti originali e dalla filosofia innovativa. “Molti di noi avevano un laboratorio, un atelier, ma abbiamo dovuto chiudere. Troppe le spese, poco il passaggio”. A raccontarsi sono i ragazzi di Love your moustache (Lym Lab), Simone Paratico, Chiara Bonetti e Francesca Scarpellini. “Nonostante tutto proviamo ad andare avanti lo stesso, aiutati dal passaparola e dal web. Made in Bergamo ci aiuterà a far circolare le idee e i progetti, è un’opportunità per farci conoscere. Certo dispiace chiudere, tirare giù le serrande, ma siamo fuori dai canoni commerciali: non rispecchiamo i gusti massificati. Tuttavia questo alla fine si rivela un pregio, un valore aggiunto se valorizzato come idea e progetto”.
“Certo, la concorrenza è mostruosa”, aggiungono i ragazzi di Pigro, giovani creativi che hanno avuto un’idea semplicissima: utilizzare il materiale di scarto della produzione tessile di Honegger, dove lavorano nell’ufficio stile, per dare vita a una collezione di t-shirt e sciarpe pezzi unici e originali. Ovviamente con il beneplacito dell’azienda di Albino che ha promosso la giovane creatività e lasciato emergere le idee di questi cinque ragazzi. “Le difficoltà sono parecchie, e per questo serve il confronto sempre stimolante e di aiuto”. Il segreto è sapersi re-inventare: quando c’è bisogno, quando un nuovo lavoro diventa una nuova sfida. “Per abbattere preoccupazioni, per restare impegnati con la testa” incalza la signora Agnese, che da casalinga si è riscoperta artigiana, a 59 anni e con i figli ormai grandi, “un po’ per necessità, un po’ per virtù”, spiega lei che a San Paolo d’Argon ha trasformato il garage di casa in laboratorio dove crea gessetti profumati dalle forme più svariate e tutti fatti a mano. Lei si inventa di continuo personalizzazioni “per potersi rimettere in gioco. Made in Bergamo è una nuova avventura, io credo nel far circolare le idee e questa mia seconda vita ne è l’esempio”.

“E’ vero, si fa fatica, ma ogni anno va meglio”, si confida Moki, alias Monica Silva, trentaseienne stilista bergamasca. Da 4 anni si dedica ad abbigliamento e accessori ispirandosi a Audrey Hepburn, mentre il suo modello è la sartoria degli Anni ’40 e ’50, da cui ha ereditato la ricerca dei tessuti e l’attenzione per le rifiniture.
Puntano a promuovere la creatività e l’artigianalità locale, ritengono che sensibilizzare il territorio rispetto ai manufatti realizzati a mano e personalizzati possa costituire uno stimolo e insieme un obiettivo per lo stesso. Tuttavia, per realizzare ciò è necessario unire le menti con progetti che siano tutti diversi e innovativi, il che implica più apertura e più intraprendenza, forse anche meno paura di osare. Senza mai perdere di vista il motto che della creatività non si butta via niente, principio che hanno fatto loro le ragazze di Augh, la cui parola d’ordine è 100% handmade, che si traduce in gioielli e accessori realizzati con materiali di riciclo, illustrazioni che prendono vita e oggetti reinventati seguendo solo la loro ispirazione. Il tutto, mescolato al desiderio di divertirsi e di condividere un’avventura come in una tribù in cui ci si ritrova la sera intorno al fuoco. Attraverso i loro accessori raccontano un modo di fare artigianalità con spirito ironico, voglia di mettersi in gioco e creatività con il desiderio di riscoprire materiali di recupero e tecniche alternative. “Ci lasciamo guidare dal riciclo e dall’idea originale, che alla fine, è quella che conta di più, che paga: Augh diventa così un richiamo alla semplicità ma anche alla voglia di far circolare un pensiero: uscire dal gruppo per una tribù alternativa”.

La creatività è certamente una risorsa a cui chiunque può e deve attingere anche per risolvere i problemi di tutti i giorni. Hubert Jaoui, scrittore francese, tra i massimi esperti mondiali nel campo della Creatività Applicata e della gestione dell’innovazione, sostiene che per risolvere un problema, si può anche partire da un’idea apparentemente impossibile, che definisce “magica”, per poi arrivare ad una soluzione concreta e creativa più velocemente che partendo direttamente da un pensiero razionale.
E’chiaro come chiunque voglia vivere “con creatività” debba riuscire a trovare l’ambiente adatto ma sono numerose le subculture in grado di soddisfare le esigenze creative di ciascuno di noi.
Ognuno di noi possiede un talento che non corrisponde necessariamente a quello che chiamiamo “arte”(musica, pittura, danza etc.): tantissime persone non pensano di essere creative ma nessuno potrebbe ammettere di non aver mai creato niente. Tutti, dunque, potremmo essere potenzialmente creativi.
Non dimentichiamo, inoltre, che “inventarsi” o “re-inventarsi” un lavoro significa anche arginare il fenomeno Neet (“Not in education or training nor in employment”), ovvero chi non studia, non lavora e neppure cerca un’occupazione.
Alla luce dell’esperienza di “Made in Bergamo” possiamo affermare che uscire dalla “crisi” significa, innanzitutto, guardare la realtà economica con uno sguardo “altro”, senza angosce e rassegnazione, ma consapevoli che ciascuna persona può intraprendere creativamente per il bene della collettività. Si rende a questo proposito indispensabile tornare a far riferimento ad una dimensione dell’esistere per e con l’essere. Tutta la società deve essere intesa come interrelazione di individui nella interazione delle loro attività operative e culturali. In quanto interrelazione simbolico-esistenziale che dà senso alla realtà empirica, le società sono, oggettivamente, interindividuali.
La centralità dei rapporti in tutta la realtà creata, l’essere-per di ciascuna cosa e ciascuna persona, faceva scrivere a Simone Weil: “Noi non abbiamo dentro di noi e intorno a noi che rapporti”.

Sul piano economico occorre rileggere il concetto di reciprocità che non può essere inteso solo come scambio di doni. Per Aristotele la reciprocità, l’antipeponthòs, nell’Etica Nicomachea (1132 b 21) era “il legame sociale”, ciò che tiene assieme la vita della polis, una reciprocità che nella sua visione si estende dalle relazioni di mercato fino all’amicizia di virtù. La stessa parola latina “reciprocus” deriva etimologicamente da “recus” (indietro) e “procus” (avanti): ciò che viene e che va, che parte e che torna vicendevolmente. La reciprocità, quindi è molto più del solo scambio di doni, che certamente è una forma di reciprocità, ma non l’unica.
La relazione reciproca convoca, infatti, nella dialettica economica la gratuità come elemento per riformare l’economia e rilanciare la sfida alla crisi. Infatti, se la dimensione tipica dell’umano è la sua apertura al dono-gratuità, e se l’economia è attività umana, allora un’economia autenticamente umana non può prescindere dalla gratuità.
Quando l’economia e la società perdono il rapporto con la gratuità, finiscono per smarrire il contatto con l’umano nella sua interezza e con esso andranno perse le vocazioni, laddove ogni vocazione è esperienza di gratuità, comprese quelle artistiche, scientifiche e imprenditoriali, per ritrovarsi in un mondo nel quale, parafrasando Oscar Wilde, conosceremo con sempre maggiore precisione il prezzo di ogni cosa, ma il valore di nulla

Fonti:

Aristotele, (2000) Etica Nicomachea, Bompiani, Milano

Ceresoli L., Per battere la crisi puntate tutto sulla creatività, in http://www.bergamoeconomica.it

Ricoeur P., – Gabriel M., (1998) Per un’etica dell’alterità. Sei colloqui, Edizioni lavoro

Weil S., (1974) La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano

http://www.ecodibergamo.it/stories/Moda%20e%20Tendenze/564545/

http://www.ecodibergamo.it/videos/Video/15924/

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http://www.contaminazionipositive.it/intervista-a-fabio-novembre-designer

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